Il rifiuto di alzare il volume del sole, ovvero Marco Piacente e Stefano Trabalza

Stefano Trabalza (a sinistra) e Marco Piacente (a destra).

È grazie a Tito Schipa Junior e ai suoi seminari telematici che – oltre ai capisaldi dell’Opera Lirica e ai suoi nessi tanto con il Musical che con il Rock, nonché in generale con il Bel Canto e in particolare con la Canzone Napoletana – ho avuto modo di conoscere, pur sommariamente, l’arte di Marco Piacente e Stefano Trabalza, due compianti artisti e musicisti italiani.

Marco Piacente

Non conoscevo nulla, e continuo a conoscere ancora poco, delle loro vite, se non che le medesime dovrebbero essere iniziate attorno al 1950 e, purtroppo, si sono concluse da qualche anno, dopo il 2010. Ci ha detto Tito che Marco era originario dell’Abruzzo (Villa San Sebastiano) e Stefano dell’Umbria (Bevagna) e che entrambi, giovanissimi, si erano ritrovati a Roma – legandosi di forte amicizia fino a stabilire un altrettanto solido sodalizio artistico – con le loro famiglie, tanto che ascoltandoli parlare e cantare possono essere scambiati per romani doc. Inoltre so che hanno frequentato il liceo classico Tito Lucrezio Caro, presumibilmente attorno agli anni ’60-‘70. Poi ho potuto verificare che Marco ha avuto un’ulteriore formazione, ampia ed eterogenea, che spaziava dal conservatorio alla filosofia.

Stefano Trabalza

Ma al di là di questi dettagli di formazione, vedendo il video del loro spettacolo teatrale IL VOLUME DEL SOLE, girato nel Teatro in Trastevere il 27 giugno 1985 (ai tempi dell’Estate Romana di Renato Nicolini) da Tito Schipa Junior – loro mentore e amico – ciò che appare notevole, nel modus del loro duo – due come i Vianella ma anche due come Simon & Garfunkel – è la capacità di spaziare dalla romanità più autentica – seppure, come detto sopra, acquisita – a molteplici altri generi  espressivi, non ultima la musica colta, essendo stato Marco autore di musica sacra nonché di altra vasta e variegata produzione.

IL VOLUME DEL SOLE, titolo ripreso da uno dei versi dei loro canti, forse uno dei più demenziali, è una geniale intuizione, uno spettacolo al confine fra vari generi: teatro dialettale propriamente detto, commedia dell’arte, teatro dell’assurdo, cabaret, musical, satira di costume.

Oltre ai generi teatrali, si colgono però innumerevoli e disparati echi musicali: la canzone d’autore (bello il riferimento a Guccini) dei dieci-quindici anni precedenti, i parallelismi con i grandi nomi dei ’60-’70 quali i Beatles o Mogol-Battisti, passando per la Stagione dei gruppi Beat, ma certo anche il blues, la canzone folk inglese e la canzone dialettale abruzzese, quella vernacolare romanesca con argute e robuste evocazioni che spaziano da Fiorini a Califano, le più antiche stornellate alla Balzani nonché le ballate dei cantastorie.

Se poi guardiamo alle contemporaneità non sono escluse altre poderose influenze: dalle gag di Verdone alla mimica e gestualità alla Benigni nonché quella partenopea di Troisi. Ma da qui si può ripartire, all’indietro nel tempo, ritrovando illustri predecessori: godibile è il riferimento manifesto a Ciccio Formaggio o quello certo più velato ai Fratelli De Rege. Infine si può tornare avanti nel tempo incontrando il non-sense alla Rino Gaetano e alla Stefano Rosso. Insomma si colgono riverberi di molteplici forme di teatro e spettacolo, anche dissacrante e irriverente, fra satira di costume e tanta autoironia.

Malgrado questa ricchezza di riferimenti ed evocazioni, IL VOLUME DEL SOLE è piece teatral-musicale d’impianto fortemente minimalista, sorta di storia della scarsità, laddove Marco e Stefano appaiono in scena uno in “canotta” e l’altro a torso nudo, abiti certo idonei per sproloquiare sulle loro vicissitudini amorose con le donne. In questo modo, riemergendo come da labirinti onirici, i due intessono dialoghi serrati e disperati in bilico tra imprinting d’innamoramenti e citazioni hegeliane, sospesi fra letture di Topolino e progetti di seduzione, si confessano attorno a un tavolo con due sedie che troneggiano al centro d’una scena scarna ed essenziale: sullo sfondo un piano cottura con bottiglie e macchina del caffè, a destra una scansia/madia di quelle che usavano le nostre nonne. Negli intervalli imbracciano sapientemente le loro chitarre per suonare e intonare canti allegri o struggenti, spesso paradossali e grotteschi (“Non serve alzare IL VOLUME DEL SOLE”), in uno spettacolo in cui si ride pensando ed emozionandosi.

In definitiva IL VOLUME DEL SOLE è un cofanetto che, sotto la scorza del minimalismo scenico, racchiude molteplici gemme preziose.

Tutto ciò che ho scritto fin qui, tuttavia, non esaurisce quanto Marco Piacente (www.marcopiacente.it.) e Stefano Trabalza hanno espresso e realizzato in altri ambiti. Si pensi ad esempio allo splendido brano Che ce vo composto da Marco, divenuto ad opera di Franco Califano il Semo gente de Borgata de I Vianella; senza nulla togliere a questi ultimi, nella versione originale il brano possedeva altro significato, maggior equilibrio testuale-musicale e quindi maggior afflato poetico.

Grazie, pertanto, a Tito Schipa Junior per averci guidato anche su parte della via percorsa da Marco Piacente e Stefano Trabalza che, di certo, hanno lasciato un segno, umano e culturale, del loro passaggio; segno ancora da scoprire in pieno esplorandolo ulteriormente.

[Fabio Sommella, 13 novembre 2021]

Stefano Trabalza (a sinistra) e Marco Piacente (a destra).

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

2 risposte a “Il rifiuto di alzare il volume del sole, ovvero Marco Piacente e Stefano Trabalza”

  1. Avendo anch’io assistito allo stesso spettacolo, concordo con tutto ciò che hai scritto su Marco Piacente e Stefano Trabalza.
    Due grandi artisti che avrebbero potuto ancora dare tanto. Mi sono commossa, quando Marco mi ha ricordato, in particolare, Massimo Troisi, seppure con un conversare in un dialetto diverso, e quando ho ascoltato alcune sue canzoni che mi hanno fatto pensare a Lucio Battisti: Massimo e Lucio per me due grandi.
    Anche irresistibili sono state le canzoni di Stefano accompagnate da una recitazione verdoniana molto spassosa. Musicisti straordinari con le loro chitarre. Uno spettacolo che ho gustato dal primo all’ultimo momento, tanto che mi è dispiaciuto quando è finito.
    Un ringraziamento a Tito Schipa junior che ha condiviso nei suoi seminari musicali, questo bellissimo e indimenticabile lavoro.

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