Il Genio non ha regole accademiche (il caso di Lucio da Poggio Bustone)

Amo tutta la canzone d’autore, italiana e non solo, ma in particolare quella della Grande Stagione che va da inizio ’70 alla metà degli ’80. Amo le voci e gli stili dei maggiori cantautori. Tuttavia, talvolta, ascoltando per ore e ore le canzoni e le musiche di uno solo di loro – inevitabilmente – subentra comunque, in qualche misura, un senso di stanchezza; come se la voce e lo stile di quel pur grande autore – che magari davvero amo moltissimo – si riproponesse pressochè costante e invariata nel tempo, provocando una qualche forma di assuefazione all’ascolto. In questi casi, passo allora ad ascoltare altro autore o altro genere di musica. Ciò mi accade anche con alcuni dei grandi gruppi rock internazionali di quegli anni.

Però non mi accade, devo dire, con la musica di Lucio Battisti.

Ieri infatti, mentre lavoravo ad alcuni documenti, con gli auricolari ho ascoltato per ore e ore – in pratica dal mattino alla sera – le canzoni del nativo di Poggio Bustone, canzoni e composizioni strumentali selezionate casualmente dai motori del web. Non credo sia dipeso da un fortuito  mix randomico delle selezioni; più verosimilmente ritengo dipenda dall’ampia gamma di registri stilistici e arrangiamenti musicali di Lucio. Fatto sta che, in quelle tante ore di ascolto, non ho mai avvertito – pur minimamente – un qualche senso di stanchezza uditiva bensì una continua curiosità di ascolto. Come se, Lucio Battisti, abbia saputo esplorare l’intero universo musicale possibile, variandolo e diversificandolo sapientemente nel corso della sua carriera e produzione, musicale e poetica, dandogli molteplici forme, toni, colori, conferendogli modalità e sonorità che non provocano assuefazione, non inducono ad alcuna forma di stanchezza uditiva o cerebrale… Splendido!

Allora mi sono ricordato di quando – ero appena adolescente – in TV, noi ragazzetti di allora, già ammaliati dalle canzoni e dalle atmosfere di Mogol e Battisti, vedemmo Lucio intervenire in una trasmissione serale in diretta. Era un luglio dei primissimi ’70. La sua apparizione in TV non era per cantare bensì per dirigere un’orchestra (“A luglio si reca a Campione d’Italia per dirigere un’orchestra di 25 elementi nell’esecuzione di 7 agosto di pomeriggio[”, da https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Battisti e anche  https://www.luciobattisti.info/?page_id=1276).

In quella sera d’estate di un inizio ’70, nella TV in bianco e nero di allora, io e mio fratello, emozionati, aspettavamo che Lucio cantasse uno dei suoi brani tradizionali. Invece lui, senza proferir alcuna parola, salì su un palco dinanzi a un’orchestra e a un pubblico. Quindi solo con gesti – che ci apparivano magistrali e misteriosi – lo vedemmo dirigere quegli orchestrali. Si trattava di un brano esclusivamente strumentale: 7 agosto di pomeriggio. Era contenuto nell’album Amore e non amore. Per la musica pop o beat di allora era un brano decisamente d’avanguardia, dissonante… si provi a riascoltarlo anche oggi. Tutto ciò era abbastanza inconsueto, forse per lui ma senza dubbio per noi, che rimanemmo infatti delusi.

Al termine dell’esecuzione, Lucio con rinnovati e sempre essenziali gesti di ringraziamento, continunando a non proferir parola alcuna, si accomiatò da tutti, defilandosi in un nuovo sorprendente e irreprensibile distacco.

Che solennità!

Che mistero!

Che fascino!

Ma, anche, che delusione, per noi fan, ragazzetti di allora.

Solo a distanza di anni ho compreso come, da una parte l’orgoglio artistico di Lucio e dall’altra anche il gioco delle commistioni e contaminazioni culturali dell’epoca, propendessero e facessero sì che si potesse attuare un rituale che definisco totemico-misterico di quella portata e tipologia! 😊

L’arte creativa – polimorfa e, per certi versi, eterea – di Lucio, unita alle disposizioni attitudinali della cultura del tempo, rompeva profondamente – fino a lacerarle, facendole a brandelli – le regole cristallizzate dei conservatori, i loro dogmi e precetti; ne era al di sopra; era oltre; sublimava e travalicava i criteri e le attese della tradizione, li confondeva, li superava. Generava un nuovo alveo in cui la poesia e l’immaginazione dell’autore sovrastavano e subordinavano qualsiasi  possibile e predefinito criterio di scuola o accademia musicale.

L’artista creatore, l’artista a tutto tondo, diveniva divinità – di lì a pochi anni Edoardo Bennato avrebbe incensato/dissacrato sulla figura del Cantautore – a cui tutto era concesso, anche dirigere un’orchestra; e Lucio Battisti, novello demiurgo e deus ex machina, incarnava a pieno questo ruolo e questa figura. In tal modo anticipava in un sol colpo le tendenze della sua – ma non solo – evoluzione  musicale dei vent’anni successivi.

Il Genio non ha età, non ha tempo, non ha luogo, non ha regole accademiche da rispettare ed erompe – anche platealmente – contro e oltre i criteri dei dogmi, degli ordini e delle prescrizioni.

Ci manchi, Lucio: ci manchi! Grazie per averci donato i tuoi ritmi, le tue musiche, le tue intensità compositive, le tue rabbie, le tue voci strozzate, la tua espressività.

Ad Majora!

[Fabio Sommella, 28 gennaio 2020]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Una risposta a “Il Genio non ha regole accademiche (il caso di Lucio da Poggio Bustone)”

  1. Sono d’accordo su tutto; posso aggiungere che ho sentito Renzo Arbore che, dopo la morte di Battisti, raccontò di averlo incontrato insieme a suo figlio in un negozio di dischi a Milano. Alla sua domanda sul perché si fosse ritirato molto presto, lui rispose che, non aveva voluto ingannare il suo pubblico, come facevano altri cantautori. Non voleva dare “assuefazione all’ascolto”. Grande Lucio Battisti, un vero e proprio GENIO nel suo campo! Grande Mogol, un vero e proprio POETA. Grazie a entrambi!

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