Un’economia al servizio dell’uomo, e non viceversa.

In merito all’attuale situazione – anche di mala-economia, esemplificata dalle dichiarazioni di economisti italiani ed europei – ripropongo qui le mie riflessioni già presentate in un commento a un interessante post su FB. Buona lettura a chi avrà la bontà di leggere tutto questo mio non breve post, in coda al quale c’è una sorpresa bibliofila

Scandaloso l’implicito o esplicito inneggiare ad abbassare l’aspettativa del vivere in nome di esigenze economiche, laddove proprio l’economia – in origine (antropologicamente) pertinente alla gestione delle risorse al servizio dell’uomo – dovrebbe supportare l’uomo, di tutto il pianeta e non solo di una nazione o di una più o meno ristretta comunità di stati. Tuttavia, a parte evidenti aberrazioni come spese mllitari o altro (a cui si accenna nell’articolo), in generale mi sembra sia un segnale di come la tradizionale divisione netta delle fasi della vita – studio-lavoro, lavoro-hobby, lavoro-pensione, un lavoro o mestiere o professione, più o meno uguale per tutta la vita, poi il più o meno completo disimpegno occupazionale fino alla morte – sia in crisi storica: uno dei maggiori problemi, ormai non più sostenibile, ritengo sia pretendere di svolgere un’unica professione per tutta la vita, professione con cui poi la media delle persone si identifica; ciò andrebbe “abbinato”, poi, con le attività “socialmente utili”; questi due elementi – un po’ come le aziende che, nel tempo, modificano la propria “mission” e si “riconvertono” dinamicamente – andrebbero evolutivamente associati in un giro virtuoso in favore dell’economia tutta, anche quella “finanziaria”, che produce “ricchezza” monetaria. Le nuove tecnologie, il lavoro a distanza, lo smart-working, dovrebbero e potrebbero supportarci in tal senso, supportare le diverse attività nelle diverse fasi della vita, “valorizzando” anche molti “pensionati” ancora relativamente “giovani”, almeno in termini di energie e intelligenze, per far sì che i medesimi restituiscano, con nuove differenti modalità e attività rispetto alla loro giovinezza, un utile, un “R.O.I.” alla comunità che li circonda. Piuttosto che divisioni nette – quelle di cui sopra – creare e sostenere un “continuum”, un gradiente di attività lungo il quale spostarsi nei tempi della vita, nel rispetto di sé stessi, degli altri, delle pensioni, dell’economia e della vita stessa. Produrre forsennatamente da giovani ed essere un peso da anziani, con stacchi netti che appartenevano alle generazioni dei nostri genitori, credo non sia più sostenibile, come non lo è accorciare le aspettative di vita. “Lavorare meno, lavorare tutti, in modo diverso in base ai tempi della vita”.

A latere, non necessariamente o univocamente in questa chiave di lettura (le idee e i concetti di cui sopra sono miei e miei soli, magari indirettamente inluenzati da temi e idee di altri ), segnalo il libro di Kate Raworth “L’economia della ciambella”, Edizioni Ambiente, 2017; vorrei che gli economisti di cui sopra lo leggessero, così come pure leggessero le mie idee e i miei concetti!!!

#AttendendoDiRiSocializzare

[Fabio Sommella, 30 marzo 2020]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Una risposta a “Un’economia al servizio dell’uomo, e non viceversa.”

  1. L’attivita economica non riguarda solo il profitto ma comprende relazioni e significati. Il mondo economico, se non viene ridotto a pura questione tecnica, contiene non solo la conoscenza del come (rappresentato dalle competenze) ma anche del perche (rappresentata dai significati). Una sana economia pertanto non e mai slegata dal significato di cio che si produce e l’agire economico e sempre anche un fatto etico. Tenere unite azioni e responsabilita, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operativita e rispetto dell’ambiente diventano elementi che nel tempo garantiscono la vita dell’azienda. Da questo punto di vista il significato dell’azienda si allarga e fa comprendere che il solo perseguimento del profitto non garantisce piu la vita dell’azienda. Oltre a queste questioni legate piu direttamente all’azienda, dobbiamo lasciarci interpellare da cio che sta intorno a noi. Non e piu possibile che gli operatori economici non ascoltino il grido dei poveri. Ancora Paolo VI, – e voglio qui citarlo integralmente per la sua importanza – affermava nella che «la legge del libero scambio non e piu in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora e uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa cambia, pero, quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano “liberamente” sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: e il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa. L’insegnamento di Leone XIII nella

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