Psicologia sociale e vita: autoaccrescimento e utilità della bugia.

La maggior parte degli individui ha una preferenza per esperienze familiari, prevedibili e stabili; sperimentazione di sorta di facilità a confrontarsi col noto e col prevedibile.

Le persone generalmente realizzano questa motivazione alla coerenza adottando strategie d’azione capaci di confermare le convinzioni a proposito di sé ed evitando situazioni e interazioni personali capaci di contraddire le loro auto-concezioni.

In Psicologia Sociale, esaminando alcuni studi e lezioni sulla motivazione del Sé (Cfr. le Fonti bibliografiche in coda a questo articolo),  emerge – si potrebbe dire in modo dirompente – la sistematica tendenza a esagerare le caratteristiche positive di sé; ovvero: gli individui realizzano una autopromozione a vantaggio della propria immagine.

Qual è il nascosto significato funzionale di questo fenomeno? (Dell’umana vanità?)

Questi studi attestano che “è proprio grazie a queste tendenze sistematiche, in favore del Sé, che il tono positivo e affettivo, del proprio vissuto, tende in qualche modo a mantenersi alto in termini di intensità e, le prospettive concernenti il futuro, si proiettano come favorevoli a livello di aspirazione”. Al contrario giudizi negativi metterebbero in crisi l’autostima delle persone e si genererebbe una situazione depressiva per le medesime.

Nel manifestarsi di questa tendenza auto-accrescitiva, pur se ciò implica una tendenza in qualche modo a barare, si riscontrerebbe un forte valore adattivo per la specie dal momento che tramite l’auto-accrescimento:

  1. gli individui si manterrebbero sereni
  2. gli individui conseguentemente si prenderebbero cura degli altri

Inoltre convivendo con una propria immagine positiva le persone

  1. troverebbero energia per impegnarsi in lavori creativi
  2. favorendo l’adattamento sociale e personale.

Ecco così che, nella specie umana, nella sua cultura e storia (e chissà se anche in altre specie biologiche), verrebbe riscontrata l’utilità della bugia!

Un triste quadro, a seconda dei punti di vista, si evincerebbe, sulla scia di molti motti popolari o poetici: si pensi al “Meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani!”, come appunto poeticamente recitava Renato Zero qualche decennio fa; o “io penso positivo perché son vivo”, pur se il positivo non debba necessariamente coincidere con il barare circa se stessi. Esempi artistici, fino all’eccesso e al paradosso, possono rintracciarsi anche nel cinema; un esempio per tutti: Borotalco di Carlo Verdone.

In definitiva l’animale uomo segue la linea: “Inganniamoci e, se non proprio felici, saremo probabilmente in apparenza maggiormente sereni”; condotta che almeno alcuni politici devono aver fatto propria da lungo tempo.

[Fabio Sommella, 03 novembre 2022, (rieditato da versione originaria del 1 giugno 2015)]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Fonti bibliografiche

  1. Swann, W. B., & Read, S. J. (1981). Acquiring self-knowledge: The search for feedback that fits. Journal of Personality and Social Psychology, 41(6), 1119–1128. https://doi.org/10.1037/0022-3514.41.6.1119
  2. Kuiper e Derry, 1983, https://link.springer.com/article/10.1007/BF01172886 )
  3. UNINETTUNO, Corso di Teorie e metodi della psicologia sociale – Lezione n. 12: Le motivazioni del sè  Università Telematica Internazionale UNINETTUNO: Laurea Online (uninettunouniversity.net)

Fonti delle immagini

https://it.freepik.com/vettori-premium/uomo-che-dice-bugie_17479403.htm

 

 

Il processo emozionale – Tra psicologia, biologia e società: un altro processo adattivo

Diversamente da quanto ritenuto fino a qualche decennio fa, numerose sono le evidenze, tanto neuro-anatomiche quanto funzionali, di come le emozioni non possano essere più considerate un’area “minore” nell’ambito della psicologia cognitiva o addirittura “estranea” a molti altri processi cognitivi. Ad esempio è ormai riconosciuto che:

  • nell’elaborazione emozionale hanno un fondamentale ruolo le connessioni bidirezionali tra il nucleo mediale del pulvinar (talamo) e molteplici regioni cerebrali (ad esempio la corteccia orbitofrontale, la corteccia parietale, l’insula) [Turatto, Massimo. PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition) (p. 416). MONDADORI EDUCATION. Kindle Edition];
  • la psicologia delle emozioni, all’interno di un approccio multidisciplinare comprendente la psicologia dei processi cognitivi, la psicologia delle differenze individuali e le neuroscienze, ricopre un ruolo di rilievo per comprendere e studiare la memoria prospettica [ Maria Antonella Brandimonte, La Memoria prospettica, Videolezioni UniNettuno]

Ormai consolidato il fondamentale ruolo delle emozioni nella modulazione dei processi cognitivi, le medesime possono essere collocate lungo una sorta di gradiente: emozioni, stati d’animo, stress, stati affettivi.

Caratterizzate da durata di pochi secondi, pur se di elevata intensità, le emozioni si distinguono dagli stati d’animo o mood, i quali durano minuti o ore ma con basse intensità; ancora, si distinguono dallo stress, condizione consistente in una serie di intense modificazioni a livello soggettivo – vegetativo e neuroendocrino – il quale presenta una durata temporale ancor più estesa, da mesi ad anni. A loro volta – emozioni, stati d’animo, e stress – sono pure diversi dai tratti affettivi, ancor più stabili e che spesso accompagnano una persona per l’intera vita.

Già negli anni ’60 Herbert Simon – psicologo, economista e informatico – considerava le emozioni come segnali di controllo in grado d’interrompere le attività in corso riordinando le priorità del soggetto. Le emozioni, tra le altre cose, generano un processo di valutazione (appraisal) che avviene in tempi brevi di 100-200 millisecondi. Potenziali corticali evento-relati, con attivazione dei circuiti motivazionali cortico-limbici, forniscono risposte precoci dell’elaborazione dello stimolo (Codispoti-Ferrari, 2018) comportando modifiche rapide e automatiche nella reattività dei muscoli del volto.

In merito alla rilevanza della muscolatura del volto nelle risposte emozionali, va ricordato che gli anatomisti comparati (Alfred Romer, Anatomia comparata dei vertebrati) affermano che la muscolatura del volto raggiunge il massimo dello sviluppo proprio nella specie umana, ponendo ciò in relazione all’espressività delle emozioni nell’uomo.

In merito viceversa alle funzionalità, negli anni ’80 Ulf Dimberg osservò che nei processi di valutazione, in relazione allo stimolo, si contraggono in modo rapido (400-500 ms) e involontario i muscoli corrugatore e zigomatico.

Quindi, in definitiva, sia a livello anatomico che funzionale, si concorda che l’attività dei muscoli facciali riflette processi automatici di valutazione dello stimolo emozionale.

Rilevanti ancora oggi, nella filiera storica degli studi sulle emozioni, appaiono però le teorizzazioni di Richard Lazarus (1922-2002) secondo il quale le emozioni non compaiono in maniera casuale e improvvisa ma sono l’esito di come percepiamo e valutiamo le condizioni ambientali rispetto al nostro benessere.

Richard Lazarus

Lazarus, negli anni ’90, propone la modellizzazione delle emozioni come sindromi, sintomi che si manifestano insieme, in modo tale che nessuno di questi “sintomi”, considerato singolarmente, risulta essenziale per la diagnosi. Da qui discende la strutturata formalizzazione di Lazarus delle emozioni come pluri-stratificazione di processi psicologico-cognitivi pure notevolmente diversi. Sono coinvolti, a più livelli e in relazioni bidirezionali, la personalità, la situazione, processi di stima-valutazione (il già citato appraisal), azioni e tendenza alle azioni, esperienze, fisiologia, focalizzazioni sui problemi e sul loro superamento (coping). I fenomeni pertinenti all’emozione hanno una natura eminentemente socio-comunitaria che Lazarus (1991) inquadra, saggiamente, nella più ampia e interdisciplinare Teoria dei Sistemi.

Qualora fosse necessario, la commistione di aree cognitive nel processo emozionale, in questo caso con i processi motivazionali, è ulteriormente attestata da Nico Frijda (1927-2015) quando afferma che, all’origine della risposta emozionale ci sono processi cognitivi inconsapevoli di valutazione del significato dell’evento in quanto, dietro a ogni emozione, c’è sempre una motivazione.

All’appraisal, valutazione dell’emozione, son state attribuite sempre più dettagliate dimensioni da studiosi quali Scherer e Roseman che hanno messo a punto paradigmi sperimentali per manipolare i processi di valutazione misurando esperienze soggettive, risposte espressivo-comportamentali e risposte fisiologiche. Su quasi tutto ciò si sorvola volutamente riscontrandovi limiti di frammentarietà e mancanza di una pur desiderata visione integrata e organica.

Anche per Joseph LeDoux, 2017, analogamente a James Russell (già critico verso i famosi modelli espressivi delle emozioni di Paul Ekman), l’esperienza emozionale soggettiva non è il prodotto di circuiti neurali sottocorticali (vale a dire: l’esperienza emozionale non è il “banale retaggio” del “cervello del mammifero primitivo”) ma è il risultato di processi corticali d’integrazione, soprattutto da parte della corteccia prefrontale, quindi coinvolgenti i processi cognitivi. D’altronde – senza rischio di banalizzare – anche l’esperienza comune ci aiuta in tal senso se si pensa semplicemente che un bambino di meno di un anno che “gattona” in cima a un terrazzo privo di parapetto non avrebbe paura in quanto non avrebbe “cognizione” del pericolo; viceversa un adulto costretto in una situazione simile.

Un rapido sguardo ai substrati fisiologici delle emozioni ci indica che il sistema nervoso centrale ovviamente elabora, tra le altre cose, anche le informazioni emozionali. Quando uno stato emozionale spiacevole e intenso si prolunga nel tempo – chiamasi ciò, come già detto, stress – si hanno ovviamente risposte viscerali e risposte somatiche ma, oltre a queste, si scatenano modificazioni neuroendocrine attraverso il  coinvolgimento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (in inglese, allostatic load). La corticale del surrene, in particolare, produce il cortisolo, ormone acceleratore del metabolismo che migliora la reattività anche all’evento emozionale; il cortisolo, insieme all’adrenalina, secreta dalla midollare del surrene, coopera inoltre al consolidamento delle informazioni in memoria. Malgrado ciò, se l’allostatic load – lo stato di stress intenso – si ripete in maniera ininterrotta e l’organismo non riesce ad auto-regolarsi – ovvero non si adatta o non mette in atto un’inibizione a tale risposta – l’elevato livello di cortisolo può causare molteplici conseguenze negative sull’organismo, giungendo così all’allostatic over-load tra cui l’immunodepressione (alterazione della risposta immunitaria che diviene insufficiente) nel combattere virus e tumori (McEwen, 2016).

In definitiva, analogamente a molte altri processi psicologici o biologici, anche l’Emozione, riprendendo la modellizzazione di Lazarus (1991), «non è un accidente di percorso ma una risposta articolata che ha la funzione di aiutare l’organismo a fronteggiare con successo situazioni “di crisi”»; ovvero, relativamente alle crisi dell’esistenza, le emozioni ricoprono speranze di successo  omeostatico e posseggono un eminente valore adattivo per i viventi.

[Fabio Sommella, marzo 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

La motivazione, forza che modifica il comportamento umano – Transizioni di stato, da inerziale a non-inerziale, finalizzate al moto

Gli psicologi cognitivisti, ma certamente non soltanto loro, sostengono che in assenza di motivazione non c’è modifica del comportamento. Banale riprova è che anche nel quotidiano, quando non siamo motivati – o “spinti” – a fare qualcosa, rimaniamo “abulici”.

Se guardiamo all’etimologia della parola “motivazione”, troviamo che essa è ciò che “Dal punto di vista etimologico il termine motivazione deriva dal latino motus, ossia movimento e indica il muoversi di un soggetto verso qualcosa di desiderato. Uno scopo, un obiettivo, a seconda dell’importanza emotiva attribuitagli, permette di affrontare con forza e grinta una specifica fatica o rinuncia.” [Da https://www.metodo-ongaro.com/blog/motivazione-vuol-dire-movimento]

Guardando ad altre scienze, è inevitabile comparare la motivazione, in psicologia, a ciò che, in fisica/meccanica/dinamica, è la forza/accelerazione. Tanto la motivazione che la forza sono entità che permettono al sistema di pertinenza – in psicologia questo è l’animale o la persona di cui si vuole studiare il comportamento, in fisica è un oggetto, ad esempio un ascensore – di transitare da uno stato a un altro.

In biologia e in psicologia, in condizioni fisiologiche, al termine dell’azione motivante (la ricerca del cibo da parte di un animale che ha fame), l’animale sazio si acqueta e magari si addormenta. In fisica/meccanica/dinamica si parlerebbe di transizione del sistema “animale” da un iniziale stato inerziale (animale in quiete) a uno stato non inerziale (animale alla ricerca del cibo) e infine a un nuovo stato inerziale (animale sazio che si riposa).

Il Primo Principio della Dinamica (Principio di Inerzia) afferma che, se su un corpo non agiscono forze oppure agisce un sistema di forze in equilibrio, il corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Esempio tipico è l’ascensore: ferma a un piano del palazzo, se viene “chiamata”, una forza acceleratrice si eserciterà su di lei che transiterà dallo stato inerziale di quiete a uno stato non inerziale di moto accelerato che, dopo un intervallo di tempo, diverrà stato inerziale di moto rettilineo uniforme (costante) per un intervallo di tempo; ciò finché un altro sistema di forze, stavolta frenanti, non la farà transitare di nuovo a uno stato non inerziale di moto decelerato per tornare, infine, al precedente stato inerziale di quiete, seppure a un diverso piano.

Nelle fasi di accelerazione e decelerazione sull’ascensore si esercitano delle forze con risultante non nulla; analogamente quando un animale è sollecitato da motivazioni (la fame), esso si mette alla ricerca di cibo; viceversa, quando le sue motivazioni terminano (la sazietà), placa la propria azione.

Se il gatto è affamato, la vista del cibo, incentivo, è probabilmente in grado di scatenare nell’animale la spinta sufficiente per farlo alzare e muovere: la spinta come forza, accelerazione.

Componenti fondamentali della forza motivazionale sono il piacere (liking) e il volere (wanting). Quando il liking e il wanting riguardano esperienze non necessariamente consapevoli sono definiti «liking» e «wanting». Gli psicologi distinguono motivazioni fisiologiche, dove il liking e lo wanting non sono dissociati, dalle motivazioni patologiche, in cui liking e wanting sono dissociati e mostrano una qualche forma, meno o più accentuata, di indipendenza, dissociazione appunto.

Riprendendo l’analogia con le scienze fisiche e le forze della meccanica/dinamica, si può affermare che: se nella motivazione fisiologica, il sistema organismo transita da uno stato non inerziale (riposo) a uno stato inerziale (ricerca dell’incentivo, ad esempio il cibo), per poi tornare a uno stato inerziale (la sazietà e quindi il nuovo riposo), nella motivazione patologica, ad esempio nelle tossicodipendenze ma anche – più semplicemente – nell’avidità di oggetti (si pensi, in ambiti sociali opulenti, all’accumulo ininterrotto di beni spesso superflui, inutili o deleteri), l’organismo transita da uno stato inerziale (indipendenza dal desiderio dell’oggetto) a uno stato non inerziale (ricerca compulsiva dell’oggetto) senza tornare però mai (o con estrema difficoltà) a uno stato non inerziale (indipendenza dal desiderio del medesimo) bensì incrementando lo stato non inerziale (aumento della necessità compulsiva dell’oggetto del desiderio): uno scenario in cui, appunto, si accentua sempre più la dissociazione fra liking e wanting.

Allargando questo scenario dalla scala individuale o da quella di un comunque ristretto gruppo sociale a una scala politico-sociale planetaria, la ricerca sulla motivazione – intesa come forza modificatrice del comportamento – ci può condurre a riflessioni significative circa i disequilibri del mondo contemporaneo e della storia. Una di queste è la domanda che nel 1980, pochi giorni prima di morire, si poneva ancora Erich Fromm: “Può un’intera società essere malata?”

https://www.bing.com/videos/search?q=%22Pu%c3%b2+un%27intera+societ%c3%a0+essere+malata%22+Fromm&docid=608046732298821060&mid=463FB8DE4725805C7270463FB8DE4725805C7270&view=detail&FORM=VIRE

[Fabio Sommella, marzo 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

La Motivazione – Un processo mutevole che può esser patologico

Nella storia della psicologia il concetto di motivazione, almeno nelle sue origini, risente dei concetti darwiniani di evoluzione e di istinto, quest’ultimo inteso come schema comportamentale innato avente base genetica piuttosto che appresa. Pertanto vengono a distinguersi due tipologie di comportamento motivato: 1) predeterminato e/o automatico, 2) appreso.

Affinché un comportamento motivato sia ripetuto dal soggetto o dall’animale, il medesimo deve implicare una componente edonica, ovvero il comportamento in questione deve generare una conseguenza piacevole, una soddisfazione.

Sarà il comportamentismo di Thorndike e Skinner a sostituire il concetto edonico di soddisfazione con quello meccanicistico di rinforzo e il concetto di insoddisfazione con quello di punizione (siamo storicamente nella prima metà del XX).

La teoria della motivazione di Clark Hull, la Drive Reduction Theory (Teoria della riduzione della pulsione che agirebbe da rinforzo), sempre connessa all’apprendimento, offre una visione di tipo fortemente omeostatico.

Questa sarà messa in ombra dai lavori di James Olds e Peter Milner (1954] e dalla “scoperta” dei centri del piacere (ipotalamo laterale, nucleus accumbens).  Un altro cambiamento di paradigma è la revisione del concetto di ricompensa (reward) dalla concezione meccanicista di rinforzo a un ruolo tipicamente motivazionale come incentivo.

Bindra, 1978, e poi Toates mostreranno che il CS (stimolo condizionato) assume le proprietà motivazionali – incentivanti – dello stimolo incondizionato (US); da ciò ci si chiederà come, gli stimoli incentivanti, possano interagire con lo stato di bisogno. Si risponderà che le qualità edoniche di un’esperienza sensoriale sono funzione dello stato dell’organismo (Alliiesthesia). In definitiva, secondo Bindra-Toates, apprendere che un CS anticipa una ricompensa (Condizionamento Pavloviano) implica il trasferimento di proprietà motivazionali dalla ricompensa al CS.

Kent Berridge e Terry Robinson riprendono le teorizzazioni di Bindra e Toates implementandole in una teoria complessa di componenti psicologiche, ciascuna definibile e manipolabile in modo singolo e avente una determinata base neurobiologica: 1) apprendimento (relazione fra stimoli ambientali), 2) consapevolezza (relazioni causali fra azioni e conseguenze), 3) reazione edonica (reward implica liking o piacere), 4) motivazione (wanting). La prospettiva di Berridge&Robinson disegna quindi un sistema ambiente/organismo/ricompensa di cui la MOTIVAZIONE viene inquadrata come il quarto momento dopo APPRENDIMENTO, CONSAPEVOLEZZA e PIACERE.

Da qui deriverebbero tutta una serie di misurazioni oggettive e soggettive del piacere e del volere [liking, soggettivo e dichiarato; «liking», oggettivo e inconscio/inconsapevole (analoga cosa per il wanting/«wanting»)] poiché esisterebbe la possibilità, per quanto sorprendente e controintuitiva, che ci siano stati di piacere e volontà che restano a livello implicito e inconsapevole [NdR: l’inconscio?] In tal senso si pensi a persone che reagiscono a ricompense e rinforzi senza coscienza (liking e wanting senza consapevolezza). Inoltre il «wanting» sarebbe desiderio viscerale, la componente puramente motivazionale della ricompensa, componente non necessariamente cosciente ma che può essere totalmente irrazionale, giacché si può desiderare qualcosa senza sapere perché e nonostante la consapevolezza che l’oggetto del nostro desiderio sarà per noi fonte di problemi (la vita ma anche la letteratura e il cinema sono stracolmi di esempi in tal senso).

Si giunge così a parlare di SALIENZA MOTIVAZIONALE (Berridge & Robinson 2016, ecc.) secondo cui 1) lo stimolo avrà il potere di attrarre, automaticamente, la nostra attenzione; inoltre, 2) diverrà esso stesso uno stimolo analogo alla ricompensa in quanto investito di salienza motivazionale; 3) sarà in grado di scatenare o rafforzare la voglia e la ricerca della ricompensa a cui è legato. Da qui originerebbe la separazione fra «liking» e «wanting», con tutte le implicazioni conseguenti relative alla motivazione patologica. In merito, oltre alle situazioni disadattive del quotidiano, si veda anche la separazione fra apprendimento e motivazione nell’impotenza appresa (indotta) nei cani (Martin Seligman, 1972).

In base ai dati di ricerca degli ultimi decenni, si pensa che i processi mentali legati alla ricompensa siano più complessi dei modelli disponibili.

Motivazioni patologiche sono le dipendenze. Per molte, come per quelle da sostanze stupefacenti. (Dati neurofisiologici sui ratti, Berridge & Robinson, 1998] non son state trovate valide spiegazioni e cure.

Le dipendenze sono definite disordini cerebrali cronici e recidivi caratterizzati dal desiderio e dal consumo compulsivo di sostanze, malgrado siano note ai soggetti le conseguenze negative di tale azione. Tutte le dipendenze hanno elementi in comune che sono: 1) il progressivo aumento del consumo e del desiderio («wanting») della sostanza fino alla smania compulsiva; 2) l’originarsi di ricadute, anche dopo tempo dalla cessazione del consumo; 3) dissociazione fra piacere («liking») originato dalla sostanza, che permane stabile o addirittura diminuisce, e l’aumento della necessità («wanting») di assumere compulsivamente la sostanza.

[Fabio Sommella, febbraio 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)