La Motivazione – Un processo mutevole che può esser patologico

Nella storia della psicologia il concetto di motivazione, almeno nelle sue origini, risente dei concetti darwiniani di evoluzione e di istinto, quest’ultimo inteso come schema comportamentale innato avente base genetica piuttosto che appresa. Pertanto vengono a distinguersi due tipologie di comportamento motivato: 1) predeterminato e/o automatico, 2) appreso.

Affinché un comportamento motivato sia ripetuto dal soggetto o dall’animale, il medesimo deve implicare una componente edonica, ovvero il comportamento in questione deve generare una conseguenza piacevole, una soddisfazione.

Sarà il comportamentismo di Thorndike e Skinner a sostituire il concetto edonico di soddisfazione con quello meccanicistico di rinforzo e il concetto di insoddisfazione con quello di punizione (siamo storicamente nella prima metà del XX).

La teoria della motivazione di Clark Hull, la Drive Reduction Theory (Teoria della riduzione della pulsione che agirebbe da rinforzo), sempre connessa all’apprendimento, offre una visione di tipo fortemente omeostatico.

Questa sarà messa in ombra dai lavori di James Olds e Peter Milner (1954] e dalla “scoperta” dei centri del piacere (ipotalamo laterale, nucleus accumbens).  Un altro cambiamento di paradigma è la revisione del concetto di ricompensa (reward) dalla concezione meccanicista di rinforzo a un ruolo tipicamente motivazionale come incentivo.

Bindra, 1978, e poi Toates mostreranno che il CS (stimolo condizionato) assume le proprietà motivazionali – incentivanti – dello stimolo incondizionato (US); da ciò ci si chiederà come, gli stimoli incentivanti, possano interagire con lo stato di bisogno. Si risponderà che le qualità edoniche di un’esperienza sensoriale sono funzione dello stato dell’organismo (Alliiesthesia). In definitiva, secondo Bindra-Toates, apprendere che un CS anticipa una ricompensa (Condizionamento Pavloviano) implica il trasferimento di proprietà motivazionali dalla ricompensa al CS.

Kent Berridge e Terry Robinson riprendono le teorizzazioni di Bindra e Toates implementandole in una teoria complessa di componenti psicologiche, ciascuna definibile e manipolabile in modo singolo e avente una determinata base neurobiologica: 1) apprendimento (relazione fra stimoli ambientali), 2) consapevolezza (relazioni causali fra azioni e conseguenze), 3) reazione edonica (reward implica liking o piacere), 4) motivazione (wanting). La prospettiva di Berridge&Robinson disegna quindi un sistema ambiente/organismo/ricompensa di cui la MOTIVAZIONE viene inquadrata come il quarto momento dopo APPRENDIMENTO, CONSAPEVOLEZZA e PIACERE.

Da qui deriverebbero tutta una serie di misurazioni oggettive e soggettive del piacere e del volere [liking, soggettivo e dichiarato; «liking», oggettivo e inconscio/inconsapevole (analoga cosa per il wanting/«wanting»)] poiché esisterebbe la possibilità, per quanto sorprendente e controintuitiva, che ci siano stati di piacere e volontà che restano a livello implicito e inconsapevole [NdR: l’inconscio?] In tal senso si pensi a persone che reagiscono a ricompense e rinforzi senza coscienza (liking e wanting senza consapevolezza). Inoltre il «wanting» sarebbe desiderio viscerale, la componente puramente motivazionale della ricompensa, componente non necessariamente cosciente ma che può essere totalmente irrazionale, giacché si può desiderare qualcosa senza sapere perché e nonostante la consapevolezza che l’oggetto del nostro desiderio sarà per noi fonte di problemi (la vita ma anche la letteratura e il cinema sono stracolmi di esempi in tal senso).

Si giunge così a parlare di SALIENZA MOTIVAZIONALE (Berridge & Robinson 2016, ecc.) secondo cui 1) lo stimolo avrà il potere di attrarre, automaticamente, la nostra attenzione; inoltre, 2) diverrà esso stesso uno stimolo analogo alla ricompensa in quanto investito di salienza motivazionale; 3) sarà in grado di scatenare o rafforzare la voglia e la ricerca della ricompensa a cui è legato. Da qui originerebbe la separazione fra «liking» e «wanting», con tutte le implicazioni conseguenti relative alla motivazione patologica. In merito, oltre alle situazioni disadattive del quotidiano, si veda anche la separazione fra apprendimento e motivazione nell’impotenza appresa (indotta) nei cani (Martin Seligman, 1972).

In base ai dati di ricerca degli ultimi decenni, si pensa che i processi mentali legati alla ricompensa siano più complessi dei modelli disponibili.

Motivazioni patologiche sono le dipendenze. Per molte, come per quelle da sostanze stupefacenti. (Dati neurofisiologici sui ratti, Berridge & Robinson, 1998] non son state trovate valide spiegazioni e cure.

Le dipendenze sono definite disordini cerebrali cronici e recidivi caratterizzati dal desiderio e dal consumo compulsivo di sostanze, malgrado siano note ai soggetti le conseguenze negative di tale azione. Tutte le dipendenze hanno elementi in comune che sono: 1) il progressivo aumento del consumo e del desiderio («wanting») della sostanza fino alla smania compulsiva; 2) l’originarsi di ricadute, anche dopo tempo dalla cessazione del consumo; 3) dissociazione fra piacere («liking») originato dalla sostanza, che permane stabile o addirittura diminuisce, e l’aumento della necessità («wanting») di assumere compulsivamente la sostanza.

[Fabio Sommella, febbraio 2022]

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