LA ROMA AMOR DI DAVIDE CHERUBINI

Erano ormai anni, seppure non moltissimi (sei? otto?) – comunque dopo le nostre collaborazioni in Immagini e Parole e Immagini e Sonetti, queste databili al primo decennio del 2000 – che chiedevo all’amico Davide Cherubini (al secolo…, ma lo dice Lui nel libro) perché mai – tra le tante città del Mondo che lui aveva omaggiato attraverso la propria visione artistica – non avesse ancora realizzato un libro su Roma, che del resto è anche la sua città – ma anche questo, semmai, lo lascio specificare a lui – certamente di adozione, crescita affettiva, studio e lavoro, di amore/odio e quant’altro ancora.

Davide, puntualmente, mi rispondeva in maniera evasiva: com’erano le sue risposte? «Ma, Roma, è troppo complessa… Roma è troppo ricca… Roma è infinita…» e così via, con queste o con altre menate del genere.

Finalmente, Davide, ha ceduto. E forse – non posso escluderlo – con le mie provocazioni ho un po’ contribuito a solleticare la sua vanità d’artista e a fargli accettare la sfida. Fatto sta… ecco qui, nella consueta accuratissima veste grafica, il sontuoso risultato: ROMA AMOR.

È questo un superbo affresco corale – una visione felliniana del XXI? In effetti le radici di Davide sono tali che si potrebbe pensare… ophs, che ho detto? 😊 – di alcune delle più belle vedute della nostra – nel mio caso, sempre con amore/odio, è il caso di dirlo – Città Eterna. E la bellezza – nonché, per quanto mi riguarda, anche la commozione – affiora netta e inconfutabile allorché Davide indugia, ripetutamente e ritmicamente, con il proprio obiettivo – quale o quali, nello specifico, mai domandarlo all’artista in quanto è un aspetto tecnico, di banale dettaglio, che Colui lascia prontamente cadere con sussiego – su un medesimo particolare soggetto: che sia il Pantheon o Piazza di Spagna o altro… fa nulla!

Come un volto di donna cangiante in momenti fuggevoli – che si glorifica d’immensità eterea o di attimi voluttuosi, che s’adombra di cupidigia o s’illumina di solenne magnanimità, che s’inorgoglisce di spocchia aristocratica o s’altera di fierezza plebea, che si compiace di sé o recalcitra riluttante – ROMA – sacra e profana, santa e meretrice, predicatrice e blasfema, aulica e triviale – emerge ogni volta come AMOR – al contempo tanto puro che contaminato – nei colori, luci, ombre rivivificati dall’occhio di Davide e viene restituita al lettore/osservatore come pura – questa si – pietas perennemente rinnovellantesi.

[Fabio Sommella, 21 dicembre 2018]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Ancora sulle motivazioni e ragioni dello scrivere

 

Voglio trattare qui le motivazioni e le ragioni dello scrivere: riguardi ciò le  poesie, i racconti, i romanzi, la saggistica, sia essa critica letteraria o cinematografica, le composizoni musicali…

Se ho già trattato in forma critica anche questi aspetti nel mio Passaggi molteplici nel romanzo postmoderno: Bianciardi, Calvino, DeLillo, Eco, in particolare nelle pp. 33-40, argomentando su alcune interessanti tesi di autorevoli autori (per i riferimenti di base si veda qui) e in forma di fiction nel mio raccontino dialogico Perché scriviamo, presente su questo stesso sito, mi fa piacere tornare qui ancora in chiave critica per puntualizzare alcuni aspetti.

Vero: c’è troppo rumore. E non sempre – forse quasi mai – la mole di ciò che si scrive va di pari passo con la qualità. Anzi: spesso – specie  nell’alveo dei neoscrittori – la qualità è scarsa; mentre le pretese di riconoscimento sono alte. Spesso non si ha l’umiltà – non abbiamo l’umiltà –  di riconoscere che per pretendere si deve anche sapere; e per sapere si deve studiare, riflettere, elaborare, impegnarsi, affinarsi, esercitarsi… trovare nessi. Nessi transdisciplinari, trasversali, across. Pur mantenendo ovviamente – e ciò è davvero arduo – il senso della realtà.

Ma spesso vogliamo il risultato senza tutto ciò.

Oggi – grazie alle, o per colpa delle, nuove tecnologie e internet – scriviamo tutti; certamente molti; forse in troppi. Ciò a differenza di trenta-quaranta anni fa, quando la possibilità di scrivere, di diffondere i propri scritti, di giungere a una qualche pur marginale editoria, era sicuramente inferiore e limitatissima.

Tuttavia…

Mi sovviene (!?!) un parallelismo fra arte in genere ma più in particolare l’arte dello scrivere – o pretesa tale – e vita. Chi ha nozioni generali di biologia o ha dedicato parte del proprio tempo allo studio di questa, sa bene che la vita – con la sua varietà di forme e adattamenti –  attecchisce nei luoghi più impensati. Certo: la vita si basa sulla presenza di acqua, sulle molecole organiche o chimica del carbonio, generalmente richiede la presenza di ossigeno, ha un metabolismo guidato da enzimi, implica macromolecole quali acidi nucleici e proteine, ecc. ma – in definitiva –  forme di vita attecchiscono, si adattano, si diffondono, si sviluppano, si trasformano anche nei luoghi più inospitali e impervi del nostro pianeta.

E l’arte in generale, probabilmente, non è da meno. Può anch’essa sorprenderci sorgendo e sviluppandosi negli ambiti più inconsueti e inattesi. nelle aree di minor sviluppo e diffusione culturale. O – forse è meglio dire – di differente sviluppo culturale.

Ma, con il sudddetto parallelismo, possiamo spingerci oltre: parallelizzare l’arte – o sempre pretesa tale – e la bellezza. Anche quest’ultima può attecchire e svilupparsi nei luoghi più impensati. Come scriveva il Maestrone Francesco, nel suo Autogrill? “Bella d’una sua bellezza acerba / bionda senza averne aria / così triste come i fiori e l’erba / di scarpata ferroviaria…“.  Fiori ed erba di scarpata ferroviaria: tristi, – perché in luogo di abbandono – eppure di una bellezza estrema.

Il tanto – troppo – rumore che molesta e fa disdegnare gli aristocratici intelletti dovrebbe tener conto della meravigliosa chiosa del felliniano 8 ½. Fellini, Flaiano & Co., cosa fanno pronunciare al protagonista Guido Anslemi, quando egli sta per abbandonare il suo progetto artistico, che ritiene votato al completo fallimento, ma viceversa avverte un’inaspettata gioia che ha attecchito nella sua interiorità germogliare adesso, inondandolo di una meravigliosa quanto sorprendente felicità? “È una festa la vita: viviamola insieme!

Perché scrivere, se lo senti importante, è come bere o respirare.” [Da Perché scriviamo]

Vale anche – e soprattutto – per i denigratori del diffuso e capillare scrivere: sia esso poesia, narrativa, saggistica, musica… 😊

[Fabio Sommella. 15-16 dicembre 2018]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Discordanze e comprensione (verità, rivoluzione e tragico)

Quando parli con tuo figlio – studente di cinema – e scoprite delle discordanze reciproche sull’accezione di ‘postmoderno filmico’ – lui sulla base dei trattati canonici accademici, tu della tua visione trasversale multidisciplinare – e, seppure convenite che esistono molteplici viste e angolazioni (come in ogni ‘opera aperta’), lui ti dice [NdR: sue parole spontanee ma, si sa, i giovani sovente sbagliano nei loro giudizi] “vabbeh, papà, ma alcuni di questi autori e tutor quarantenni non hanno la cultura che hai tu”, capisci allora il perché di alcune (tante?) cose.
Capisci perché il tuo grande amore della vita non ci sia più; il perchè dei tuoi studi giovanili; il perché le tue professioni siano state quelle e non altre; il perché di tante delusioni; il perché di tante amicizie nei decenni; il perché dei tanti amori, antichi e recenti; il perché di tanti esiti.
Capisci perché sei persuaso che la veritá sia sempre rivoluzionaria ma debba sempre fare i conti – quasi sempre perdendo – con le nostre istanze tragiche.

[Roma, 29 novembre 2018]

Te e io per altri giorni – Estate 2015

 

Panacee per altre vite

Cosa affermava Umberto Eco? Tra le tante cose, l’illustre semiologo diceva che, leggendo romanzi, si vivono più vite; non solo la propria.

Così è anche vedendo film video. Si badi bene: d’arte, non porno, é!

E allora, perché non ammirare la splendida interpretazione di Jane Fonda in A piedi nudi nel parco (“tra danza cambogiana della fertilità e un’arringa legale”), 1967, di Gene Saks? Dalla pièce teatrale di Neil Simon.

Bravo anche Redford, certo, ma… Jane non avrebbe meritato l’Oscar? Per i registri interpretativi che tocca in maniera esaltante.

Oppure Molto rumore per nulla (“Gli uomini sono esseri volubili”)? Naturalmente da Shakespeare, 1993, di Kenneth Branagh. Film con uno stuolo d’attori che danno magnifico corpo a una grande prova d’autore. L’epico movimento di macchina della corale sequenza finale – un mastodontico dolly? Un elicottero? – vale da solo un film

Contro l’ozio e l’inedia, contro anche il vizio e – perché no? – contro il dolore, i film d’autore sono un’ottima panacea. Come i grandi romanzi. Perché  raccontano Storie. E così viviamo più vite, anche noi. 😊

[Fabio, 23 novembre 2018]

 

Un libro di Roberta Iannone: tra Capitale Sociale e Assiologia

Un testo stimolante quello di Roberta Iannone che, come sostengo nel titolo di questo breve articolo, a mio avviso coniuga due fondamentali istanze: il Capitale Sociale e l’Assiologia. Le ritengo fortemente convergenti, le due suddette istanze,  specie in questa epoca d’incertezze e – prendendo in prestito l’espressione da Corrado Augias – penso che possano fungere da ottime  “bussole per orientarci in un confuso presente“.

Roberta Iannone: Il capitale sociale. Origine, significati e funzioni

 

Gino Castaldo e il suo splendido Romanzo della canzone italiana

Sto leggendo, in ebook epub, questo saggio di storia, musicale popolare e di costume.

Davvero è interessante e ben scritto. Ha il sapore – dopo dei sapienti antefatti, soprattutto quello sulle radici secolari, nobili ai confini del classico, della canzone partenopea – della storia letteraria, della sua critica. Raccomandato a tutti gli amanti della nostra musica popolare, della canzone d’autore, della storia del costume.

Il romanzo della canzone italiana, di Gino Castaldo.

Occidente e razzismo (Quante – tristi – analogie nella contemporaneità)

“Molti americani bianchi – e in particolare quelli che abitano nel Sud rurale del Paese – conducono una vita grama, caratterizzata da una bassa scolarizzazione, lavori mediocri e un relativo stato di povertà. Il loro senso di superiorità nei confronti dei neri era l’unico privilegio a cui potevano attaccarsi. Ecco perché la presidenza di Barack Obama ha sferrato un duro colpo alla loro autostima, minando il loro presunto vantaggio sociale. È proprio sulla loro ansia e il loro risentimento che Donal Trump ha fatto leva.”

[Dall’articolo di Repubblica del 7 settembre 2018 di Ian Buruma, traduzione di Marzia Porta]

 

 

Dissonanze e Minoranze

Prendendo spunto da un mio precedente articolo – quello relativo alle Dissonanze, tanto cognitive che musicali, del 20 giugno 2018 – mi piace qui ampliare il medesimo concetto estendendolo al tema delle Minoranze nell’ambito sociale, ovvero delle grandi o piccole collettività/comunità umane. Anche perché sui blog si leggono spesso unilaterali affermazioni tipo “Le Minoranze devono necessariamente sottostare alle Maggioranze“. Beh, mi sembra il caso di affrontare la tematica – cruciale, anche nella nostra contemporaneità – con un minimo di riferimenti scientifici e non solo sull’onda dell’emotività.

Rimandando all’articolo del 20 giugno 2018 per alcuni aspetti di dettaglio – relativi alle nostre necessità di coerenza, strategie di riduzione della dissonanza cognitiva, ai parallelismi con la dissonanza musicale – interessa qui approfondire il nesso e il parallelismo con le Minoranze. A tal fine mi rifarò ad alcune mie precedenti riflessioni – datate luglio 2015 –  in epoca in cui tra le altre cose mi sono dedicato, pur provvisoriamente, ad un corso di studio in psicologia sociale.

La dissonanza cognitiva, teorizzata da Leon Festinger, svolge per la psiche un affascinante ruolo di ricerca di stabilità che, consciamente o inconsciamente o, ancora, per rimozione o per dissociazione, operiamo al fine di sottrarci all’ostinato, o naturale, cambiamento del nostro agire o sentire, con la probabile finalità di mantenimento o evoluzione del nostro .

Come già detto la citata dissonanza cognitiva richiama la dissonanza in altri ambiti di conoscenza, specificamente quello musicale per il quale, il compositore e maestro Roman Vlad, sosteneva che essa fosse “motore della storia musicale”. Un breve estratto, molto indicativo in tal senso, da p. 150 del libro indicato al suddetto link: “Fin dall’antichità ci si accorse che quanto più semplici erano i numeri di queste frazioni, tanto più  dolcemente suonavano insieme, «consonavano»  i rispettivi suoni, tanto più consonante era l’intervallo  da essi formato. (…)  A quellìepoca, e fino al Medio Evo avanzato, tutti gli altri intervalli, caratterizzati da rapporti numerici comprendenti numeri quali 5, 6, 7, 15 e 16, venivano considerati dissonanze. Anche le terze e le seste, che per le nostre orecchie suonano in modo perfettamente consonante.” [Roman Vlad, Introduzione alla civiltà musicale, Zanichelli, Bologna, 1988, p. 150]

A tutto ciò si affianca, stavolta in ambito squisitamente di psicologia sociale, il ruolo che, secondo Serge Moscovici, le minoranze svolgono nell’evoluzione sociale. L’evoluzione costante è, a parere di Moscovici, dovuta soprattutto all’influenza delle minoranze, da principio inascoltate e dissidenti, poi incidenti nell’evoluzione sociale.

Mi sembra possa avere importanza rimarcare che le minoranze, indicate da Serge Moscovici, svolgono un ruolo nel sociale analogo a quello che la dissonanza svolge nella cognizione; e che di nuovo, a questo punto, si potrebbe stilare anche una seconda proporzione: le minoranze stanno alla costante evoluzione sociale come la dissonanza, stavolta armonico-melodica indicata da Roman Vlad , sta nuovamente all’evoluzione NdR: storia] musicale.

Pertanto potremmo dire che, decisamente, siano le note stonate, o quelle che in certe fasi storiche appaiono tali – tanto socialmente quanto cognitivamente nonché ancora musicalmente – a fornire energia al motore evolutivo, in ogni ambito.

In questo scenario “gnoseologico”, forse non è marginale osservare che Festinger, pur nato a New York, era figlio di immigrati ebrei russi; Moscovici e Vlad erano entrambi romeni, il primo naturalizzato francese e il secondo naturalizzato italiano. Inoltre Festinger e Vlad erano entrambi del 1919 mentre Moscovici, poco più giovane, del 1925. Tutto ciò lascia intuire un similare analogo fervore intellettuale e culturale, epocale, originantesi dall’Europa dell’Est, macro-area per certi versi davvero minoritaria,  decisamente  dissonante, eppure potente motore di molte innovazioni culturali.

Gli attuali teorici degli orgogliosi purismi a tutti i costi – nazionali e nazionalisti – riuscirebbero a comprendere queste sottigliezze?

[Fabio, 10 agosto 2018]