Vaccino sì, Vaccino no…

“Vaccino sì, vaccino no…”: se possibile proviamo a mettere un po’ di ordine con un pizzico di saggezza e sulla scorta di cognizioni scientifiche di base, nonché con occhi e orecchi anche a quanto diffuso da autorevoli testate giornalistiche.

In Natura (come anche nella Società degli Umani) qualsiasi tipo di risposta ad uno stimolo o sollecitazione, anche la risposta immunitaria, dovrebbe dare luogo a un cambiamento fra il Prima e il Dopo; chiamiamo, questo cambiamento, Delta (similmente al “differenziale” della matematica).

Nel nostro caso è lecito aspettarsi un Delta fra il Prima della somministrazione dell’antigene Covid-19 e il Dopo della somministrazione del medesimo; le misurazioni del Prima e del Dopo dovrebbero essere effettuate nei pazienti/soggetti che si sottoporranno per primi alla somministrazione.

In assenza del Delta, la risposta sarebbe da ritenere inesistente; il vaccino sarebbe da ritenere inefficace; o, viceversa, l’organismo del paziente potrebbe essere già immunizzato/protetto, senza cognizione di ciò.

Come misurare il Delta?

Il livello degli anticorpi ematici (titolo anticorpale nel sangue) potrebbe essere una misurazione erronea, in quanto – in base a recenti ricerche e anche valide teorizzazioni (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/17/covid-cellule-t-e-immunita-crociata-cosi-la-ricerca-indaga-sulla-risposta-immunitaria-causata-da-altri-virus-come-il-raffreddore/5893209/) – l’immunità da Covid-19 sarebbe mediata non da anticorpi ma da cellule (ciò spiegherebbe anche perché, nei mesi scorsi, indagini di laboratorio orientate al dosaggio degli anticorpi per Covid-19, avrebbero quasi sempre indicato l’incapacità, dei pazienti coinvolti, a immunizzarsi).

Mi sembrerebbe pertanto indispensabile lo screening di tutti coloro che desiderano verificare il livello delle proprie difese immunitarie, vs Covid-19, SCREENING in termini di IMMUNIZZAZIONE CELLULARE e non, solo o “semplicemente” anticorpale.

Coloro che risultassero già non protetti, potrebbero, volontariamente, sottoporsi alla sperimentazione del vaccino. Negli stessi dovrebbe quindi essere misurato il Delta fra il Prima e il Dopo in termini anche di IMMUNIZZAZIONE CELLULARE.

Solo qualora il Delta indicasse una significativa risposta, si potrebbe parlare di efficacia del vaccino.

Ovviamente LA CONOSCENZA DEL PRIMA (SCREENING anche in termini di IMMUNIZZAZIONE CELLULARE) è FONDAMENTALE.

O no?

A proposito, per chi non lo ha visionato, qualche tempo fa (11 maggio 2020) la testata giornalistica RAI Report aveva diffuso questo interessante servizio: https://www.raiplay.it/video/2020/05/Report—Disorganizzazione-mondiale-00b8e61e-098e-4be8-a083-4e61778fcdb1.html

[Fabio Sommella, 17 agosto 2020]

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Un’economia al servizio dell’uomo, e non viceversa.

In merito all’attuale situazione – anche di mala-economia, esemplificata dalle dichiarazioni di economisti italiani ed europei – ripropongo qui le mie riflessioni già presentate in un commento a un interessante post su FB. Buona lettura a chi avrà la bontà di leggere tutto questo mio non breve post, in coda al quale c’è una sorpresa bibliofila

Scandaloso l’implicito o esplicito inneggiare ad abbassare l’aspettativa del vivere in nome di esigenze economiche, laddove proprio l’economia – in origine (antropologicamente) pertinente alla gestione delle risorse al servizio dell’uomo – dovrebbe supportare l’uomo, di tutto il pianeta e non solo di una nazione o di una più o meno ristretta comunità di stati. Tuttavia, a parte evidenti aberrazioni come spese mllitari o altro (a cui si accenna nell’articolo), in generale mi sembra sia un segnale di come la tradizionale divisione netta delle fasi della vita – studio-lavoro, lavoro-hobby, lavoro-pensione, un lavoro o mestiere o professione, più o meno uguale per tutta la vita, poi il più o meno completo disimpegno occupazionale fino alla morte – sia in crisi storica: uno dei maggiori problemi, ormai non più sostenibile, ritengo sia pretendere di svolgere un’unica professione per tutta la vita, professione con cui poi la media delle persone si identifica; ciò andrebbe “abbinato”, poi, con le attività “socialmente utili”; questi due elementi – un po’ come le aziende che, nel tempo, modificano la propria “mission” e si “riconvertono” dinamicamente – andrebbero evolutivamente associati in un giro virtuoso in favore dell’economia tutta, anche quella “finanziaria”, che produce “ricchezza” monetaria. Le nuove tecnologie, il lavoro a distanza, lo smart-working, dovrebbero e potrebbero supportarci in tal senso, supportare le diverse attività nelle diverse fasi della vita, “valorizzando” anche molti “pensionati” ancora relativamente “giovani”, almeno in termini di energie e intelligenze, per far sì che i medesimi restituiscano, con nuove differenti modalità e attività rispetto alla loro giovinezza, un utile, un “R.O.I.” alla comunità che li circonda. Piuttosto che divisioni nette – quelle di cui sopra – creare e sostenere un “continuum”, un gradiente di attività lungo il quale spostarsi nei tempi della vita, nel rispetto di sé stessi, degli altri, delle pensioni, dell’economia e della vita stessa. Produrre forsennatamente da giovani ed essere un peso da anziani, con stacchi netti che appartenevano alle generazioni dei nostri genitori, credo non sia più sostenibile, come non lo è accorciare le aspettative di vita. “Lavorare meno, lavorare tutti, in modo diverso in base ai tempi della vita”.

A latere, non necessariamente o univocamente in questa chiave di lettura (le idee e i concetti di cui sopra sono miei e miei soli, magari indirettamente inluenzati da temi e idee di altri ), segnalo il libro di Kate Raworth “L’economia della ciambella”, Edizioni Ambiente, 2017; vorrei che gli economisti di cui sopra lo leggessero, così come pure leggessero le mie idee e i miei concetti!!!

#AttendendoDiRiSocializzare

[Fabio Sommella, 30 marzo 2020]

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L’istanza tragica nel fumetto d’autore: il caso de La Storia del West

La pagina 55 del fascicolo N°5, Alamo, de La Storia del West, edizione 1984, edita da Cepim.

In questi giorni di desolazione e ansia, molti luoghi del pianeta – e adesso qui da noi in Italia – sono purtroppo trasformati in una sorta di avamposto di eroi, diffidenti l’uno dell’altro, ultimo baluardo assediato da un implacabile nemico denominato  Coronavirus e Covid-19. Le analogie tra la nostra condizione e quella di personaggi della fiction non sono peregrine e varie metafore possono emergere e delinearsi nella nostra coscienza, provenendo magari da molto lontano.

Una metafora può essere espressa dai fumetti.

Anche i fumetti, analogamente alla narrativa e al cinema, raccontano: e se questo raccontare assurge a livelli qualitativi autoriali, tanto la narrativa che il cinema quanto anche i fumetti medesimi divengono vere e proprie opere d’arte.

Molti sono, indubbiamente, i fumetti d’autore, o fumetti opere d’arte; tra questi ne annovero alcuni che mi sono particolarmente cari. Rimanendo, qui,  nel panorama italiano, collocandoci nello spazio temporale del secondo ‘900 e, all’interno di questo,  a cavallo dei decenni ’70-’90, senz’altro, tra le saghe di comics di maggior pregio, se ne possono indicare almeno due: a mio avviso la prima è Ken Parker, autori la coppia  Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo; la seconda è La Storia del West, attribuibile, de jure e de facto, al suo padre artistico e spirituale Gino D’Antonio, con cui ovviamente nei decenni hanno collaborato alcuni tra i migliori disegnatori italiani di quegli anni.

Tralasciamo in questa sede, almeno per ora, le avventure – connotate da uno stile asciutto e decisamente postmoderno – di Lungo Fucile – questo l’evocativo nome di battaglia che gli indiani d’America, nella fiction omonima, hanno attribuito a Ken Parker, il generoso antieroe della tarda frontiera americana dal volto preso in prestito dal Robert Redford di Corvo rosso non avrai il mio scalpo. E, viceversa, rivolgiamo la nostra attenzione alla saga de La Storia del West.

Gino D’Antonio crea – partorisce, sarebbe il termine più idoneo – la saga de La Storia del West – dei Mac Donald, potremmo dire, ovvero della famiglia che per tre generazioni compie le proprie gesta, dal 1804 al declinare del secolo, lungo gli sconfinati spazi della frontiera americana – nel 1967 con la Collana Araldo. Questa, per capirci, è la casa editrice milanese che tiene capo al mitico Tex (nato nel 1948 con il volto di Gary Cooper) di Galep-Bonelli (al secolo rispettivamente Aurelio Galeppini e Pierluigi Bonelli, quest’ultimo Bonelli padre). Con uscite saltuarie e irregolari, intervallate da atre pubblicazioni, La Storia del West pubblicherà oltre settanta (76?) fascicoli formato gigante .per tutti gli anni ’70. Tra i principali disegnatori, oltre a sé stesso, a cui Gino D’Antonio farà riferimento in corso d’opera figureranno, tra gli altri, Sergio Tarquinio, Renato Polese, Renzo Calegari.

Nel 1984 sarà la volta della riedizione, in parte ampliata nei primi episodi/fascicoli, della medesima saga de La Storia del West, stavolta edita dalla Cepim.

Per chi ha letto, in parte o totalmente, entrambe le edizioni, rievocarle ha il sapore non della pura e semplice nostalgia giovanile ma rammentare una forma di educazione alla storia, pur in parte rivisitata in chiave finzionale, non priva dei necessari pathos ed empatia per l’esistenza: è questo che l’arte dell’autore Gino D’Antonio è riuscito a infondere  a pressoché ogni episodio della saga de La Storia del West, a ogni pagina, a ogni fumetto.

Un esempio, credo pregnante, è quanto ho recuperato ieri, pensando alla nostra condizione di assediati da Coronavirus; spontaneamente l’ho comparata all’assedio, storico, dei messicani alla fortezza di Alamo nel 1836, in cui erano asserragliati coloni texani. Gino D’Antonio ne parla nel fascicolo N°5 , intitolato appunto Alamo, della riedizione del 1984 de La Storia del West.

Dopo la panoramica a inizio articolo, ne estraggo in dettaglio i 7 fumetti della pagina 55, in cui – con sequenze di tipo filmico, dal momento che vige anche un sapiente campo-controcampo dei due protagonisti – il capostipite Brett Mac Donald dialoga, in modo struggente fino alla commozione, con la moglie indiana Sicaweja, giungendo a rievocare il massacro epico delle Termopili: alto fumetto d’autore dove l’istanza tragica domina incontrastata fino alla catarsi. Senza aggiungere altro, lascio al lettore il gusto di scoprire – o riscoprire – questi piccoli ma grandi gioielli del comics nostrano, con il solo augurio che, presto, per noi tutto termini, catarticamente, con la vittoria degli assediati.

Grazie a Gino D’Antonio e ai suoi collaboratori.

Ad Majora!

[Fabio Sommella, 13 marzo 2020]

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Questo virus… un pensiero!

Nella condizione in cui stiamo “vivendo” – in fin di vita, malati, alienati, ansiosi, sospettosi, in palese difficoltà, dubbiosi, esposti, malamente speranzosi, nevrotici…  –  in queste settimane di crescente epidemia da coronavirus, si avverte – credo (perlomeno ciò accade a me) – sempre più l’ingombro della “propria biologia”, del proprio equipaggiamento biofisico. Quest’ultimo non é più veicolo di vita e di comunicazione – in tutte le accezioni, certo fisiche ma anche psicologiche e financo astratte – bensì diviene zavorra, appunto ingombro più che opportunità, come ordinariamente siamo abituati a pensare. Si tratta di una zavorra labile, fragile, misconosciuta, temuta – la cui conoscenza, per formazione e ancor più adesso,  demandiamo a quegli addetti ai lavori denominati medici – attaccabile da agenti patogeni. Così l’insostenibile leggerezza dell’essere, quella alla Milan Kundera – per intenderci un modo di sentire “matrigno” lo stesso esistere, in un’accezione molto simile a quella leopardiana – diviene davvero totalmente insostenibile. Vero è che non possiamo fare a meno di percepire la nostra debolezza – la nostra pochezza – contro tutte le presunte ostinate pretese certezze da noi propagandate nell’ordinarietà dell’esistenza ritenuta “normale”. Un bagno di umiltà molto utile alla maggior parte di noi la cui coscienza potrebbe aprirci alla grandezza: l’incommensurabilmente piccolo, qual noi siamo, versus l’incommensurabilmente grande, misterioso, casuale e incontrollabile dell’esistere. Un augurio per tutti noi.

[Fabio, 11 marzo 2020]

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Tra Mito e Antropologia: la Grande Madre e le nostre origini rilette da Cinzia Baldazzi (Festa della Donna 2020)

Suscitando indubbiamente uno spiccato interesse, la critica letteraria Cinzia Baldazzi – nella giornata di ieri, Festa della Donna 2020 – ha ripercorso le origini e le evoluzioni culturali dell’archetipo della Madre prendendo spunto dalla Venere di Willendorf, la steatopigia. A tale scopo l’autrice si è servita, tra gli altri, dei preziosi contributi di Carl Gustav Jung e di Umberto Galimberti.

Cinzia Baldazzi compie un magnifico excursus dalle origini del mito della Grande Madre mostrandoci, pur indirettamente, la nascita del pensiero razionale (il cui merito, giustamente, Galimberti attribuisce a Platone). Ciò comporta, tra l’altro, l’abbandono del Caos per il Cosmo. Attraverso queste biforcazioni, le istanze primordiali verranno “relegate” (per rimanere, noi qui, ancora in Jung) nelle zone e aree d’ombra della coscienza umana: nei riti dionisiaci, questi contrapposti agli apollinei. Per estensione, si pensi all’arte della Grecia Classica e poi, viceversa, a quella Ellenistica, ma anche, in epoche moderne, al concetto di tragico nel pensiero di Nietzsche, a quello dello stesso Jung con i suoi tipi psicologici o, ancora, al Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse.

In definitiva Cinzia Baldazzi, con questo scritto, propone un percorso al contempo di Archeologia e di Antropologia.  Ciò è sfidante e, a latere, non si può non segnalare come queste tematiche dovrebbero essere trattate nelle scuole, almeno dalle Medie,  unitamente all’Educazione Civica e alla Storia, al fine di aprire le menti agli inevitabili e sempiterni dualismi dell’esistenza, così favorendo la comprensione dell’Altro da noi.

Buona lettura, quindi, a chi vorrà cimentarsi con questo breve ma interessante saggio di Cinzia Baldazzi, lasciandosi coinvolgere dalle trasformazioni della Grande Madre.

“La Grande Madre e gli dèi del cielo”, saggio antropologico di Cinzia Baldazzi

[Fabio Sommella, 9 marzo 2020].

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Sulla grandezza, ancora, di Lucio da Poggio Bustone

… e quell’aria de I giardini di marzo, suonata con gli ottoni a mo’ di banda circense felliniana, ha un sapore vetero di post diuvio prossimo-venturo, come se tutto fosse già trascorso in una dimensione di déjà-vu irrecuperabile, consapevole del “Davanti a me c’è un’altra vita / la nostra è già finita…”

[Fabio Sommella, 06 marzo 2020]

… e quell'aria de "I giardini di marzo", suonata con gli ottoni a mo' di banda circense felliniana, ha un sapore…

Pubblicato da Fabio Sommella su Venerdì 6 marzo 2020

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Quando le Eredità della Storia sono davvero adeguate: il caso di Giuseppe Garibaldi

Ci sono dei casi in cui le Eredità della Storia sono davvero adeguate e degne: uno di questi è anche quello di Giuseppe Garibaldi Junior, che ho avuto l’onore di conoscere di persona, ieri, presso il Museo della Repubblica Romana di Porta San Pancrazio, a Roma (di ciò ringrazio il Centro Romanesco Trilussa, vivace comunità artistica e culturale che frequento da meno di un anno).
Dopo la rievocazione dei fatti della Repubblica Romana del 1849, da parte dell’Associazione Romana Gli Amici di Righetto, ho apprezzato molto il discorso – pacato e sobrio, pur nella sua profondità – di Giuseppe Garibaldi Junior, classe 1947. Egli, tra le altre cose, ha posto l’accento su temi e aspetti di cui sono persuaso da tempo, vale a dire sull’inevitabile e doveroso spostamento della focalizzazione sociale, oggi nel XXI secolo, su differenti punti di attenzione. Tra questi,  indubbiamente un’ottica non più nazionale bensì planetaria, ovvero: guardare al Pianeta piuttosto che solo al pur glorioso storico Risorgimento.
Una splendida persona, un pronipote degno del bisnonno: sono orgoglioso di averlo conosciuto,  avergli parlato e stretto la mano.
Ad Majora!

L'ho conosciuto di persona, ieri, presso il Museo della Repubblica Romana di Porta San Pancrazio, a Roma, dopo il suo…

Pubblicato da Fabio Sommella su Mercoledì 12 febbraio 2020

[Fabio Sommella, 12 febbraio 2020]

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NoiGoliardi, NoiGoliardici, NoiLiceali – 01

Con questo – brevissimo – articolo/raccontino desidero dare il via a categorie di hashtag come quelle riportate nel titolo e meglio indicate qui sotto. Credo che, tali orientamenti, sarebbero coerenti con lo spirito – ovviamente non con la loro grandezza, che è incommensurabile e tutt’altra cosa rispetto al poco che io sono – di un Federico Fellini (!?!) o di un Mario Monicelli (!?!) o di un Luciano De Crescenzo (!?!)
Insomma: con questo articolo voglio presentare una sorta di zingarate, giochi di parole, calembour, boutade di eterni ragazzi che, mi auguro, abbiano un seguito, tantoda parte di chi legge, quanto da parte mia.
Tuttavia, bando alle ciance e… mi si ascolti, prego.
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Parlando con il figlio a tavola, facendo riferimento a una sua – ormai conclusa –  pregressa frequentazione femminile, diceva : “Allora, quella signora di Trastevere…”
“Si chiamava Gertrude”, interloquì il figlio.
“No,” prontamente lo corresse lui, “quella non era di Roma ma della Lombardia…”
“Già, vero: si chiamava Rita”, disse il figlio, con l’aria di chi sa quel che dice.
“No, in effetti Rita…”, corresse a sua volta lui, “… never covered!”, con l’aria di voler concludere all’inglese.
E il figlio lo corresse – in modo arguto, sempre all’inglese – affermando: “never covered, yet!!!”
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Ahahahahaha
[Fabio, 30 gennaio 2020]
#NoiGoliardi #NoiGoliardici #NoiLiceali

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