Quel sogno grande di noi utopisti, ovvero Sandro Salvioli e gli Stolen Car

Per quelli della mia generazione certi sound sono elucubrativi di sonorità nostalgiche – brutta parola? No, non sempre e non certo in questo caso – e di paesaggi luminosi e profondi del tempo che fu. È quello che mi accade, spesso, ascoltando la band romana degli Stolen Car – una sorta di novella Schola Canthorum, allargabile e modificabile, in cui i componenti vanno e vengono come in una rediviva Accademia Platonica –  capitanata da quel puro e fine poeta/musicista che è Sandro – Alex, mi piace anche pensarlo, visto il Suo profondo amore per il rock made in USA, ma non solo – Salvioli.

Nato e cresciuto in quel di San Lorenzo – invero è significativamente più giovane di me, ma sento/avverto con Lui un canale di comunicazione e un connubio beyond the timeSandro Salvioli  conserva e sviluppa altresì ulteriormente quella verve della romanità più genuina contaminata – questa, viceversa, per me una indubbia magnifica espressione – da linfe vitali e culturali più diversificate, ovviamente non ultima quella d’Oltre Oceano. Dylan, Springsteen, Presley ma anche i Beatles e last but not least la Canzone D’autore più togata, sono infatti alcuni dei Suoi capisaldi, alcune delle molteplici anime artistiche che serpeggiano in Lui dando vita e forza alle Sue creazioni, sempre in bilico tra la Strada metropolitana e i viaggi alla Easy Rider (magnifici, Sandro, i Tuoi versi di incipit di quella poesia che io commentai su quel Social “Profumo di famiglia / Di abbracci, di voglia di cambiare il mondo / Di lotte, di aiuti, di felicità”).

Così capita con questo splendido video di questi giorni – girato dal poeta Suo amico Cony Ray – in uno dei tanti locali dell’Urbe in cui Sandro e gli Stolen Car sovente si esibiscono.

Guardate, questo frammento di video! Ascoltate il brano! Il suo testo ma – soprattutto – le sonorità.

Sarete catapultati – grazie al morbido sound, ai sapienti arrangiamenti, al controcanto vocale, al contrappunto del sax nel refrain – nelle atmosfere delle grandi speranze dei ’60-’70. Ciliegina sulla torta è quella coda di batteria in chiusura che suggella il Grande Sogno, la Grande Utopia di questi eterni ragazzi, di noi eterni ragazzi evergreen.

Grazie, Sandro amico nostro, a Te e alla Tua Band, per rinverdire questi sogni di una gloria non fine a sé stessa ma profondamente umana.

[Fabio Sommella, 15 luglio 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Sarebbe come se (l’utopia, nevvero?)

Vivere vorrei con te

all’indomani affinché

tu più non ti dolessi

e sempre uguale fossi

alla notte di ieri.

Sarebbe come se io e

te viaggiassimo insieme

non su di un aeroplano

ma treno, noi vedendo

il paesaggio mutare

continuativamente,

non con un netto salto

sconvolgente i tuoi ritmi e

a me, sai, inaspettato.

Tu saresti coerente

con quel che hai detto e fatto e’l

residuo perbenismo

non svilirebbe il viaggio

da noi così amato.

Se non più all’età nostra

ci rivoluzioniamo,

neanche condanniamo

noi, nell’utopia fidi

tuttor, nevvero amor?

 

[Fabio Sommella, 26-27 febbraio 2020]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

L’Herbaria, di Elena Vannimartini, Kubera Edizioni

Alla sua prima esperienza di pubblicazione di un libro di prosa narrativa, edito da Kubera Edizioni in questo inizio di 2019, Elena Vannimartini è autrice de L’Herbaria. Diciamo subito che è un lavoro semi-narrativo, collocandosi esso in uno spazio intermedio, vale a dire fra rivisitazione finzionale di un evento di fitoterapia naturale e fedele resoconto del medesimo.

In una dimensione fortemente alternativa rispetto alla cultura dominante – verde, come l’ambita magia stregonesca dell’autrice, nonché protagonista – densa di pur vaghe evocazioni di figlia dei fiori neosessantottina del nuovo millennio, con legittime velleità culturali di collocarsi fra mitologia e antropologia, tra sapori di pozioni, infusi e decotti alla Merlino e alla Morgana, all’interno di una pretesa linearità volutamente didascalico-pedagogica, l’autrice esplica e raccoglie una serie di appunti sul campo di latente impronta, appunto, antropologica. Ma se, mentre si scorrono le pagine successive a quelle dialogiche iniziali, echi del castanediano A scuola dallo stregone lambiscono la mente del lettore, non si possono neanche escludere reminiscenze del monicelliano Speriamo che sia femmina, specie nelle parti relative all’evento vero e proprio. L’incontro con la Maestra Erborista e con la piccola comunità femminile che fa da pubblico e coro, suggellerà e fregerà infine Elena della qualifica, come recita il titolo del libro, di Herbaria, vale a dire di medichessa delle erbe e delle loro proprietà cosmetico-salutari. In questo modo prende piede, si consolida e viene simpaticamente resocontata un’esperienza tutta al femminile. Corollario sono le ricette e l’utile glossario finale.

Intrisa di una certo non nuova ma comunque speranzosa utopia della contemporaneità, L’Herbaria è un sogno lungo un giorno, a cui si augurerebbe di cuore di avere ulteriori e fecondi seguiti; ma è comunque una collocazione temporanea che rivela velleità mai sopite da parte di un’indole caparbia, che non si placa, ammirevole per la propria testardaggine e per il suo amore per la natura: gli animali, i cani, l’aia, l’orto… Ma il lettore volenteroso può leggerci anche un ininterrotto sogno trans-generazionale e di genere che si perpetua nel tempo: una gaia carezza – sorridente e solare – che si distende sulla coscienza, abbracciandola come in una nuova Sweet Water di leoniana memoria – racconto filmico che consacrava appunto i cambiamenti epocali a cavallo del ’68 – ai confini di una frontiera esistenziale che, anche in questo nostro tempo, è sempre di là dall’essere superata e risolta.

[Fabio Sommella, 20 marzo 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)