Giungla di città, giungla del Mondo – 5 maggio 2022

Dice “Rubano.” E quanti rubano? Quanti hanno da sempre rubato? Rubano i piccoli ladri, i “ladruncoli” – i Soliti Ignoti erano la “mala dal volto umano” – che magari inguaiano qualche povero disgraziato come loro, o qualcuno poco poco più fortunato, che ai loro occhi appare “privilegiato”. Ma rubano quelli a grande livello, su larga scala. Alcune – mica tutte, eh! – grandi organizzazioni, quelle criminali. Alcuni grandi servizi internazionali – multinazionali… ma certo sono pochissime, eh – e poi solo alcuni di quelli che sono in commercio – pochissimi pure loro, certamente.
E poi rubiamo – in qualche misura soltanto, però – noi, noi che abbiamo lavorato per anni in grosse organizzazioni, guadagnandoci le simpatie delle nostre clientele, fiduciosi – o illusi – che quel lavorare sia sempre fonte lecita di guadagno, che lo sarebbe pure se non fosse dettata e diretta da logiche di puro mercato – ohps – nonché da egoismi, apparenze, finzioni, falsità, meschinità, raggiri, bugie, arrivismi, invidie… tutta la vita così, nel grigiore impiegatizio, lontano dai criteri di giustizia, etica, libertà e rispetto.
Sono appena due settimane che mi hanno rubato il portafogli; alla mia donna, il giorno prima, la borsa – per fortuna non c’erano le chiavi di casa – e abbiamo dovuto rifare i vari documenti. L’amministrazione comunale, per le carte d’identità, ti chiede vari mesi: nei pressi del nostro quartiere ci hanno fissato le prenotazioni – malgrado il furto – tra sei mesi! Da morire dal ridere, per non piangere! Forse, dopo PEC di protesta alle istituzioni, riusciamo prima [NdR: confermato, ci siamo riusciti!] Altrimenti come dire: dopo il danno del ladrocinio, la beffa dei disservizi.
Intanto continuano i furti. Una comune amica è stata pure rapinata della borsa, con portafogli, bancomat, smartphone e chiavi di casa; per rientrare nella sua abitazione, dopo circa dieci ore, ha dovuto chiamare i vigili del fuoco, perché anche i fabbri non riuscivano a forzare la porta di casa (“C’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra” [Lucio Dalla]) e i pompieri si son dovuti issare dall’esterno con le loro mega-scale, forzando la finestra del balcone all’ottavo piano. L’hanno derubata in due, mentre era in auto e stava parcheggiando: uno le ha chiesto un’informazione e lei, dal finestrino, ha risposto; l’altro, dalla parte opposta, ha aperto lo sportello e ha sottratto la sua borsa. Dice che lei non si è accorta di nulla. Solo quando doveva scendere si è resa conto, poverina, che le mancavano le sue cose. E dice pure che d’ora in poi, seppure dovesse vedere una persona morente in strada, non si avvicinerà per paura che sia un tranello. Non condivido ma non riesco a darle torto!
Ma, chiedo: non è solo un problema di avidità? A tutti i livelli? Su piccola e su grande scala? OK: il Covid, le multinazionali, la Guerra, la finanza, la povertà, la fame… ma gli altri? Devono essere solo vittime?
Non mi rassegno a vivere così, come le formiche a centellinare le proprie provvigioni per le cattive stagioni, attente all’uscio e allo straniero.
[Fabio Sommella, 05 maggio 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Come vi somigliate, donne

Come vi somigliate, donne,
più o meno giovani
nelle memorie e nelle presenze
attuali o del passato,
nel gioco eterno
del fuggir – spesso, così – dal vostro nodo
con cui fare i conti dover,
del lamentoso avvertir in vostra – fragile – coscienza
vulnerabilità celata
di tragica istanza
in dialettico incontro
e scontro con verità, solo mutante
il Mondo
nell’urlo di rivoluzione
del cambiamento,
il nostro spirito in grado di elevare in volo.

E io son qui
qui ero
vi amo
e amavo
uguale
nel tenero bene e afflato
che dell’amor totale
è seme base radice fusto arbusto ramo foglia stoma respiro.

Per innalzare insieme – noi –  il volto.

[Fabio, 05 gennaio 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Lo Spirito del Mondo – V04

NB: per andare subito al testo, saltando le premesse (presentazione, struttura e commenti vari), fare clic qui.

Questo poemetto, strutturato come più avanti descritto, è stato composto da me,  Fabio Sommella.  Volendo vi si può scorgere una concezione simil-hegeliana (tuttavia specifico che il maggior filosofo a mio avviso è stato Immanuel Kant). In effetti vorrebbe ripercorrere le macro-tappe fondamentali dell’evoluzione del Mondo ad opera di un soggetto – Spirito – che rimane volutamente ambiguo e indefinito. Volendo, il lettore può esercitarsi a decifrare.

Di fianco a immagini – si sperano sufficientemente potenti nel loro lirismo e toni alti o aulici –  si attraversano fasi e si propongono significati. Qualcuno li chiama concezioni filosofiche del mondo o weltanschauung.

Composto nell’agosto 2014, l’autore lo avverte ancora attuale, malgrado da allora significativi eventi abbiano squassato la sua vita. Ma, probabilmente, non la sua weltanschauung. Semmai, quest’ultima, ne è risultata rafforzata nella dialettica verità rivoluzionaria e istanze tragiche. Ma questo è altro ancora, pertanto sorvoliamo e… alziamoci in volo! 😊

 

Sommario

Lo spirito del mondo. 1

Metrica. 1

Ritmo musicale delle strofe di cinque versi. 1

Ritmo musicale delle terzine. 1

Lo spirito del mondo. 2

I sezione. 2

  1. 1. 2
  2. 2. 2

II sezione. 2

  1. 1. 2
  2. 2. 3
  3. 3. 3
  4. 4. 3
  5. 5. 4
  6. 6. 4
  7. 7. 5
  8. 8. 5
  9. 9. 5
  10. 10. 6
  11. 11. 6
  12. 12. 6

III sezione. 7

  1. 1. 7
  2. 2. 7

 

 

Lo spirito del mondo

Poemetto lirico di Sommella Fabio in tre sezioni di strofe di cinque versi e terzine di settenari a rima libera.

La sezione centrale (12 stanze) ha dimensione maggiore delle altre due (2 stanze ciascuna). Ogni stanza è di 2 strofe di cinque versi e 2 terzine. In definitiva nelle 3 sezioni ci sono 16 stanze poetiche, ciascuna di 16 versi, per un totale di 16×16=256 versi settenari.

Metrica

Ritmo musicale delle strofe di cinque versi

Ritmo musicale delle terzine

Lo spirito del mondo

I sezione

1

Sono nato da un sogno.
Orizzonti di gloria
Annunciati nel tempo
Avvistati da cime
Imbiancate di neve.

Sono sorto da un antro
Origliato nel sonno.
Ho viaggiato da sempre
Annunciando le tempre
Di eroi sovrumani.

Non chiedetemi il conto
O il consunto riscontro
Trafugato esplorando.

Ora canto le età
Senza astio di niente
Né lucro, né vanto.

2

Fui già anima inferma
Assai trepida e pregna
Di perizia a patire
E firmai col mio sangue
Elemosine tristi.

Fui connesso al lamento
D’un contesto già spento
Ma rimasi contento
Del calor ricavato
Da uno spazio rubato.

Abbracciate il mio verso
Che si alza nel vento
Nel mattino più terso.

Ora canto nel mondo
L’orizzonte perduto e
L’infinito intuito.

II sezione

1

Particella di cosmo
Generata dal nulla
Con sorelle reagii
Generando a mia volta
Microcosmi insperati.

Di molecole tante
In un gioco aggregate
Fornii ampie collane,
Dal sole agghindate
In perenni ghirlande.

Di composti processi
Musicai sinfonie
In dialettiche tesi.

Strutturati complessi
Generai nelle stanze
D’incerte speranze.

2

Lentamente i programmi
Già asimmetrici in grembo
Diversero ancora
E simbolici segni
Premonirono il Nuovo.

Nelle linee solcate
In diversi paraggi
Fornii impalcature
Piani architettando
Di futuri sviluppi.

Come in tempio greco
O trilitico schema
Diedi morfologie.

Protoplasmi complessi
Preser plastiche forme
Evolute in delirio.

3

Fu così che nel Cosmo,
Se dal nulla Inflazione
Riesce a forgiar Materia,
Anch’io posi mio orgoglio
In Sistema Nervoso.

Questo, più che di Pianta
Già fissante la luce,
Prende luogo a condurre
I suoi stimoli e a muover
Sé medesimo o l’altro

Fino a dar luogo a centri,
Gangli, nuclei, cortecce,
Archi- Paleo- e Neo-pallio.

Fino a originare
L’intricato fenomen
Nominato pensare.

4

È così che il primate
Ora scende dal ramo
Agognando al potere
Della sopravvivenza
Sua e di propria semenza.

Con periglioso morso
Prende piede e suo corso
Ciò che chiamano Storia
Che gabella soltanto
Chi commisera il vanto.

Ma sparute ricerche,
Riflessioni disperse,
Ora gettano semi

Volti a significare
Che non ultimo fine
E destino è ammazzare.

5

Pur lenta, in questa landa
D’universo, germoglia
E prende piede l’idea
Che ricchezza e potere
Non sian pari al sapere

Non son libera scienza
Di chi il culto persegue
Dell’uman conoscenza:
Da rupestri pitture
A terrestri culture

Breve e rapido è il passo
Anche se nel fracasso
Rei e beceri nani

Ignoranti sovrani
Danno luogo a viltà
Chiasso e volgarità.

6

E la Storia ha distese
Di meteore e d’imprese
Tristi, povere, lasse
Scaturite da masse
Predisposte a interesse.

Nell’arbitrio dei tempi
Si avviluppano fasi
Quasi sempre le stesse:
O potere o finanza
Tesson crude le trame

Delle vicende umane:
Che sia Roma o Parigi,
O Berlino od Atene,

Iuesei o il Picùs
Sono tremende scosse
Perché dal Nulla mosse.

7

Nulla si stabilisce
Prende piede e ferisce
Se paura soltanto
È le imprese a forgiare
O sfiducia nell’altro

Brama a padroneggiare
Ogni cosa presente
Anche se serve a niente
E ogni uomo impotente
Crede d’esser demente.

Ma in fondo la Storia,
Quasi è stata sol boria
(E ritorno al presente)

Mista di quando in quando
Alla rabbia irridente
Di chi insorge urlando.

8

Scorgo povera gente
Triste in fondo a suo petto
Non sol nullatenente:
Pur se di buon aspetto
Di sgradevole mente.

Mente avida e inerte,
Cui parola non serve
O comprensione di sorta
Per aprire sua porta.
Persa in perenne vizio

D’aumentar con coraggio
Sempre a proprio sfizio
In qualsiasi villaggio

Come stirpe infernale
Pur d’aver suo vantaggio.
Predisposta a ogni male

9

Come vivere bene
Se ciascuno d’intorno
Ogni giorno dà pene?
Riscoprendo bellezza
In gradevole ebbrezza!

Non si deve volere
D’aver oltremisura:
Degli umani il potere
Oltre poco non dura.
Ma non solo: rigetta.

Mentre invece è la scienza
L’antitesi sicura
Della stolta violenza.

Il giocattol più bello
Un Maestro discetta
È di certo il cervello.

10

Non bramar oltre il giusto,
(certo, da intender è vetta)
Non tradendo il buon gusto
Cerca la tua misura
Ricorrendo a cultura.

Non gridar, beffeggiar
Con malevoli intenti
Chi è diverso da te
Sol perché non comprendi,
Hai paura e fraintendi.

Metti nella tua azione,
Operosa emozione,
Anche l’educazione.

Poni in tuo intelletto
Con fervore e diletto
La schiettezza e il rispetto.

11

Son nascosti tesori
Che non sono pecunia
Ma leniscon dolori,
Son leggiadri pensieri
Discioglienti i poteri.

Siam da sempre drogati
Di sopiti livori,
Seppur edulcorati
Da beceri auspici
Triti giochi emaciati.

Più che patir del nulla
Fatuo in sua vergogna
Disponiamoci a burla

Irridendo la gogna
Dismettendo le urla
Prone a ogni rampogna.

12

Possiam solo operar
Pe’ esser desti domani
Nel futuro a sperar.
Ogni età ha la sua morte
Ma se apriamo le porte

Certo siamo già pronti
Grazie ai resoconti
A virare la rotta,
A emulare gli eroi
Intravisti: siam noi!

Ora vado a dormire
M’assopisco nel ventre
Senza colpo ferire

E ti lascio a memoria
Fecondato nel mentre
‘Sto frammento di storia.

III sezione

1

Sono nato da un niente.
Orizzonti di gloria
Di cui ho perso memoria
Intravisti da vette
Prima amate, or neglette.

Generato da un santo
Schiavo d’un fanatismo
Ho epurato il mio vanto
Ricorrendo al lirismo
Degli antichi déi mani.

Non chiedetemi ancora
Se perdura o scolora
La speranza cercata.

Ora canto le ere
Senza prede né fiere
Nella pace anelata.

2

Se fui anima inferma
Son passato cogli anni
A esperirmi dei luoghi
Sopperendo col sangue
Anche a quelli più oziosi.

Se connesso al lamento
Io mi attardo già spento
Resto ancora contento
Di trovata bellezza
Che la mente accarezza.

Ora vi rendo il canto
Scatenato nel mito
D’un tramonto amaranto.

Ecco: inizia il mio volo.
L’orizzonte infinito
Già mi stacca dal suolo.
[Fabio Sommella, 6-13 agosto 2014]

 

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

La bionda di Carlos

“L’arte di un cacciatore è diventare inaccessibile”, riprese. “Nel caso di quella bionda avrebbe significato che dovevi diventare un cacciatore e incontrarla moderatamente. Non come hai fatto tu. Sei rimasto con lei un giorno dopo l’altro, finché il solo sentimento che restava era la noia. È vero?”

Non gli risposi. Sentivo che non dovevo dire niente. Aveva ragione.

“Essere inaccessibile significa toccare il mondo intorno a te moderatamente. Non mangiare cinque quaglie; mangiane una. Non danneggiare le piante solo per costruire un forno da campo. Non esporti al potere del vento, a meno che non sia inevitabile. Non usare e spremere la gente fino a ridurla a nulla, specialmente le persone che ami”.

(…)

“Essere inaccessibile significa evitare deliberatamente di esaurire te stesso e gli altri”, proseguì. “Significa non essere affamato e disperato, come il povero bastardo che pensa che non mangerà mai più e divora tutto il cibo che può, tutte e cinque le quaglie!”

(…)

“Il cacciatore è inaccessibile perché non spreme il mondo fino a deformarlo. Lo tocca lievemente, rimane quanto deve e quindi si allontana agilmente, lasciando appena un segno”.

[Carlos Castaneda, Viaggio a Ixtlan, Astrolabio, – Ubaldini Editore, Roma, 1973, pp. 73-74 (traduzione di Francesco Cardelli) ]

Giorni di sole

Giorni di sole
– in fattezze come di tarda estate
o primo autunno –
quando la terra risuona di quel lieve passo
delle cose
e la mente
s’afflata e accorda
col girar del mondo.

Reminiscenze di giorni
d’umori tali e uguali
pur in diverse età(de 😊):
la scuola,
i compagni di giuochi
sudati e disadorni,
gli amici, le feste,
le piccol seduzioni
dai sorrisi gai,
le musiche,
i treni, le ansie, gli amori,
le disillusioni,
le speranze e i mai
nell’operar del sole,
gli inni e i canti,
le morti,
le resurrezioni.

Abbraccia il sole
– più mite, anche oggi –
l’eterna attesa trascorsa
alla maniera
d’un luogo certo quando
il dirupo scruti
e la montagna
e la vetta,
tra luci sicure
al volger della sera.

[16 agosto 2018]