La Cultura, serie di concettualizzazioni storicamente determinate in perenne trasformazione

Nella serata del 21 maggio 2024, in una fascia oraria ottimale (18-19:30), in una sontuosa sala del Palazzo Mattei-Paganica, sede dell’Istituto Treccani di Roma, sita in piazza dell’Enciclopedia Italiana 4, Pandora Rivista ha organizzato l’interessante dibattito intitolato Viaggio nella cultura: reti, forme e mappe di un mondo in trasformazione. Il dialogo, moderato dal direttore della medesima rivista Giacomo Bottos, ha visto come principali interlocutori Paolo Di Paolo, Loredana Lipperini e Giorgio Zanchini. In sala, tra il folto pubblico partecipante, c’era l’editore Giuseppe Laterza che pure è intervenuto con stimolanti riflessioni.

Va detto subito che l’evento, caratterizzato dal pregnante sottotitolo reti, forme e mappe di un mondo in trasformazione, non ha deluso affatto bensì è risultato estremamente interessante. Qui di seguito cercheremo di evidenziare i molteplici motivi di questo interesse.

I tre abili oratori intervenuti, nel pur relativamente breve tempo a disposizione, hanno cercato di sondare e indagare quelle che, nel controverso panorama della contemporaneità, personalmente definisco le silenti ed eludibili Forme della Cultura.

In tal senso mi è parso illuminante l’esordio dialogico di Paolo Di Paolo che, dopo aver ricordato che quest’anno cadono i cento anni dalla pubblicazione de La montagna incantata di Thomas Mann (ambientato poco prima della Grande Guerra, questo romanzo tratta di un’epoca incerta e frammentata, per molti versi analoga alla nostra attuale), ha parlato di Volubilità della cultura contemporanea, ricordando da una parte il concetto di Effimero, quello delle Estati Romane di Renato Nicolini,  contrapponendolo in qualche modo e misura a quello di Tangibile, o preteso tale, probabilmente della cultura de jure di vecchia nozione tradizionale o scolastica. Se da una parte, da anni o decenni, si assiste a un progressivo processo di frammentazione culturale (personalmente parlo anche di rarefazione), utile è stato pure il richiamo a Tullio De Mauro, alla sua Passione civile (2004) e al suo concetto di Lifelong Learning o Istruzione Permanente per gli Adulti. In questo scenario, probabilmente vige una relazione (anch’essa permanente?) tra la suddetta volubilità e l’effimero nicoliniano, nonché sussiste una plausibile relazione ciclica con l’ormai purtroppo abusato (ma Di Paolo rimarcava l’originalità e la forza di tale intuizione negli anni ’90) di Liquido e di Società Liquida di Zygmunt Bauman.

Loredana Lipperini, riferendosi ai Festival e alle Comunità culturali letterarie, ricorda da principio Leonardo Sciascia quando, negli anni ’80,  lo scrittore siciliano ammoniva circa l’allontanarsi della meta, ella aggiungendo poi che, oggi, la medesima non si vede più. In tal senso è utile recuperare il concetto di Luciano Bianciardi di Lavoro Culturale (in passato ne ho anch’io argomentato nel mio Passaggi molteplici nel romanzo postmoderno: Bianciardi, Calvino, DeLillo, Eco, ma si veda anche qui).

A riguardo, va ricordato che, nei primi ’50, Bianciardi vagava per il grossetano con un furgone da cui si diffondevano le note di Luci della ribalta” di Charlie Chaplin, con lo scopo di “acculturare” gli abitanti di quel territorio che lui, forse con una buona dose di autoironia, considerava la sua Kansas City (a sua volta imparentata con la Rimini felliniana de I Vitelloni.) Poi, probabilmente, la tragedia di Ribolla lo indusse a cambiare qualcosa e concepì il progetto dinamitardo, abortito, che gli ha permesso di scrivere La vita agra della Milano del boom/sboom. Ma la rilevanza del Lavoro Culturale resta e fa piacere, pur settanta anni dopo, recuperarlo dalla polvere del tempo per renderlo di nuovo vivo nell’era digitale e della vaporizzazione.

In tal senso Lipperini ha sottolineato come il prodotto culturale non sia da intendere solo come libro ma esso comprenda un’ampia varietà di elementi diversi tra cui i manga, i fumetti, i video giochi, le serie TV, i Social, nonché i libri di genere minore. Inoltre Lipperini ha sottolineato come vigano  forme subdole, forse latenti, di capitalismo culturale laddove si invita sempre e solo a ragionare sui numeri. Da contrapporre a ciò è l’Utopia, ricordata da Lipperini in due nomi: quello di Steve Jobs, quando questi nel 2005, pur con qualche rischio, invitava i giovani a “essere pazzi”; e poi quello di David Foster Wallace con il suo discorso sulle libertà e quindi di nuovo sull’Utopia.

Giorgio Zanchini, come giornalista culturale, ha indicato l’accentuazione (potremmo anche dire esasperazione) del processo trasformativo culturale ricordando che, una volta, autorità e gerarchie erano riconoscibili mentre, oggi,  la digitalizzazione ha evaporato tutto. Ma la Sfera Pubblica oggi è comunque densa. A tal fine Zanchini ha citato Mario Tedeschini Lalli, con il suo Medium secondo cui è vasto, e non ben conosciuto, l’attuale campo dell’offerta culturale. In tal senso si dovrebbe abbandonare l’idea che, se i giornali “non vendono”, sia una questione di contenuti: se i giornali non vendono è una questione di forma. Necessita una Piattaforme di Relazioni Sociali in quanto, oggi, chi fa giornalismo è solo un piccolo pezzetto di quella che è la Catena di Valore. Oggi c’è difficoltà di trovare territori comuni condivisibili.

L’editore Giuseppe Laterza ha poi fornito una magnifica definizione, antropologica, di cultura (io rammento quella, pure antropologica, secondo cui la cultura è una caratteristica della specie umana, analogamente alla proboscide o alle zanne per la specie elefante) secondo la quale essa è una serie di determinazioni/concettualizzazioni storicamente determinate che risponde a un bisogno.  In tal senso l’editore ha poi stigmatizzato come il libro del generale Vannacci abbia venduto 500.000 copie, secondo solo a quello del principe Harry (sigh!) Pertanto vigono comunità e gerarchie “culturali” e, nella Scuola, si dovrebbe imparare a distinguere tra un film di Francois Truffaut e uno di Bombolo, che pure ha una sua dignità culturale. Inoltre ci sono i fattori storici: in tal senso Giuseppe Laterza ha raccontato il gustoso aneddoto secondo cui Benedetto Croce considerasse “cialtrone” Sigmund Freud che aveva scritto un libro intitolato Totem e Tabù.

Loredana Lipperini, ricordando poi Michela Murgia, liquidata spesso come una banale influencer, ha ribadito che il Lavoro Culturale si fa anche sui Social e che non è un qualcosa da svolgere nei ritagli di tempo bensì a tempo pieno.

Paolo Di Paolo ha quindi invitato gli astanti a procedere con il pensiero, non pensando al ‘900 come all’unico mondo possibile. I suoi maestri universitari, De Mauro e Asor Rosa, non liquidavano uno spazio dell’Estetica come Etica. Il libro va concepito non come un punto di partenza ma come un punto d’arrivo. In tal senso ha citato Giovanni Solimine: Cervelli Anfibi. Oggi sullo smartphone, giornalmente, transitano in media 100.000 parole. La lettura è frammentata – potremmo dire de-regolarizzata – ma non è vero che  i giovani  leggono di meno.

Giorgio Zanchini, infine, ha richiamato l’attenzione sui mediatori vecchi e nuovi, sui buoni filtri come Loredana Lipperini e sui cattivi filtri, come certi influencer, citando il suo amico Matteo Cavezzali e Ravenna.

Grazie quindi a Pandora Rivista e all’Istituto Treccani, abbiamo avuto l’opportunità di assistere a un’appassionante maratona attorno alle trasformazioni formali della cultura nel nostro tempo, un incontro che rende giustizia ai tanti modi diversi, oggi, di fruire e veicolare gli elementi culturali rispetto a quelli rigidi del passato e che taluni, probabilmente, vorrebbero cristallizzati secondo criteri e modelli sovratemporali: ma, per fortuna, non è così!

In definitiva, al di là della sopravvivenza (qualcuno potrebbe chiedersi “Il problema è adeguarsi ai tempi o rimanere ancorati ai valori con cui siamo cresciuti ?” Personalmente penserei né l’uno né l’altro), credo il nodo sia sapersi confrontare a tutti i livelli – ossia come fruitore, autore, editore, distributore… cittadino – con la rarefazione e la vaporizzazione (come ha rimarcato Di Paolo, sorpassata è, ormai, anche la “liquidità” della società di Zygmunt Bauman dei ’90) del fatto culturale. Come indicato da Laterza, ci si scontra proprio con il parlare alla Vannacci o sullo scrivere del principe Harry e non si fa uso di una forma d’intelligenza utopica che è l’unica che può salvarci dignitosamente, al di là della mera sopravvivenza. Come suggerito da Lipperini, la sfida (del Nuovo Millennio?) per gli Intellettuali è il Lavoro Culturale H24 attraverso tutti i molteplici canali in grado di veicolare questo processo.

[Fabio Sommella, 22 maggio 2024]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Istruzione, erudizione, sapere, cultura

Leggo, in rete, distinzioni interessanti ma a volte fuorvianti – o addirittura desuete – sui quattro termini: istruzione, erudizione, sapere, cultura. Pertanto cerco qui di delineare in breve quelli che, a mio avviso, sono i loro rapporti da intendere al meglio in un ambito idoneo di conoscenza.

La distinzione fra Cultura e Istruzione è indicativa delle differenze sostanziali che vigono tra i due termini. In particolare, l’etimologia del primo termine (“dal latino colere=coltivare“) ben rende l’idea dell’intimo processo sottostante. Anche il richiamo al fatto che “L’uomo istruito è colui che possiede maggiori informazioni rispetto alla media degli individui, e spesso queste conoscenze sono di origine scolastica”, appare coerente con il distinguo di fondo che si vuole mettere in evidenza.
Ciò che appare inadeguato è il frequente accento su Erudizione e Sapere nelle accezioni secondo cui il primo termine sarebbe fondamentalmente d’impronta e matrice Classica, il secondo viceversa sarebbe di carattere eminentemente scientifico. Questo distinguo appare fuori dal tempo, obsoleto, ancora figlio delle “Due Culture” che, seppure in forma e modi diversi persistono, in un ambito “Culturale” moderno dovrebbe viceversa essere evitato e inquadrato in un’ottica differente.
Dovremmo “vedere” Istruzione, Erudizione, Sapere e Cultura come gradini o tappe di un gradiente, un continuum, ininterrotto – analogamente alla retta dei numeri reali – dove si transita, se si vuole e quando si vuole, per tutta una vita e il transitare comporta il muoversi nonché trasformarsi da una dimensione/visione iniziale puramente epidermica e accidentale a una dimensione/visione finale – di fatto irraggiungibile (ma Leibniz sosteneva che non è importante raggiungere l’Infinito quanto, viceversa, tendervi) – profonda e sostanziale; ovvero: inizialmente ci si mette indosso un abito d’istruzione che ci veste, poi anche degli indumenti di erudizione, quindi delle forme e sostanze di sapere, infine tutto il nostro essere è e sarà visceralmente costituito di cultura.
Dispiace che molte pagine, pur autorevoli, sulla rete, che dovrebbero avere valore Socratico ovvero Maieutico, siano viceversa concepite secondo un’ottica – al più – nozionistica, vecchio stampo, catechetica, alla San Paolo.
L’Istruzione è fondamentalmente pura memoria di dati, di “nozioni”, tanto detestate nei ’70. Qualcuno ha detto che la Cultura è ciò che si sa quando si è dimenticato tutto.

[Fabio Sommella, 23 settembre 2023]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Pretese barriere linguistiche vs contaminazioni culturali

Davvero perplesso, financo offeso, rifletto.

Ormai da tanto tempo – decenni? – non faccio distinzione “nazionale” tra la musica di Puccini e quella di Mozart, la canzone di De André o di Paul Simon, fra il cinema di Fellini o di Bergman, l’attorialità di Totò o di Chaplin… amandoli io tutti, indistintamente, come opere d’arte e produzioni del genio umano, dei figli di questo pianeta.

Viceversa penso, vedo, sento, avverto, percepisco… come, nella coscienza comune e pubblica, il dictat (!?) di quel tal attuale ministro di questo governo pesi al punto da impedire a tanti, pena millantate multe, di pronunciare – in maniera, ad esser generosi, davvero ridicola – termini anglofoni o d’altra lingua “non nazionale”, in nome di non so quale preteso desueto purismo linguistico e culturale, dimenticando – il ministro, il governo, nonché coloro che li hanno votati – che l’interculturalità (leggasi  L’instaurazione e il mantenimento di rapporti culturali come forme di dialogo, di confronto e di reciproco scambio di conoscenze tra paesi o istituzioni o movimenti diversi.) è insita nella vita e nel Mondo Futuro, al di là delle ridicole pretese barriere politiche, specie per chi ha formazione transdisciplinare, lavora con i computer, ha lavorato nell’IT, naviga su internet e studiando, anche l’antropologia culturale, si è sollevato dagli infimi provincialismi di cui è intrisa la loro mente.

Signor ministro, ha mai sentito parlare di Melting Pot?

Una risata vi seppellirà 🤣 

A riguardo, oltre alla simpatica locandina qui sotto (ma gli esempi sono naturalmente molteplici), si veda anche qui e qui.

#ApriteviAlleContaminazioniCulturali
#ApertiAlleContaminazioniCulturali
[Fabio Sommella, 21 maggio 2023]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Discordanze e comprensione (verità, rivoluzione e tragico)

Quando parli con tuo figlio – studente di cinema – e scoprite delle discordanze reciproche sull’accezione di ‘postmoderno filmico’ – lui sulla base dei trattati canonici accademici, tu della tua visione trasversale multidisciplinare – e, seppure convenite che esistono molteplici viste e angolazioni (come in ogni ‘opera aperta’), lui ti dice [NdR: sue parole spontanee ma, si sa, i giovani sovente sbagliano nei loro giudizi] “vabbeh, papà, ma alcuni di questi autori e tutor quarantenni non hanno la cultura che hai tu”, capisci allora il perché di alcune (tante?) cose.
Capisci perché il tuo grande amore della vita non ci sia più; il perchè dei tuoi studi giovanili; il perché le tue professioni siano state quelle e non altre; il perché di tante delusioni; il perché di tante amicizie nei decenni; il perché dei tanti amori, antichi e recenti; il perché di tanti esiti.
Capisci perché sei persuaso che la veritá sia sempre rivoluzionaria ma debba sempre fare i conti – quasi sempre perdendo – con le nostre istanze tragiche.

[Roma, 29 novembre 2018]

Te e io per altri giorni – Estate 2015

 

Dissonanze e Minoranze

Prendendo spunto da un mio precedente articolo – quello relativo alle Dissonanze, tanto cognitive che musicali, del 20 giugno 2018 – mi piace qui ampliare il medesimo concetto estendendolo al tema delle Minoranze nell’ambito sociale, ovvero delle grandi o piccole collettività/comunità umane. Anche perché sui blog si leggono spesso unilaterali affermazioni tipo “Le Minoranze devono necessariamente sottostare alle Maggioranze“. Beh, mi sembra il caso di affrontare la tematica – cruciale, anche nella nostra contemporaneità – con un minimo di riferimenti scientifici e non solo sull’onda dell’emotività.

Rimandando all’articolo del 20 giugno 2018 per alcuni aspetti di dettaglio – relativi alle nostre necessità di coerenza, strategie di riduzione della dissonanza cognitiva, ai parallelismi con la dissonanza musicale – interessa qui approfondire il nesso e il parallelismo con le Minoranze. A tal fine mi rifarò ad alcune mie precedenti riflessioni – datate luglio 2015 –  in epoca in cui tra le altre cose mi sono dedicato, pur provvisoriamente, ad un corso di studio in psicologia sociale.

La dissonanza cognitiva, teorizzata da Leon Festinger, svolge per la psiche un affascinante ruolo di ricerca di stabilità che, consciamente o inconsciamente o, ancora, per rimozione o per dissociazione, operiamo al fine di sottrarci all’ostinato, o naturale, cambiamento del nostro agire o sentire, con la probabile finalità di mantenimento o evoluzione del nostro .

Come già detto la citata dissonanza cognitiva richiama la dissonanza in altri ambiti di conoscenza, specificamente quello musicale per il quale, il compositore e maestro Roman Vlad, sosteneva che essa fosse “motore della storia musicale”. Un breve estratto, molto indicativo in tal senso, da p. 150 del libro indicato al suddetto link: “Fin dall’antichità ci si accorse che quanto più semplici erano i numeri di queste frazioni, tanto più  dolcemente suonavano insieme, «consonavano»  i rispettivi suoni, tanto più consonante era l’intervallo  da essi formato. (…)  A quellìepoca, e fino al Medio Evo avanzato, tutti gli altri intervalli, caratterizzati da rapporti numerici comprendenti numeri quali 5, 6, 7, 15 e 16, venivano considerati dissonanze. Anche le terze e le seste, che per le nostre orecchie suonano in modo perfettamente consonante.” [Roman Vlad, Introduzione alla civiltà musicale, Zanichelli, Bologna, 1988, p. 150]

A tutto ciò si affianca, stavolta in ambito squisitamente di psicologia sociale, il ruolo che, secondo Serge Moscovici, le minoranze svolgono nell’evoluzione sociale. L’evoluzione costante è, a parere di Moscovici, dovuta soprattutto all’influenza delle minoranze, da principio inascoltate e dissidenti, poi incidenti nell’evoluzione sociale.

Mi sembra possa avere importanza rimarcare che le minoranze, indicate da Serge Moscovici, svolgono un ruolo nel sociale analogo a quello che la dissonanza svolge nella cognizione; e che di nuovo, a questo punto, si potrebbe stilare anche una seconda proporzione: le minoranze stanno alla costante evoluzione sociale come la dissonanza, stavolta armonico-melodica indicata da Roman Vlad , sta nuovamente all’evoluzione NdR: storia] musicale.

Pertanto potremmo dire che, decisamente, siano le note stonate, o quelle che in certe fasi storiche appaiono tali – tanto socialmente quanto cognitivamente nonché ancora musicalmente – a fornire energia al motore evolutivo, in ogni ambito.

In questo scenario “gnoseologico”, forse non è marginale osservare che Festinger, pur nato a New York, era figlio di immigrati ebrei russi; Moscovici e Vlad erano entrambi romeni, il primo naturalizzato francese e il secondo naturalizzato italiano. Inoltre Festinger e Vlad erano entrambi del 1919 mentre Moscovici, poco più giovane, del 1925. Tutto ciò lascia intuire un similare analogo fervore intellettuale e culturale, epocale, originantesi dall’Europa dell’Est, macro-area per certi versi davvero minoritaria,  decisamente  dissonante, eppure potente motore di molte innovazioni culturali.

Gli attuali teorici degli orgogliosi purismi a tutti i costi – nazionali e nazionalisti – riuscirebbero a comprendere queste sottigliezze?

[Fabio, 10 agosto 2018]

Quali sono le caratteristiche della cultura?

 

La cultura è una caratteristica della specie umana, avente valore adattativo dal punto di vista biologico, analogamente al collo lungo delle giraffe o alla proboscide degli elefanti o, più in generale, ai comportamenti stereotipati, perfetti e sicuri ma limitati, delle comunità di formiche e termiti o, ancora, alla fondamentale capacità delle specie vegetali di compiere la fotosintesi catturando l’energia solare e racchiudendola all’interno dei legami del glucosio a partire da acqua e anidride carbonica. Da un punto di vista biologico, anatomico e fisiologico, la caratteristica di specie “cultura” si instaura ed esplica nell’uomo grazie all’enorme sviluppo, rispetto agli altri mammiferi e anche agli altri primati, della neocorteccia cerebrale, in particolare del neopallio. Questa esigenza, anche anatomica, della specie umana ha varie conseguenze tra cui: il massimo accrescimento percentuale del cranio potrà avvenire solo successivamente al parto; la prole umana, al momento della nascita, risulta di fatto “inetta”, dato che il massimo potenziale cerebrale si potrà avere solo nel corso del successivo sviluppo attraverso l’apprendimento (in tal senso Rita Levi Montalcini ha scritto il suo “Elogio dell’imperfezione” per la plasticità umana); viceversa molte altre specie animali partoriscono “prole atta”, ovvero già sostanzialmente prossima al proprio massimo potenziale cerebrale.

Abbandonando le innumerevoli esemplificazioni inerenti al mondo biologico e alla natura, quest’ultima avente valenze da intendersi universali, si deve sottolineare come la cultura abbia valore viceversa specifico e particolare (Levi Strass).

Inquadrando l’evoluzione culturale all’interno dei più ampi scenari delle evoluzioni biologiche e chimico/fisiche dell’universo (che di fatto “la contengono” e ne sono le premesse), si deve specificare che non è propriamente corretto, parlare singolarmente di “cultura” quanto viceversa di “culture” umane. Queste ultime vanno intese come quei complessi, più o meno ordinati e strutturati, di modelli mentali e di usanze tra loro interagenti e svolgenti funzione di guida per il comportamento pratico ma anche per la morale o per la legge o per la fede, definibili anche insiemi variegati ed eterogenei di concezioni, credenze, costumi, modi di pensare e agire, vedere, avvertire, rappresentare il mondo e rapportarsi alla natura, al proprio ambiente e più in generale alla vita e alla morte, che, nelle diverse epoche, storiche e non, e alle diverse latitudini hanno caratterizzato gli esseri appartenenti alla specie umana, il loro relazionarsi tra essi e con gli altri, al consanguineo o allo straniero.

In tal senso le suddette argomentazioni sono ovviamente connesse al processo di “inculturazione”, inteso come apprendimento e trasmissione di una determinata cultura verticalmente (tra generazioni) ma anche trasversalmente (tra “pari”), alla “acculturazione” da intendersi come trasmissione a livello collettivo e alla “culturologia”, studio delle culture.

Da ciò derivano, analogamente alle varietà biologiche, le proliferazioni e variabilità culturali nelle quali tuttavia, in tempi e luoghi diversi, si possono intravedere regolarità e leggi comuni, tali da poter essere colte e analizzate dall’antropologia che fa dell’approccio comparatistico uno dei suoi strumenti d’indagine principali, se non il maggiore, insieme a quello olistico (analogamente al ruolo principe che nella filosofia hegeliana svolge la dialettica, intesa come unità degli opposti nella loro sintesi; così sta la comparatistica in antropologia negli approcci verso l’alterità).

Volendo identificare, o circoscrivere, quelle che sono definibili le principali caratteristiche del più generale fenomeno culturale, oltre al già citato legame intrinseco con la specie umana (seppure non aprioristicamente esclusivo, in quanto altre specie dotate di un sistema nervoso sufficientemente evoluto potrebbero, potenzialmente, adempiere ad analoghi task),  certamente devono essere sottolineate la molteplicità, la diffusione, la capillarità delle culture (a riguardo si consideri il concetto di “Noosfera”, globo pensante, di Teilhard de Chardin) nonché le loro eterogeneità, il loro carattere di divergenza ma anche parallelismo e spesso convergenza, con effetti che, all’osservatore, possono apparire medesimi o diversi.

Circa l’ultimo punto si pensi al parallelismo che Claude Levi Strauss riscontra tra il sistema delle caste induiste, esemplificazione di un sistema di pensiero (e conseguentemente sociale) chiuso ma sotteso da un principio ritenuto naturale, e il sistema totemico australiano, esemplificazione di un sistema di pensiero (e poi sociale) aperto e sotteso da un principio viceversa avvertito come culturale. Un medesimo coerente modus operandi, o legge, agisce dietro ai pur diametralmente opposti, in termini di effetto finale, sistemi delle caste e dei totem: laddove la cultura è, secondo Levi Strauss, comunicazione e nasce con l’uscita dal proprio gruppo (esogamia), le caste sono auto-avvertite come un fenomeno non culturale ma naturale che pertanto rifugge dall’apertura e vieta la comunicazione con “gli altri da sé”; il totemismo, che viceversa si auto-percepisce come fenomeno culturale, dà luogo a gruppi profondamente interagenti i quali si scambiano risorse, persone e cose fino all’estrema contaminazione.

Inoltre, analogamente alle proprietà della disciplina antropologica che si prefigge di studiare le culture, deve essere sottolineata la molteplicità dei paradigmi culturali, nei diversi tempi e nei diversi luoghi, testimonianza dei vari modi di comportarsi e rapportarsi al reale e all’immaginario dei differenti gruppi umani.

Fondamentale è anche lo sforzo intrinseco a ciascuna cultura, cosmologia o visione del mondo o Welftanschaung, verso una forma di sistematicità, di ricerca di raggiungimento di una coerenza interna. Questa, oltre che l’aspirazione a risolvere una serie pratica di problematiche, dovrebbe essere vista come l’aspirazione ad attuare, anche attraverso strumenti quali la creatività o l’espressione estetica (o, in occidente, la ricerca scientifica), ciò che in psicologia viene definita “riduzione della dissonanza cognitiva”.

Le culture, come già affermato tra le righe, mutano col tempo, per cause endogene e molto spesso esogene; destinate a incontrarsi, purtroppo quasi sempre ciò si riduce a uno scontro. Se in passato l’incontro avveniva nel corso di processi a carattere localistico, cioè in spazi geografici identificabili in termini di stati nazionali dove risiedevano popoli con caratteristiche di omogeneità, sufficientemente connotabili; oggi, all’interno di quei processi di globalizzazione (seguenti al “post-moderno”) che hanno preso piede sempre più rapidamente e intensamente nei due ultimi decenni del secolo XX (sostanzialmente e paradossalmente con la “Caduta del Muro”), l’incontro delle culture “altre da sé “è sempre più frequente, diffuso e capillare, nei “luoghi tutti o nessuno”, intendendo con ciò spazi ormai quasi privi delle vecchie identità certe e univoche, sostanzialmente non più definibili come un determinato territorio. Il continuo e inesaurito moto planetario di masse di uomini, tragicamente alla ricerca di una dimensione negata all’interno del loro luogo geografico d’origine, ha ridisegnato e parzialmente reso meno chiari i tradizionali punti cardinali, nord e sud, est e ovest, centro e periferia, globale e locale, lasciando spazio a un prevalente continuo rimescolamento di quelle che in passato venivano etichettate, a torto o a ragione, razze ed etnie, di lingue, di usanze, speranze, incertezze.

Tornando più specificamente alla capacità culturale umana, le leggi della genetica attraverso i cromosomi della specie umana pongono le premesse per “fare cultura” mettendo a disposizione i kantiani schemi mentali; da questi, si attueranno e diversificheranno i prototipi culturali, dando origine alle multiformi peculiarità delle culture la cui creatività, come afferma il Prof. Fabietti, pur essendo raramente spettacolare è tuttavia sempre all’opera.