Quali sono le caratteristiche della cultura?

 

La cultura è una caratteristica della specie umana, avente valore adattativo dal punto di vista biologico, analogamente al collo lungo delle giraffe o alla proboscide degli elefanti o, più in generale, ai comportamenti stereotipati, perfetti e sicuri ma limitati, delle comunità di formiche e termiti o, ancora, alla fondamentale capacità delle specie vegetali di compiere la fotosintesi catturando l’energia solare e racchiudendola all’interno dei legami del glucosio a partire da acqua e anidride carbonica. Da un punto di vista biologico, anatomico e fisiologico, la caratteristica di specie “cultura” si instaura ed esplica nell’uomo grazie all’enorme sviluppo, rispetto agli altri mammiferi e anche agli altri primati, della neocorteccia cerebrale, in particolare del neopallio. Questa esigenza, anche anatomica, della specie umana ha varie conseguenze tra cui: il massimo accrescimento percentuale del cranio potrà avvenire solo successivamente al parto; la prole umana, al momento della nascita, risulta di fatto “inetta”, dato che il massimo potenziale cerebrale si potrà avere solo nel corso del successivo sviluppo attraverso l’apprendimento (in tal senso Rita Levi Montalcini ha scritto il suo “Elogio dell’imperfezione” per la plasticità umana); viceversa molte altre specie animali partoriscono “prole atta”, ovvero già sostanzialmente prossima al proprio massimo potenziale cerebrale.

Abbandonando le innumerevoli esemplificazioni inerenti al mondo biologico e alla natura, quest’ultima avente valenze da intendersi universali, si deve sottolineare come la cultura abbia valore viceversa specifico e particolare (Levi Strass).

Inquadrando l’evoluzione culturale all’interno dei più ampi scenari delle evoluzioni biologiche e chimico/fisiche dell’universo (che di fatto “la contengono” e ne sono le premesse), si deve specificare che non è propriamente corretto, parlare singolarmente di “cultura” quanto viceversa di “culture” umane. Queste ultime vanno intese come quei complessi, più o meno ordinati e strutturati, di modelli mentali e di usanze tra loro interagenti e svolgenti funzione di guida per il comportamento pratico ma anche per la morale o per la legge o per la fede, definibili anche insiemi variegati ed eterogenei di concezioni, credenze, costumi, modi di pensare e agire, vedere, avvertire, rappresentare il mondo e rapportarsi alla natura, al proprio ambiente e più in generale alla vita e alla morte, che, nelle diverse epoche, storiche e non, e alle diverse latitudini hanno caratterizzato gli esseri appartenenti alla specie umana, il loro relazionarsi tra essi e con gli altri, al consanguineo o allo straniero.

In tal senso le suddette argomentazioni sono ovviamente connesse al processo di “inculturazione”, inteso come apprendimento e trasmissione di una determinata cultura verticalmente (tra generazioni) ma anche trasversalmente (tra “pari”), alla “acculturazione” da intendersi come trasmissione a livello collettivo e alla “culturologia”, studio delle culture.

Da ciò derivano, analogamente alle varietà biologiche, le proliferazioni e variabilità culturali nelle quali tuttavia, in tempi e luoghi diversi, si possono intravedere regolarità e leggi comuni, tali da poter essere colte e analizzate dall’antropologia che fa dell’approccio comparatistico uno dei suoi strumenti d’indagine principali, se non il maggiore, insieme a quello olistico (analogamente al ruolo principe che nella filosofia hegeliana svolge la dialettica, intesa come unità degli opposti nella loro sintesi; così sta la comparatistica in antropologia negli approcci verso l’alterità).

Volendo identificare, o circoscrivere, quelle che sono definibili le principali caratteristiche del più generale fenomeno culturale, oltre al già citato legame intrinseco con la specie umana (seppure non aprioristicamente esclusivo, in quanto altre specie dotate di un sistema nervoso sufficientemente evoluto potrebbero, potenzialmente, adempiere ad analoghi task),  certamente devono essere sottolineate la molteplicità, la diffusione, la capillarità delle culture (a riguardo si consideri il concetto di “Noosfera”, globo pensante, di Teilhard de Chardin) nonché le loro eterogeneità, il loro carattere di divergenza ma anche parallelismo e spesso convergenza, con effetti che, all’osservatore, possono apparire medesimi o diversi.

Circa l’ultimo punto si pensi al parallelismo che Claude Levi Strauss riscontra tra il sistema delle caste induiste, esemplificazione di un sistema di pensiero (e conseguentemente sociale) chiuso ma sotteso da un principio ritenuto naturale, e il sistema totemico australiano, esemplificazione di un sistema di pensiero (e poi sociale) aperto e sotteso da un principio viceversa avvertito come culturale. Un medesimo coerente modus operandi, o legge, agisce dietro ai pur diametralmente opposti, in termini di effetto finale, sistemi delle caste e dei totem: laddove la cultura è, secondo Levi Strauss, comunicazione e nasce con l’uscita dal proprio gruppo (esogamia), le caste sono auto-avvertite come un fenomeno non culturale ma naturale che pertanto rifugge dall’apertura e vieta la comunicazione con “gli altri da sé”; il totemismo, che viceversa si auto-percepisce come fenomeno culturale, dà luogo a gruppi profondamente interagenti i quali si scambiano risorse, persone e cose fino all’estrema contaminazione.

Inoltre, analogamente alle proprietà della disciplina antropologica che si prefigge di studiare le culture, deve essere sottolineata la molteplicità dei paradigmi culturali, nei diversi tempi e nei diversi luoghi, testimonianza dei vari modi di comportarsi e rapportarsi al reale e all’immaginario dei differenti gruppi umani.

Fondamentale è anche lo sforzo intrinseco a ciascuna cultura, cosmologia o visione del mondo o Welftanschaung, verso una forma di sistematicità, di ricerca di raggiungimento di una coerenza interna. Questa, oltre che l’aspirazione a risolvere una serie pratica di problematiche, dovrebbe essere vista come l’aspirazione ad attuare, anche attraverso strumenti quali la creatività o l’espressione estetica (o, in occidente, la ricerca scientifica), ciò che in psicologia viene definita “riduzione della dissonanza cognitiva”.

Le culture, come già affermato tra le righe, mutano col tempo, per cause endogene e molto spesso esogene; destinate a incontrarsi, purtroppo quasi sempre ciò si riduce a uno scontro. Se in passato l’incontro avveniva nel corso di processi a carattere localistico, cioè in spazi geografici identificabili in termini di stati nazionali dove risiedevano popoli con caratteristiche di omogeneità, sufficientemente connotabili; oggi, all’interno di quei processi di globalizzazione (seguenti al “post-moderno”) che hanno preso piede sempre più rapidamente e intensamente nei due ultimi decenni del secolo XX (sostanzialmente e paradossalmente con la “Caduta del Muro”), l’incontro delle culture “altre da sé “è sempre più frequente, diffuso e capillare, nei “luoghi tutti o nessuno”, intendendo con ciò spazi ormai quasi privi delle vecchie identità certe e univoche, sostanzialmente non più definibili come un determinato territorio. Il continuo e inesaurito moto planetario di masse di uomini, tragicamente alla ricerca di una dimensione negata all’interno del loro luogo geografico d’origine, ha ridisegnato e parzialmente reso meno chiari i tradizionali punti cardinali, nord e sud, est e ovest, centro e periferia, globale e locale, lasciando spazio a un prevalente continuo rimescolamento di quelle che in passato venivano etichettate, a torto o a ragione, razze ed etnie, di lingue, di usanze, speranze, incertezze.

Tornando più specificamente alla capacità culturale umana, le leggi della genetica attraverso i cromosomi della specie umana pongono le premesse per “fare cultura” mettendo a disposizione i kantiani schemi mentali; da questi, si attueranno e diversificheranno i prototipi culturali, dando origine alle multiformi peculiarità delle culture la cui creatività, come afferma il Prof. Fabietti, pur essendo raramente spettacolare è tuttavia sempre all’opera.