Sull’apprendimento – Tra associazionismo, latenze e insight

Aplysia

Dalle osservazioni di Erick Kandel circa l’abituazione agli stimoli nel mollusco gasteropode Aplysia all’insight dell’umano, ma probabilmente non solo nella nostra specie, l’apprendimento è forse il processo cognitivo che affascina maggiormente i ricercatori e che caratterizza molti degli aspetti comportamentali di un organismo che si rapporta a un ambiente mutevole (“L’intelligenza è l’adattamento a situazioni nuove, continua costruzione di strutture”, Jean Piaget).

La psicologia cognitiva distingue le forme di apprendimento nelle due grandi categorie di associazionistiche e non associazionistiche.

I principali casi di apprendimento associazionistico sono il condizionamento classico, o pavloviano, e il condizionamento operante, anche detto strumentale o skinneriano.

Se si ha condizionamento classico quando lo stimolo condizionato (CS) è in grado di evocare la risposta condizionata (CR) senza più che intervenga lo stimolo incondizionato (US) [la salivazione del cane (CR) al suono del campanello (CS) che, nelle fasi di condizionamento, ha preceduto il pasto (US)], si ha invece condizionamento operante quando l’animale o il soggetto agente attua un comportamento di risposta strumentale (ed egli diviene operante nel contesto sperimentale) a raggiungere uno scopo [il gatto o il ratto affamati che, anche attraverso prove ed errori,  imparano  a premere una leva per aprire una porta e raggiungere il cibo che hanno visto all’esterno].

Hall, nel 1999, ha ipotizzato che, in entrambi i casi, si ha la “creazione di una connessione (associazione) tra due eventi (…) un’associazione tra le rappresentazioni cerebrali (nervose e mentali) di tali eventi. Mentre nel condizionamento classico i due eventi sono stimoli presenti nel mondo esterno, nel condizionamento strumentale gli eventi tra cui si crea un’associazione sono uno stimolo e una risposta.” [Turatto, Massimo. PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition) (p. 159). MONDADORI EDUCATION. Kindle Edition.]

Interessanti sono alcuni parametri temporali del condizionamento classico. Il forward conditioning, ovvero il precedere del CS rispetto all’US, deve essere ottimale (tipico circa 2 secondi) e qualora si verifichi delay conditioning (US compare in modo ritardato ma comunque prima che termini CS) deve sussistere un trace conditioning (US appare dopo il temine di CS che tuttavia deve lasciare una traccia nel sistema nervoso affinché sia associato a US).

Ancor più di rilievo appaiono le implicazioni neurologiche derivanti da studi su pazienti con lesioni cerebrali: i delay conditioning e i trace conditioning avrebbero infatti basi neurali differenti, dato che sul primo ha impatti il cervelletto mentre sul secondo l’ippocampo (fondamentale per la memoria. “Dato che nell’essere umano l’ippocampo è una struttura importante per la memoria dichiarativa (…) e quindi per la consapevolezza, lo studio suggerisce che mentre il delay conditioning è una forma di apprendimento che non richiede consapevolezza della relazione tra CS e US, questa sembra essere nella nostra specie cruciale per il trace conditioning.” [Turatto, Massimo. PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition) (p. 164). MONDADORI EDUCATION. Kindle Edition.]

In merito al condizionamento operante è interessante considerare, nella prima metà del XX, le diverse concezioni di Edward L. Thorndike (comportamentista) rispetto a Wolfgang Kohler (gestaltista): il primo considerava il condizionamento operante un processo incrementale basato su prove ed errori (trials and errors); all’opposto Kohler propendeva per una sorta di illuminazione o intuizione (insight). Questa differenza d’impostazione teorica è importante anche per la psicologia cognitiva contemporanea. Infatti Adams & Dickinson, nel 1981, ma anche Dickinson e collaboratori nel 1995, attraverso studi sulla svalutazione delle ricompense[1], poterono stabilire che, durante il condizionamento strumentale, “semplici” ratti hanno degli obiettivi e si rappresentano le conseguenze delle loro azioni. Da ciò deriva che il comportamento dei ratti non è un semplice automatismo bensì un comportamento motivato e guidato da uno scopo. In questa maniera l’antica diatriba fra Thorndike e Kohler si risolve in favore della tesi di quest’ultimo. È in tal senso che si parla anche di plasticità corticale, termine coniato da Jerzy Konorski, prima della Seconda Guerra Mondiale, per indicare che il cervello e la corteccia hanno una struttura entro certi limiti continuamente modificata dall’esperienza.

In uno scenario ancora tipicamente comportamentista, o semmai neo-comportamentista, si colloca la teoria di Clark Hull, la Drive Reduction Theory (Teoria della riduzione della pulsione). Secondo questa visione, di tipo fortemente omeostatico, la riduzione di un bisogno agisce da rinforzo.  La teoria di Hull cede il passo dopo la metà del XX, con le scoperte di James Olds e Peter Milner (1954]. I due neuroscienziati osservarono che la stimolazione cerebrale tramite elettrodi impiantati chirurgicamente sia negli animali che negli esseri umani generava nei soggetti sperimentali risposte non aventi valore di rinforzo alla riduzione di un bisogno ma aventi il solo scopo di ricevere stimolazioni elettriche in nuclei sottocorticali specifici, l’ipotalamo laterale, il nucleus accumbens o altre aree. Tali centri furono nominati centri del piacere del cervello.

Venendo alle forme di apprendimento non associazionistiche, una loro definizione è basata sul criterio – potremmo dire negativo rispetto a quello associazionistico – di modifica del comportamento causato da uno stimolo ripetuto senza che, questo, sia messo in relazione con un altro stimolo. Forme base sono l’abituazione e la sensibilizzazione.

Se i meccanismi neurali dell’abituazione, anche detta assuefazione, studiata da Erick Kandel nel mollusco gasteropode Aplysia, consente all’organismo di apprendere a ignorare stimoli irrilevanti (secondo Evgeny Sokolov il sistema nervoso costruirebbe un modello neurale del mondo che fungerebbe da aspettativa futura, tanto che ogni nuovo stimolo è confrontato con questo modello predittivo), la sensibilizzazione, sempre in Aplysia, può subentrare dopo abituazione per nuova sollecitazione con uno stimolo differente (piccola scossa elettrica piuttosto che contatto fisico), rigenerando così anche la risposta a cui era subentrata abituazione.

Ma forme di apprendimento non associazionistico più evolute appaiono le mappe cognitive – si pensi anche alla svolta, storica, del paradigma del neo-comportamentista Tolman con l’apprendimento latente e le ipotizzate rappresentazioni cognitive nei ratti – e l’insight degli umani e, forse, perlomeno anche dei primati (la condotta del bastone negli scimpanzè di Kohler che devono raggiungere il cibo fuori dalla gabbia).

In definitiva i paradigmi interpretativi delle forme di apprendimento nell’uomo e negli animali appaiono rappresentativi non solo dell’evoluzione della psicologia cognitiva e delle neuroscienze ma, in senso più ampio, appaiono risentire anche dei contesti storico-culturali dei secoli XX e XXI, nei quali sono certamente inquadrabili.

[1] Troppo lungo sarebbe qui illustrare i dettagli di questa procedura, per la cui esposizione pertanto si rimanda a Turatto, Massimo. PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition) (pp. 233-234). MONDADORI EDUCATION. Kindle Edition.

[Fabio Sommella, gennaio 2022]

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