I modelli della memoria – Da Breve e Lungo Termine a una visione integrata?

Una delle aree di ricerca della psicologia cognitiva che, nell’ultimo mezzo secolo, ha subito maggiori stravolgimenti nella propria concezione e nei modelli teorici è senz’altro quella della Memoria.

Chi è avanti con gli anni e già studiava e leggeva di neuroscienze negli anni ’80 può forse ricordare, sulle pagine della rivista Le Scienze, un interessante articolo di Giuseppe Vallar che esemplificava molto bene le differenze fra Memoria a Breve Termine (MBT) e Memoria a Lungo Termine. Nella prima, sosteneva l’autore, possono confondersi parole come “manto”, “santo”, ”vanto” mentre nella seconda si possono confondere parole come “enorme”, “gigantesco”. “immenso”; ciò in quanto la MBT pone attenzione alle valenze fonemiche mentre la MLT alle valenze semantiche.

Con i decenni, e ancor più dai ’90, la visione d’insieme sulla Memoria è divenuta sempre più articolata, approfondendosi e, talvolta, superando anche i vecchi canonici retaggi categoriali di MBT e MLT. La visione attuale, infatti, appare innanzitutto porre attenzione alla distinzione fra Memoria Esplicita, meglio detta Dichiarativa, e Memoria Implicita, anche detta Non-Dichiarativa (ciò anche in relazione alla limitrofa e complementare area dell’apprendimento.)

La memoria implicita o non dichiarativa riguarda quei contenuti e quelle capacità mnestiche che, pur essendo state acquisite, non sono passibili di richiamo necessariamente volontario, bensì automatico (anoetica, ovvero priva di rapporto con il pensiero); sono quelle forme di memoria e apprendimento che vengono richiamate in modo automatico; esempio: sollevare un malato da parte di un infermiere, ma anche allacciarsi le scarpe. Questa forma di memoria è anche detta Procedurale.

Le memorie esplicite o dichiarative sono invece quelle memorie “cognitive”, volontarie: esempi fondamentali sono la memoria semantica (noetica, ovvero in rapporto al pensiero) o la memoria episodica (auto-noetica, laddove il pensiero insorge spontaneo), questa a sua volta distinguibile in retrospettiva e prospettica.

Tutte queste, tanto le procedurali quanto le semantiche ed episodiche, rientrano nella MLT; ovvero vanno a costituire il nostro patrimonio di conoscenze, consapevoli o inconsapevoli, e in certo modo costituiscono la nostra identità.

Della distinzione in MBT rimane, tutto sommato, poco o perlomeno questa si è trasformata notevolmente. Già nei ’70 si parlava spesso non più di MBT propriamente detta ma di Memoria di Lavoro (MDL). Questa da Baddeley e Hitch veniva articolata in una tri-tetra-partizione (esecutivo centrale che governa un dominio fonologico, un buffer episodico e un dominio visivo-spaziale). Nei ’90 poi, sotto la spinta di una ricerca che tendeva all’unitarietà, ma anche di evidenze sperimentali in tal senso, la MDL viene “inglobata” nella MLT: «Il modello della memoria di lavoro suggerito da Baddeley e Hitch nel 1974, sebbene sia il più seguito e forse il più autorevole, non è l’unico proposto. Negli anni Novanta del secolo scorso sono stati presentati vari modelli alternativi, contrapposti a quelli a magazzini. I modelli unitari considerano che le informazioni siano immagazzinate solo in una MLT. Risorse attentive di capacità limitata manterrebbero queste rappresentazioni attive fino a quando sono utili per lo svolgimento di un compito in atto. La memoria di lavoro è quindi concepita come la parte attivata della MLT e per questo è considerata incassata all’interno della MLT.» [Da Turatto, Massimo. PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition) (pp. 253-254). MONDADORI EDUCATION. Kindle Edition.]

Una speranza per una visione meno frammentata e viceversa unitaria – olistica? – delle facoltà psicologiche e cognitive?

[Fabio Sommella, febbraio 2022]

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