High hopes

Suonavano, quei tre accordi. Suonavano in successione. Ripetutamente. Nel brano. In una sequenza quasi ossessiva: do minore, mi bemolle e la bemolle. Con le note che si susseguivano a disegnare un quadro. Un quadro all’interno del quale venivano a comporsi altre recondite armonie.

In effetti neanche tanto recondite.

Meglio dire… sovratemporali?

Era, lui, al secondo anno di liceo. Stavano festeggiando l’ultimo giorno prima della vacanza natalizia. Al pomeriggio tutti gli studenti erano stati invitati per la gran festa musicale. Ma naturalmente potevano esser presenti anche i “nostalgici”. Si: i “nostalgici”. Quelli dimessi o usciti appena l’anno prima. Coloro che, almeno uffiialmente, avevano concluso il loro percorso di studi. Seppure ancora – come dire? – non avevano del tutto reciso il loro cordone ombelicale col liceo. E, allora, tutti questi ancora arrivavano. In allegria coi loro più o meno giovani coetanei. Cioè: anche loro frequentavano, spesso, quei luoghi, quelle sale, quegli ambienti, perché ancora attaccati a quelle atmosfere, a quei docenti, a quei compagni o ex compagni di scuola, – seppure appena un po’ più giovani – a quelle mura scolastiche.

Così accadde che, in quell’occasione, fosse presente – fra i molti altri – anche suo fratello più grande, Berto. Allora, in una delle aule – la Magna? –  si celebrava non ci si ricorda – ora – bene cosa: senza dubbio un momento d’attrazione collettivo, di richiamo totale. Beh, in effetti: l’arrivo prossimo del Natale 19xx. Tanto che la moltitudine dei presenti era convenuta lì, in una delle più grandi sale dell’istituto. E in quel momento, al fine di parlar meglio a tutti, uno dei leader spirituali – tal Anthony the Hunter ( 😊 ) – di quel nuovo anno – in effetti iniziato solo da due-tre mesi – pensò bene di salire in cattedra. Letteralmente. In piedi.

Vogliamo dirlo?

Quale migliore occasione di salire in cattedra – con potente tono goliardico, parzialmente canzonatorio, vale a dire denso di sfottò – con tutti i piedi?

Tra il fremito della folla sottostante, il fervore dell’incipiente festa, il tripudio per i festeggiamenti in corso, l’eccitazione generale, Anthony the Hunter intonò un discorso che, altrimenti, sarebbe risultato fortemente strampalato e di improbabile presa anche solo su parte del pubblico presente. Ma, in quell’occasione, attaccò fortemente. E attaccando fortemente, Anthony the Hunter iniziò a celiare, con la sua verve, la sua propria potente vis comica. Tanto che, sapientemente, arringava la folla che gli dava credito. Consueto credito? Si, probabilmente: ma non di quella portata. Perché, in quell’occasione, corale, plebiscitario, effettivamente unilaterale. E quando Anthony si servì di un espediente – simpatico – per richiamare ulteriormente la simpatia di tutti i presenti – fare riferimento a un’ipotetica bella ragazza presente nella parte opposta della sala rispetto a lui – aggiungendo con la sua vis teatrale: «Ecco: naturalmente adesso tutti vi girate a guardare quella bella ragazza!» – Berto, altrettanto platealmente, esclamò a gran voce: «E certo: mica stiamo a guardare a te.»

Il tripudio si aggiunse al tripudio. Si, perché Berto fu osannato altrettanto che Anthony: divennero entrambi i beniamini della serata. Gli oscar onorari. Gli eroi. Si conoscevano già, ma divennero ancor più amici e goliardici esegeti di una sensibilità – liceale – sovratemporale.

Ecco: in quel momento – seppure anzitempo, rispetto alla normale e realistica successione temporale, perché erano i ’70 e David Gilmour avrebbe composto il suo brano circa venti anni dopo – seppure fuori qualsiasi tempo, seppure fuori della Storia tutta, in tutto l’aere circostante, in tutte le sale, in tutto l’istituto, suonavano le High hopes.

Ma esse suonavano, avrebbero suonato ed – effettivamente (!?!) – avevano suonato anche in altre epoche. Si, perché siamo persuasi che, seppure in altre forme, quelle armonie siano davvero sovratemporali. E si possono adattare a ogni epoca. Alle loro, certo, cioè di lui, di Berto e di Anthony the Hunter, vale a dire agli anni ’70, anni ’90, anni 2000 e oltre. Ma anche ai primi del ‘900. Già, perché no? Quando Eugenio compose gli Ossi. O anche quando – ad esempio, nella Firenze appena medicea – Filippo Brunelleschi diede il commosso annuncio della morte di Masaccio. O durante le vicende delle oscurità e delle luci di Caravaggio. O nelle epoche di Titiro e Melibeo. O durante quelle di Lev Tolstoj, quando Pierre e Andrej dialogavano in sincera amicizia sulle impossibilità delle loro certezze; ed entrambi si sarebbero innamorati di Natasa.

Si.

High hopes!

[29 agosto 2018]

High hopes