Psicologia sociale: gli stereotipi negli approcci di due grandi pensatori

Gli stereotipi spesso assolvono la funzione di giustificare uno stato di disuguaglianza tra gruppi sociali, stato di disuguaglianza che in tal modo si contribuirebbe a mantenere costante nel tempo.

Ciò risulta evidente anche prendendo in considerazione i due elementi cardine della Teoria dell’identità sociale di Henry Tajfel, teoria secondo la quale, nei gruppi sociali e più in generale nelle  collettività umane, ciascun membro tenderebbe a differenziarsi dagli altri, favorendo inoltre in modo inevitabile il proprio ingroup. Sarebbe questo un meccanismo abbastanza ampio e universalmente diffuso.

Leggendo queste tutt’altro che improbabili e certamente attuali evidenze sociali – a tal fine basta confrontarsi con la Storia e con l’Attualità – non possono tuttavia non riemergere, nella mente di chi legge, le argomentazioni che, un altro autore senza dubbio di rilievo nell’ambito del pensiero sociale del XX secolo,  quale fu Erich Fromm, ha riportato a più riprese in vari suoi scritti, specie dell’ultimo periodo (anni ’70).

Rammento infatti come in un suo testo, appartenente alle raccolte de L’amore per la vita o a La disobbedienza e altri saggi, Fromm sottolineasse la grande difficoltà di ogni essere umano di essere accogliente e solidale con lo straniero, ovvero verso e nei confronti di colui che non ha alcun elemento in comune, con noi o con il nostro gruppo di appartenenza.

Mi piace concludere con un paio di estratti da un altro importante testo, seppure precedente (1956), sempre dello psicologo di Francoforte: L’arte di amare. L’estratto che riporto è ovviamente in linea col concetto che ho espresso sopra e, in larga misura, lo comprende nonché lo anticipa, abbracciandolo e collocandolo in un contesto certamente più ampio.

«L’amore per una persona implica l’amore per l’uomo come tale. La “divisione del lavoro”, come William James la chiama, per cui un uomo ama la famiglia ma non sente niente per lo “straniero”, è sintomo d’incapacità d’amare. L’amore dell’uomo non è, come generalmente si crede, un’astrazione che viene dopo l’amore per una specifica persona, ma è la sua premessa, sebbene geneticamente la si acquista amando specifici individui.» [Erich Fromm, L’arte d’amare, Il Saggiatore, Ottobre 1980, pp. 77-78 ]

«Non esiste “scissione” tra l’amore per la propria gente e l’amore per lo straniero. Al contrario, la condizione per l’esistenza del primo è l’esistenza del secondo. Accettare questo principio significa apportare un cambiamento radicale nei propri rapporti umani. Mentre per la maggior parte della gente l’amore per il prossimo non è altro che ipocrisia, i nostri rapporti devono basarsi sul principio della sincerità. Sincerità significa non servirsi della frode e dell’usura nello scambio della merce e dei sentimenti. “Io ti do quanto tu mi dai”, in beni materiali come in amore, è la prevalente massima etica della società capitalistica.» [Erich Fromm, L’arte d’amare, Il Saggiatore, Ottobre 1980, p. 161]

Un attestato che certamente esula dalle pertinenze strettamente scientifiche della psicologia sociale ma che risulta un attualissimo monito di speranza, da parte di un Maestro del ‘900, “Affinché l’uomo prevalga”! J

[Fabio Sommella, 03 novembre 2022, (rieditato da versione originaria del 1 giugno 2015, Stereotipi, Tajfel, Fromm – Dagli stereotipi all’Amore per la vita)]

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