Quando le Eredità della Storia sono davvero adeguate: il caso di Giuseppe Garibaldi

Ci sono dei casi in cui le Eredità della Storia sono davvero adeguate e degne: uno di questi è anche quello di Giuseppe Garibaldi Junior, che ho avuto l’onore di conoscere di persona, ieri, presso il Museo della Repubblica Romana di Porta San Pancrazio, a Roma (di ciò ringrazio il Centro Romanesco Trilussa, vivace comunità artistica e culturale che frequento da meno di un anno).
Dopo la rievocazione dei fatti della Repubblica Romana del 1849, da parte dell’Associazione Romana Gli Amici di Righetto, ho apprezzato molto il discorso – pacato e sobrio, pur nella sua profondità – di Giuseppe Garibaldi Junior, classe 1947. Egli, tra le altre cose, ha posto l’accento su temi e aspetti di cui sono persuaso da tempo, vale a dire sull’inevitabile e doveroso spostamento della focalizzazione sociale, oggi nel XXI secolo, su differenti punti di attenzione. Tra questi,  indubbiamente un’ottica non più nazionale bensì planetaria, ovvero: guardare al Pianeta piuttosto che solo al pur glorioso storico Risorgimento.
Una splendida persona, un pronipote degno del bisnonno: sono orgoglioso di averlo conosciuto,  avergli parlato e stretto la mano.
Ad Majora!

L'ho conosciuto di persona, ieri, presso il Museo della Repubblica Romana di Porta San Pancrazio, a Roma, dopo il suo…

Pubblicato da Fabio Sommella su Mercoledì 12 febbraio 2020

[Fabio Sommella, 12 febbraio 2020]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

La fratellanza – transnazionale e transculturale – verso l’estraneo (in tempi non sospetti)

Giuseppe Giusti, l’empatico antropologo culturale ante-litteram

Di tanto in tanto mi tornava in mente, la famosa poesia di Giuseppe Giusti – Sant’Ambrogio, 1846 – uno degli emblemi della nostra letteratura risorgimentale.

Stamane qualcosa – giocavo, nella mia testa, con il termine gabellare – me l’ha riproposta in piena coscienza; tanto che sono andato a cercare quei versi.

Ed eccoli qui, a questo link. Poesia magica e bella, direi (come l’isola non trovata di gucciniana memoria… ma questo è un altro discorso! 😊)

Bella è bella, questa intensa e godibilissima lirica. Leggibilissima e comprensibile, davvero, già in prima lettura.

E – son persuaso – attualissima più che mai, in quanto – in tempi non sospetti, 1846, cioè in epoca di poco precedente alla I Guerra d’Indipendenza – al di là dei contingenti conflitti politici nazionali – patrioti italiani vs impero austriaco – rivela qualcosa di grandioso e potente.

Che cosa?

Ma la forza, sotterranea eppur incontrovertibile, della fratellanza transnazionale e transculturale.

Nel caso specifico, vale a dire nell’episodio così gustosamente narrato dal Giusti, ci sono alcuni elementi che si fanno mediatori di questo processo.

In primis, la sede o luogo dell’azione: la magnifica basilica milanese-romanica di Sant’Ambrogio.

Ma, solamente questo, certo non basterebbe; in quanto effettivo catalizzatore di questa subliminale reazione – elemento di cambiamento, vettore di trasformazione – sarà soprattutto la musica: dapprima un coro di Giuseppe Verdi, poi un lento e solenne cantico tedesco.

Perché effettivamente sono, questi elementi, quanto serve e quanto basta per attivare, nel protagonista della lirica, i necessari processi biologico-psicologici – appartenenti alla nostra specie – di empatia, di comunicazione e identificazione umani; ciò financo verso il presunto o reale nemico, verso lo straniero, l’estraneo: verso colui che – scriverà nel secolo successivo Erich Fromm – non ha alcun punto di contatto con noi. Eppure con il quale, il protagonista della poesia di Giuseppe Giusti (l’uomo Giuseppe Giusti medesimo?), riesce a stabilire alla fine un nesso, un legame, un ponte. Ciò a dispetto di qualsiasi dominante e contingente conflitto e forma d’odio: nazionale, politico, culturale, razziale.

Si rilegga tutta la poesia, in particolare ponendo attenzione a versi come “Un desiderio di pace e d’amore, / Uno sgomento di lontano esilio, (…) A dura vita, a dura disciplina, / Muti, derisi, solitari stanno, (…) E quest’odio che mai non avvicina / Il popolo lombardo all’alemanno”.

Stupore?

Probabilmente no. Ma quella effettuata da Giuseppe Giusti, quasi due secoli fa,  di fatto è un’operazione di antropologia culturale ante-litteram.  Pur se svolta all’interno di un contesto storico-politico – il Risorgimento italiano – che, ovviamente, non lasciava dubbi circa le scelte ideologiche e di fazione in cui schierarsi.

Operazione di antropologia culturale di cui – oggi, più che mai – dovremmo tenere conto tutti, specialmente i cultori degli stolidi nazionalismi contemporanei, delle xenofobie, degli ottusi e ciechi orgogli patriottici, degli odii razziali, del noi contro di loro.

[ 7 agosto 2018]