Attorno alle emozioni

Come anche la tematica dell’Attenzione, anche quella delle Emozioni costituisce un ambito non sempre esaustivamente trattato nei corsi o nei manuali di psicologia generale, malgrado le origini di queste indagini scientifiche risalgano a William James che ne indicava il valore funzionale e adattivo (“Non si fugge perché si ha paura ma si ha paura per rinforzare la risposta di fuga!”).

Una senza dubbio autorevole e pregnante trattazione, relativa alle Emozioni, è quella effettuata nel testo a cura di R. Job “Modelli cognitivi delle emozioni” nell’edizione di Carocci del 2008 da Stefano Boca, già docente di pregevolissime videolezioni di Psicologia Sociale per Uninettuno.

Fin dagli anni ’70 del XX secolo (ma ciò era già ampiamente trattato anche nel manuale di Renzo Canestrari “Psicologia Generale e dello Sviluppo”, CLUEB Bologna 1984), sono note le indagini psicologico-antropologiche, eseguite tra gli indigeni di tribù illetterate della Nuova Guinea, del neuropsichiatra Ekman, alla ricerca delle basi alfabetiche delle espressioni emotive in culture profondamente differenti dalla nostra; ciò a sostenere le basi genetiche, seppure plausibilmente filtrate/camuffate da fattori culturali, delle emozioni.

Il riconoscimento dei risultati, decisamente apprezzabili, di Ekman è stato viceversa confutato, negli anni ’80-’90, da Russel et al., questi tutti favorevoli  alla mediazione culturale del fatto emotivo, secondo cui “le emozioni possono essere viste come categorie caratterizzate da un grado di appartenenza”, ciò comportando che “i confini tra le varie emozioni sono sfocati” e “gli esemplari categoriali più lontani dal prototipo possono essere membri di categorie diverse.”.

È Richard Lazarus che, negli anni ’90, propone la modellizzazione delle emozioni come sindromi, sintomi che si manifestano insieme, in modo tale che nessuno, considerato singolarmente, risulti essenziale per la diagnosi. Da qui discende la strutturata formalizzazione di Lazarus delle emozioni come processo psicologico-cognitivo, pluri-stratificazione di processi pure notevolmente diversi. Rimandando ovviamente alla formalizzazione di Lazarus presente nel capitolo di Boca del testo di Job (!?!), qui si sottolinea come siano coinvolti, a più livelli e in relazioni bidirezionali, la personalità, la situazione, processi di stima-valutazione (appraisal), azioni e tendenza alle azioni, esperienze, fisiologia, focalizzazioni sui problemi e sul loro superamento (coping).

Se da una parte, analogamente a quanto avviene (su scale minori o maggiori) in tutti i sistemi biologici che tendono all’omeostasi, si può definire la Personalità ulteriore crocevia e cerniera tra sistemi organizzativi della Natura (e, non ultimo, della Cultura), ovvero come un espediente della Natura finalizzato a mantenere, per tutta la vita nel sistema “essere umano”, un dinamico stato stazionario, il quale può esser garantito e manifestato nei diversi contesti situazionali solamente grazie alla dinamicità delle strutture cerebrali e psicologiche che la sottendono,  analogamente l’Emozione, relativamente alla modellizzazione di Lazarus (1991), «non è un accidente di percorso come nelle teorie blocco/interruzione ma una risposta articolata che ha la funzione di aiutare l’organismo a fronteggiare con successo situazioni “di crisi”»; ovvero, relativamente alle crisi dell’esistenza, le emozioni ricoprono speranze di successo   omeostatico e posseggono un eminente valore adattivo per i viventi, potremmo dire analogo alla già citata personalità.

Transitando momentaneamente su un piano  meramente bio-patologico generale, potremmo affermare che i processi emotivi in psicologia siano analoghi ai processi infiammatori in biologia-medicina, ovvero siano inquadrabili come stratagemmi della natura atti a fronteggiare e risolvere, in maniere anche “calde” (si pensi al “flogismo” e ai temperamenti ippocratici della natura umana), i processi e i fenomeni infettivi e patologici; pertanto: l’emozione sta alla psiche come l’infiammazione sta all’organismo, laddove sia la prima (emozione) che la seconda (infiammazione) possono ricondurre alla salute o, viceversa, tracimare nella malattia e nella morte.

Paradigmatico, probabilmente anche nell’ottica qui appena menzionata, è la “sindrome da impotenza appresa”  formulata da Seligman nel 1975. Questa, sostanzialmente una risposta emotiva patologica a ripetute esperienze di fallimento delle strategie di coping, è l’evento che le strategie di empowerment degli psicologi di comunità vorrebbero compensare e arginare nonché capovolgere.  È infatti evidente la natura eminentemente sociale-comunitaria di tali fenomeni pertinenti all’emozione, fenomeni che Lazarus (1991) inquadra, saggiamente, nella più ampia e interdisciplinare Teoria dei Sistemi.

[Fabio Sommella, ottobre 2015]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Dissonanze e Minoranze

Prendendo spunto da un mio precedente articolo – quello relativo alle Dissonanze, tanto cognitive che musicali, del 20 giugno 2018 – mi piace qui ampliare il medesimo concetto estendendolo al tema delle Minoranze nell’ambito sociale, ovvero delle grandi o piccole collettività/comunità umane. Anche perché sui blog si leggono spesso unilaterali affermazioni tipo “Le Minoranze devono necessariamente sottostare alle Maggioranze“. Beh, mi sembra il caso di affrontare la tematica – cruciale, anche nella nostra contemporaneità – con un minimo di riferimenti scientifici e non solo sull’onda dell’emotività.

Rimandando all’articolo del 20 giugno 2018 per alcuni aspetti di dettaglio – relativi alle nostre necessità di coerenza, strategie di riduzione della dissonanza cognitiva, ai parallelismi con la dissonanza musicale – interessa qui approfondire il nesso e il parallelismo con le Minoranze. A tal fine mi rifarò ad alcune mie precedenti riflessioni – datate luglio 2015 –  in epoca in cui tra le altre cose mi sono dedicato, pur provvisoriamente, ad un corso di studio in psicologia sociale.

La dissonanza cognitiva, teorizzata da Leon Festinger, svolge per la psiche un affascinante ruolo di ricerca di stabilità che, consciamente o inconsciamente o, ancora, per rimozione o per dissociazione, operiamo al fine di sottrarci all’ostinato, o naturale, cambiamento del nostro agire o sentire, con la probabile finalità di mantenimento o evoluzione del nostro .

Come già detto la citata dissonanza cognitiva richiama la dissonanza in altri ambiti di conoscenza, specificamente quello musicale per il quale, il compositore e maestro Roman Vlad, sosteneva che essa fosse “motore della storia musicale”. Un breve estratto, molto indicativo in tal senso, da p. 150 del libro indicato al suddetto link: “Fin dall’antichità ci si accorse che quanto più semplici erano i numeri di queste frazioni, tanto più  dolcemente suonavano insieme, «consonavano»  i rispettivi suoni, tanto più consonante era l’intervallo  da essi formato. (…)  A quellìepoca, e fino al Medio Evo avanzato, tutti gli altri intervalli, caratterizzati da rapporti numerici comprendenti numeri quali 5, 6, 7, 15 e 16, venivano considerati dissonanze. Anche le terze e le seste, che per le nostre orecchie suonano in modo perfettamente consonante.” [Roman Vlad, Introduzione alla civiltà musicale, Zanichelli, Bologna, 1988, p. 150]

A tutto ciò si affianca, stavolta in ambito squisitamente di psicologia sociale, il ruolo che, secondo Serge Moscovici, le minoranze svolgono nell’evoluzione sociale. L’evoluzione costante è, a parere di Moscovici, dovuta soprattutto all’influenza delle minoranze, da principio inascoltate e dissidenti, poi incidenti nell’evoluzione sociale.

Mi sembra possa avere importanza rimarcare che le minoranze, indicate da Serge Moscovici, svolgono un ruolo nel sociale analogo a quello che la dissonanza svolge nella cognizione; e che di nuovo, a questo punto, si potrebbe stilare anche una seconda proporzione: le minoranze stanno alla costante evoluzione sociale come la dissonanza, stavolta armonico-melodica indicata da Roman Vlad , sta nuovamente all’evoluzione NdR: storia] musicale.

Pertanto potremmo dire che, decisamente, siano le note stonate, o quelle che in certe fasi storiche appaiono tali – tanto socialmente quanto cognitivamente nonché ancora musicalmente – a fornire energia al motore evolutivo, in ogni ambito.

In questo scenario “gnoseologico”, forse non è marginale osservare che Festinger, pur nato a New York, era figlio di immigrati ebrei russi; Moscovici e Vlad erano entrambi romeni, il primo naturalizzato francese e il secondo naturalizzato italiano. Inoltre Festinger e Vlad erano entrambi del 1919 mentre Moscovici, poco più giovane, del 1925. Tutto ciò lascia intuire un similare analogo fervore intellettuale e culturale, epocale, originantesi dall’Europa dell’Est, macro-area per certi versi davvero minoritaria,  decisamente  dissonante, eppure potente motore di molte innovazioni culturali.

Gli attuali teorici degli orgogliosi purismi a tutti i costi – nazionali e nazionalisti – riuscirebbero a comprendere queste sottigliezze?

[Fabio, 10 agosto 2018]