L’amore come psicopatologia secondo il professor Desmond Avenarius

Come sospeso tra una dimensione espressamente scientifica e una, viceversa, manifestamente umoristica – riecheggiante, sul primo versante, il Musicofilia di Oliver Sacks mentre, sul secondo, (qualcuno lo ricorderà?) il Carugati di Gino Bramieri (!?!) – Amore e altre psicopatologie (Desmond Avenarius, editore Graphofeel, 2018) si presenta come una simpatica prova d’autore di genere narrativo-saggistico-comico-grottesco. L’epigrafe di premessa, ripresa da Arthur Schopenhauer e riferita all’amore inappagato per Laura da parte di Francesco Petrarca, già annuncia l’impianto eminentemente biologistico-naturalistico che sorregge l’intera opera, a discapito di qualsiasi possibile sovrastruttura astratta e metafisica.

La prima e più voluminosa parte si articola in una serrata sequela di fantasiosi e gustosi casi clinici. Tema: la psicopatologia dell’amore. Ma in tutto il libro, all’interno di una folta galleria di annotazioni aneddotiche, se ne riconoscono e memorizzano alcune davvero esilaranti: il Giannino alias Lupo e la Pina alias Cappuccetto Rosso; l’acquisita maturità sessuale d’un protagonista in concomitanza della storica Italia-Germania 4 a 3 del ‘70; il “Sesso con piacere” della tribù amazzonica degli Zanduka (?!?!), per molti versi riecheggiante da una parte il “Sesso senza amore” di un’altra tribù, quella televisiva di Dandini/Guzzanti di qualche anno fa, dall’altra il Bunga Bunga di un premier, pure di qualche anno fa.

È in questo modo che prendono corpo una serie di storie, vicende, immagini dense e ricche di colore, iperboliche, paradossali, anche surreali. La galleria umana, spesso goliardicamente estrema, non escludente pur lontani echi boccacciani-boccacceschi del filone commedia filmica italiana ’60-‘70, talvolta volutamente financo mandrillesca, non oltrepassa mai i limiti del buon gusto. Il lettore risponde al simpatico strizzar d’occhio degli autori e viene sapientemente condotto fra tragiche disavventure di traumi affettivo-amorosi e galanti avventure sentimentali. Tutti gli avvenimenti iniziali degenerano inevitabilmente in dolori dell’anima; ma, proprio grazie al professor Desmond Avenarius, tutto viene sempre risolto, puntualmente. Altrimenti non ci sarebbe necessità del suo intervento, analogamente a quanto avviene nella fiction Don Matteo, in cui è richiesta la redenzione, altrimenti non ci sarebbe necessità del sagace ed evergreen sacerdote. Pertanto, anche qui, avviene sempre la guarigione dei pazienti, tanto di quelli cronicizzati, quanto di quelli vittime delle fasi acute della psicopatologia denominata Amore.

Le mirabolanti vicissitudini, ovviamente, vogliono essere e sono l’autentico punto di attrazione del libro in cui. all’interno di una dimensione narrativa affabulatorio-fantapsicologica, si concede largo spazio all’ironia e alla satira dei costumi umani. Ma l’epicentro e fil rouge, il punto di inevitabile arrivo, è il meta-magico-scientistico elettroerototropion. Quest’ultimo strumento centrale, sorta di black box (della sua costituzione ne viene fornita una sommaria descrizione in Appendice), dati degli elementi in ingresso (la psiche del paziente), è in grado di discernere e chiarire le cause dei dolori dell’anima, generando di volta in volta in uscita delle risposte diagnostico-terapeutiche. Queste sono inequivocabili, fondantisi sulla scienza dell’erototropiologia umana applicata, disciplina appunto fondata dal professor Desmond Avenarius di Trockenerhugell. Il lettore medio, erroneamente, potrebbe ritenere questa disciplina in qualche misura imparentata con la tropologia, ma certo in merito il prof. Desmond Avenarius sarà in disaccordo.

Nell’Appendice, infine, sono ricostituite, con indubbia verosimiglianza parascientifica, le basi teoriche che fanno da supporto alle dottrine del professor Avenarius: attraversando canoni e criteri di psicologia dell’inconscio, modelli antropologici ed etologici, criteri estetici di narratologia con finalità “biblioterapeutiche”, il lettore viene guidato a esplorare i capisaldi della erototropiologia. In particolare, toccando l’area della biblioterapia, viene adombrata l’ampia questione pertinente tanto alle modalità di fruizione delle storie raccontate quanto, ancor più importante, allo scrivere storie. È qui che, con un furore alla Savonarola, il professor Desmond Avenarius – o chi per lui – si scaglia e prende posizione in merito al proibire alcune storie, almeno in certe modalità (“libri che secondo me dovrebbero essere condannati alle fiamme senza pensarci un attimo”).

In ogni caso la fascinazione è assicurata, perché i capisaldi dell’erototropiologia umana applicata, partoriti dalla feconda mente dell’illustre neuroscienziato, al di là della dimensione finzionale saggistico-narrativa, divengono mete ideali e approcci di vita, richiamando – ancora una volta, perché no? – una rediviva Età dell’Oro (vagheggiata quasi sessanta anni fa anche da Luciano Bianciardi in chiusura della sua Vita agra), il desiderio di ritornare a uno stato di natura virginale che – superfluo dirlo – è perduto alle nostre latitudini e nella nostra civiltà. Luogo comune? Forse. Ma il lettore chiude il libro persuaso di trovarsi di fronte a un nuovo dominio di conoscenze sulla natura e psiche umana in cui la buona narrativa e narratologia assurgono a fondamenti. Chissà se l’erototropiologia sia il connubio di biblioterapia e musicoterapia medesime? In ogni caso non si può fare a meno di tessere simpaticamente le lodi del professor Desmond Avenarius e dei suoi fedeli collaboratori Dario Amadei ed Elena Sbaraglia.

[Fabio Sommella, 27 marzo 2019]

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