Dialogo fra amici

  • Non ero io a suonare. La canzone cantava me. E mi perdevo tra le note. Diventavo quei suoni. Il mio cuore era un pentagramma non scritto. Era una partitura di suoni dell’anima. Non avevo orecchie per sentirla né occhi per leggerla. Solo dita per dipingerla. E voce per tesserla. Salendo verso le stelle. Planando verso il mare. Seguendo il flusso delle onde. Lasciandomi trasportare dal vento. Non esisteva più la realtà. Esisteva una sola fantasia. Quella unica lingua che intendono duri e puri di cuore: la Musica. Con i suoi versi, sentieri in cui si snodano le tortuose strade dei sentimenti verso marine selvagge o valli amene, fiorite di girasoli che volgono lo sguardo assente verso il nulla della notte. Non importa il significato: la Musica, con le sue note. Possono essere lunghe come l’attesa che ora sto vivendo. Brevi come quell’istante, che finalmente un giorno arriverà. Questa e solo questa era la Musica. La metafora della vita che fugge, attimo dopo attimo, come un accordo che si sussegue ad una modulazione che sposta d’un pianeta il volo nell’infinito. La distanza tra il primo vagito e l’afflato estremo, misurata dal dolore, corda che sentivo vibrare insieme ad altre tra cuore ed anima, quando ancora avevo un’anima. Lei, fortunata, è già partita. Si gode la solitudine di quella marina selvaggia. Il resto è qua. Muto. Solo. Lo sguardo oltre quel muro – alto – dove c’è solo il suono senza lunghezza del destino. Che attende. Lui sì, lo sa, che cosa.
  • Sai, amico, lo struggimento interiore della persona – per quanto meraviglioso, come nel tuo caso – dovrebbe sempre fare i conti con gli affetti esteriori che è riuscito a provocare, causare, generare, mettere in moto in questo mondo: non è solo l’afflato artistico manifesto che si estrinseca in una performance, per quanto vitale e coinvolgente nella propria totalità; ma è la vita più ampia, nella sua più estesa accezione e quotidianità, che ci dà valore, significato, riscatto, motivo di esserci, senso. Daniela, Simone, Ludovica, Paolo sono le principali emblematiche attestazioni dell’importanza della tua presenza – qui ed ora – come nel passato e, come di cuore mi auguro, anche per un lungo e fecondo futuro. Ma anche i tuoi tanti amici – anche queste righe e parole, “secche e storte come un ramo” – lo sono. Non rammaricarti, amico mio, per una performance in meno: i tuoi concerti e sinfonie sono in te e li rendi a noi noti in altra guisa, altrettanto se non ancor più splendida. Siine orgoglioso. Hanno il garbo e la levità della prima neve, silente ma immensa, avvolgente il paesaggio di mistero e luce, di bagliori e quiete, candido come un coacervo di esistenze, come l’origine dell’universo, come i suoi primi tre secondi. Che l’attesa sia ancora lunga e grata, caro amico. Ad majora.

[Massimo Moraldi, Fabio Sommella – 25 marzo 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Singing in the rain (la gioia)

Perché poi era la gioia. La gioia di aver svolto proficuamente una seconda lezione di orchestrazione con l’ottimo Maestro Matteo. Una gioia che – in altri tempi – avrebbe immediatamente condiviso al telefono con sua moglie. Cose che gli mancavano: come quando, quella volta, tornando con loro figlio, si era fermato in quella gioielleria per regalarle quel pendente. Oggi, ormai, era impossibile. Esattamente – proprio oggi – da due anni e mezzo. Così, in assenza d’una persona di fiducia, com’era stato per quasi trentadue anni, adesso affidava quelle sue confidenze e complicità a qualcos’altro. Si: al web. Perché – li, sul web, negli spazi d’un Social – abbandonava, quasi fossero vuoti a perdere, quelle bottiglie contenenti messaggi, lasciate galleggiare in un oceano mentale, in un oceano di rete. Quasi, Lei, si fosse distribuita un po’ su tutti. E agli amici, reali e virtuali, aveva adesso delegato quegli entusiasmi. Entusiasmi mai sopiti e venuti meno, malgrado gli anni. Malgrado i decenni.

Cosa stava facendo?

Stava ottimizzando la partitura orchestrale del brano composto alla chitarra proprio per Lei – per la moglie – qualche mese dopo la sua scomparsa. Canzone dell’addio o Farewell’s song, che dir si voglia. Certo: dopo ne sarebbero seguite altre. Perché ben sapeva che arrangiare per orchestra – di legni, ottoni e archi – non è mai facile o immediato. In quanto, pur conoscendo le armonie e rispettandole, si rischia sempre e solo di infarcire la partitura di aromi eccessivi, come un timballo in cui non é più possibile riconoscere i singoli sapori e colori. Per far opera di distinguo occorrono opportune tecniche di allargamento dei range sonori, con individuazione e isolamento delle voci melodiche, specie se queste sono nel range intermedio. Inoltre occorre l’articolazione e il dosaggio delle dinamiche.

Ciò stavano facendo con il Maestro Matteo. E, ora che tornava, malgrado la pioggia torrenziale scendesse copiosamente e bagnasse le sue gambe e i piedi, si sentiva felice. Come quando alla lezione di scrittura sul ritmo narrativo il docente aveva messo a fuoco i criteri essenziali per … conferire ritmo a un racconto.

Cosa aveva scritto sul Social? Cosa aveva messo stavolta nella sua bottiglia galleggiante? “Oggi, seconda lezione del corso di approfondimento di orchestrazione/arrangiamento, con il Maestro Matteo presso la Scuola 100x100Musica, Pietralata, Roma. Ci si fa strada nella luce! 😊”. E respirava quell’aria; un’aria familiare, in cui non gli sembrava di staccare da casa sua o dal suo ufficio – qualora fosse – bensì avvertiva un senso di continuità: con se stesso, con i suoi più disparati lavori, con i suoi studi giovanili, le sue ricerche di sempre.

Avrebbe parlato con Lei. L’avrebbe chiamata: ma ora era impossibile. Era irraggiungibile.

Compilò il messaggio. La sua letizia. Mentre stava a bagnarsi. Sotto la pioggia. Diede l’invio al post. E stava cantando. Malgrado la pioggia. Malgrado il Mondo. Malgrado la solitudine. E intonò quell’aria. Perché la sua musica, dedicata a Lei, era bella. Glielo aveva detto qualcuna. Glielo aveva detto anche il Maestro, mentre lavoravano sull’arrangiamento. E, lui, provava gioia.

Così, sotto la pioggia.

Singing in the rain.

[Fabio, 20 novembre 2018]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Notturno

Luci di palazzi

fuori nel buio,

gialli quadratini

su sfondi neri.

 

Fuori è l’immenso,

ampia distesa scura,

la notte.

 

Lontano,

bianchi puntini al neon,

le strade

transitate da auto.

 

Campagna,

asfalto,

città,

cielo notturno.

 

La luna,

col suo alone luminoso intorno,

intona un nostalgico canto spaziale dei Pink Floyd.

 

[1977]

Visioni (canto di primavera)

Corri

lungo il fiume o sull’acqua di uno stagno,

corri

sui tuoi pensieri leggeri

che si alzano al cielo,

colorando di viola l’azzurro,

infiammando con la luce del tramonto.

 

Respira

l’aria primaverile

d’un verde mattino,

sdraiati

su un tappeto di erbe

spuntate all’alba di un nuovo giorno,

tra la brina che si sgelava

morendo, con lei, la notte.

 

Canta la gioia del nuovo sole,

dei suoi raggi tiepidi

che scaldano il gelo del cuore

e asciugano i tuoi capelli

umidi di rugiada.

 

Mordi

un frutto ancora acerbo,

con il suo sapore agro e puro,

salta e immergiti

in ruscelli d’acqua limpida,

odi

lo scroscio d’una sorgente al sole.

 

[1977]