Adulti e Studenti

«No, grazie. Ho tante cose urgenti da sbrigare, in questi giorni.» Così ti liquida, Adriana. Chiedendoti poi, carinamente, «Come stai?» Tu le rispondi: «Bene». Ma ti liquida. E, chissà come mai, ti rammenta i modi di una vecchia zia. Proprio lei, che ha tanti anni meno di te.

Poi cominci a comprendere. Ricordi quando eri bambino. E, davvero, ascoltavi frasi di questo tipo. Le dicevano i tuoi adulti. Quelli di allora. Tu li osservavi, quei tuoi adulti. Ti apparivano grandi. Per forza, pensi: erano adulti. E tu, viceversa, bimbo. E pensavi: «Quando sarò grande, anch’io avrò tante cose urgenti da sbrigare, nei miei giorni futuri. Sarò indaffarato.»

Col tempo, sei diventato grande. Restando un eterno studente, come recita il tuo amico Francesco. Perché la materia del conoscere – anche le cose della vita – è sterminata. Infinita. E siamo tutti – sempre e solo – eterni studenti. Tu, un ricercatore. Come Siddharta. Der Suchende. Colui che cerca.

Viceversa, contemporaneamente, tante – troppe? – persone che hai incontrato, erano – e sono – adulte. Anche molte persone, a te, tanto care. Con cui hai diviso il fiore degli anni. Anni e anni. Decenni. I migliori anni della vostra vita. Erano adulte. Anche persone più giovani di te, lo sono state. O lo sono. Magari non sempre adulte, certo. Ma spesso. Sovente. Nei momenti topici della vostra esistenza comune. Persone adulte. Come tua moglie. O – a volte – i figli, i nipoti. Amici più giovani. Donne. Donne molto più giovani. Come Adriana. Persone in cui leggevi – e leggi – un’attitudine ad aver «cose urgenti da sbrigare». Cose che si accatastavano, probabilmente, nelle loro menti. In modo caotico. Forsennato. Nelle menti dei malcapitati adulti. Mentre tu – nella tua eterna dimensione di eterno ragazzo ricercatore – potevi e puoi gestirle, le tue cose. Perché – eterno apprendista studente – eri e sei sempre lì, in una forma di perenne apprendistato. La forma in cui potevi e puoi permetterti il lusso di sbagliare. Di sperimentare. Provare. Progettare. Pianificare. Le scelte. I comportamenti. Le azioni.

Gli altri, no. Gli adulti, no. Loro devono essere infallibili. Apparire infallibili. E muoversi. Unilateralmente. Muoversi nella serietà delle «cose urgenti da sbrigare».

Perché gli adulti – quelli che lavorano davvero, appartenendo al ramo lavoratore di una famiglia – hanno molti pensieri. Sono incasinati. Hanno bollette da pagare. Impegni da assolvere. Problemi da risolvere. Devono fare fronte a imprevisti. Questi, per loro stessa natura, sono improvvisi. Imponderabili. Come le faccende delle vecchie zie. Anche di persone molto più giovani di te. A volte giovanissime.

Ti rendi conto, allora. Capisci. Aver «cose urgenti da sbrigare» non è un fatto anagrafico; è una categoria dello spirito. Ci sono vecchi per l’anagrafe che sono studenti della vita. E ci sono giovani per l’anagrafe che approcciano l’esistenza in modo senile e serioso. Sono lavoratori eternamente indaffarati. Chiusi nel proprio circoscritto, ristretto spazio vitale. Che sia il proprio giardino, la propria città, il proprio nord o sud del mondo, la propria nazione. Ritengono – quello spazio – cristallizzato, nel tempo e nello spazio. Invalicabile.

I primi – eterni studenti – sperimentatori, anarchici. Coi loro dubbi. Le loro visioni. Visioni giocose. I loro collegamenti. Nessi. Trasversali. Across. I loro approcci comparatistici. Olistici. Filologici. Che modulano analogie e omologie. In ambiti differenti. Profondamente differenti. Anche e soprattutto. Perché la vita è un’opera aperta. E le porte d’accesso molteplici.

I secondi, seri professionisti. Professionisti della vita. Gli specialisti. I borghesi. I benpensanti. Perbenisti. Con i loro approcci riduzionistici. Le loro pretese certezze. Professorali. Monolitiche. Unilaterali. Con percorsi prefissati. Nei loro paradigmi. I loro metodi e linguaggi. Le loro procedure e programmi. Blindati. Come i protocolli clinici. Oncologici. In cui non c’è spazio per la creatività. L’improvvisazione jazzistica. Si suona e si esegue secondo partitura. Partitura classica. Senza comprendere la struttura. No, non serve. Non serve comprendere la struttura armonica. L’architettura. Meri esecutori.

Per i primi la verità – nuda e cruda – è sempre rivoluzionaria. Mangiano all’albero della conoscenza, nutrendosi del frutto proibito. Poi si scoprono nudi. Come la verità, quella dipinta dall’artista francese. E vengono osteggiati dai più. Perché la nuda verità non interessa. Meglio la menzogna, rivestita con vesti di verità. Vesti carpite. Con fraudolenza.

I primi, cacciati dall’Eden. Nudi, consapevoli, hanno assaporato il frutto proibito della conoscenza. Saranno esiliati. Si guadagneranno il pane col sudore della fronte. E partoriranno con dolore. Grande dolore. Privi di certezze. Ma sempre equipaggiati. Equipaggiati del beneficio del dubbio. Il dubbio, segreto della vita. Dopo essersi nutriti del frutto proibito.

I secondi, senza aver assaporato frutti proibiti. Senza aver mangiato da alberi di conoscenza. Hanno certezze. Hanno tante «cose urgenti da sbrigare». Faticheranno, certo. Sicuri, però. Del ruolo. Quello assegnatogli. Lo vivranno. In modo assoluto. Plasmato dal Mondo e dalla Natura. Scolpito nella pietra. Cristallizzato. Come verità. Finta. Però con il suo appeal. Il suo fascino. È comoda. Riscuote successo. Commerciale. Perché è netta. Unilaterale. Chiara da vedere. Priva di dubbi. Pur se menzognera. Menzogna rivestita di vesti di verità, carpite alla fonte. Dove Verità e Menzogna si erano spogliate per bagnarsi insieme.

I secondi sapranno resistere. Alla nuda verità. Quella dei primi. Hanno le loro istanze tragiche. Ereditate. Che cozzeranno contro la verità. Rivoluzionaria. Vincendola.

Com’era il tuo pensare? Come dicevi al tuo amico? «… con Adriana, in quei dialoghi. Quelle intese. Quei silenzi senza imbarazzo.» Poi, raccontandogli di quelle donne: «Ma… non le conosco. Non ho fatto in tempo a conoscerle. Non sai… quanto vorrei aiutarle. Avrei voluto aiutarle. Tutte. Devono aver sofferto tanto. Poverette.»

Anche Adriana; tante cose urgenti da sbrigare. Era incasinata. Aveva troppi problemi da risolvere. Ma poi ti ha dedicato il suo tempo. Attratta dalla tua mente. Infatuazione profonda. Prorompente. Nell’Eden. Inconsapevoli della vostra nudità. Fino a che non avete mangiato. Mangiato all’albero della conoscenza. La verità le è apparsa nuda. La verità rivoluzionaria. Anche a lei. Nuda. Voi, reali. Senza più aloni. Quelli dell’immaginario. E l’istanza tragica – della tua Adriana – si è vestita. Vestita di abiti. Menzogneri. Quelli della finta verità. Con le resistenze. E le fughe. Da te. Da se stessa.

Lei, così attenta. Così rivolta al proprio ombelico. Con i suoi modi. Modi adulti. Nell’indistruttibilità. Che conosci bene. Che ami e odi. Perché hai visto. Sentito. Vissuto da sempre. Cliché. Stereotipi. Nella vita. La tua vita. Nella tua famiglia. Con tua madre. Crescendo. Quando eri bambino. E poi dopo. Nella maturità. E poi in famiglia. Con tua moglie. E poi con lei. I modi adulti. Quelli di Adriana. Sanno di casa. Ne hai preso le distanze. Ristagnano. Istanze. Tragiche. Borghesi. Perbeniste. Da benpensanti. Esigenza di un equilibrio. Immediato. Lì, nel piccolo orto. Nel tuo own garden. Nel tuo giardino. Oltre il quale… «c’è il mondo, un drago di luci che incantano in fondo alla via.»[1]

Tu. Avresti voluto spiegare. Solo ora stai imparando. Gestire il significato. Perdere la tua compagna. Dopo tempo. Tanto tempo. Decenni e decenni. Anni e anni. Due. Solo due, nella malattia. Devastante. Chirurgie. Chemioterapie. Di medici professionisti. E scoprire una bugia. Sorprendente. Scoprirla dopo. Dopo il distacco. Quello estremo. Una bugia. Dalla tua compagna. Celata. Perché terribile. Per lei terribile. Solo per lei. Avvelenata. Lei, adulta. Lei. Finta sana. Indistruttibile. Lei. Nel suo processo. Il suo processo. Di uscita dalla scena.

Tu ignoravi. Tu, studente. Negli anni. Nei decenni. Lento. Lenta chiusura alla vita.

Bugia. Seconda morte sua.

Poi tu. Attui. Attui il tuo processo. In te. Processo di studente Di ricostruzione. Da macerie. Da quelle macerie. Ricostruzione d’esistenza. Su ceneri. Su quelle ceneri. Talvolta scrivendo. Suonando. Componendo. Altre affondando. In sabbie. Mobili. In melma. Ubriacandoti. Bestemmiando. Disperandoti. Solo. Solitudine. Perché rammenti. Intimità. Le vostre intimità. Lunghe trentadue anni. Con lei. Dolorose, ora. Nostalgiche. Struggenti. Annientanti. Anelandole. Ancora. Nell’impossibile. Nell’impossibilità. Rivivendo. Allucinazioni. Deliri. Forsennati. Spasmodici. Incontenibili. Incontrollabili.

Glielo hai detto. Ad Adriana. Che vorresti aiutare, poveretta. Lei, indistruttibile. Glielo hai raccontato. A le,i adulta.

Categorie dello Spirito. Ora hai compreso.

Borghesi e Anarchici.

Certi e Dubbiosi.

Adulti e Studenti.

FINE

 

[Fabio Sommella, 14-16 gennaio 2019]

 

[1] Castelnuovo, Ferradini, Kuzminac: Oltre il giardino, 1982.

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)