10 maggio e poi le estati (Cambiamenti) – V05

 

Cinquant’anni fa, di oggi, era pure un giovedì. Appena sveglio, sua madre lo baciò facendogli gli auguri. Poi prese a dirgli: «Oggi, mamma, non ti manda a scuola. Certo: non facciamo una festa, perché una grande l’abbiamo già fatta sabato scorso.» Lui, mentre ascoltava in silenzio, rivedeva le immagini di quella giornata: l’abito bianco, il cerimoniale, l’ostia, il rinfresco, il pranzo – al ristorante sul lago – insieme ai parenti tutti. «Però», continuò lei, «mamma e papà ti fanno un regalo.»

Così, mentre suo padre e suo fratello si avviavano rispettivamente al lavoro e a scuola, la madre lo preparò per condurlo all’Upim, quello sull’Appia.

Fuori il maggio era caldo e odoroso. Compirono insieme un tragitto che gli pareva antico. Era quello che facevano, abitualmente, quando lui era davvero piccolissimo. Ma, adesso, tutto stava profondamente mutando, in modo rapido, fuori e dentro di sé. A fine estate avrebbero, infatti, cambiato casa: una più comoda e panoramica. Ma, dall’area urbana, si sarebbero trasferiti a quella metropolitana, alle pendici delle colline dei Castelli. Con nuove scuole, nuove amicizie. E le strade di Roma, poi, si stavano riempiendo di umori inconsueti. Lunghe file di giovani variopinti transitavano, spesso ininterrottamente, attraverso tutta la città. Entro qualche anno sarebbero divenuti pregni di «una rabbia che ogni giorno va più forte». Era quell’estate che Santino – insieme a dei rocchetti – avrebbe cantato dei propri giorni felici; certi alunni – devoti al sole – avrebbero elevato un concerto, d’un mare senza una lei; e alcuni nomadi – vagabondi che non erano altro – raccolto pugni di sabbia.

Dopo la salita traversarono la Latina, poi la Villa e quindi la consolare. Tornò a casa con quella che gli pareva una magnifica scatola di giochi di prestigio. Gli avrebbe fatto compagnia, durante quel periodo di forti cambiamenti.

Di lì a poche settimane, poi, sarebbero state le sere estive. Nella casa al mare. Lui, talvolta, sarebbe rimasto in giardino, al dopo cena. Sul dondolo, avrebbe lasciato che questo prendesse a cigolare. Da una parte sarebbero giunti i mugghiare intermittenti e regolari del mare. Dall’altra i suoni del juke-box. E l’organo di quella canzone: «una pietra che il sole ha bruciato», «un piccolo fiore». Un canto d’amore. Avrebbe fantasticato, sull’onda dei timbri. Delle sonorità. Evocative. Perché ai suoi occhi si sarebbero aperti contrastanti scenari. Notturni: i pulviscoli di luci, i locali, i vociare, le risa, le seduzioni. Solari, quelli dei mattini: distese di mari interminabili, sguardi persi all’orizzonte, profondità oscure, riflessi abbaglianti. Giochi, dal sapore di sabbia, vento e salsedine.

Sì: sarebbe stata un’estate di fantasticherie e cambiamenti.

A sua insaputa, molto lontano, altri giochi tessevano i loro fili, le loro trame e i loro orditi. Una dolcissima monella con le trecce, le guance tonde e rosee, la gonnellina e i sandaletti da mare, alternava i giuochi da capobanda – con le amiche e la sorella, nei vicoli – all’accudire e coccolare il fratellino, nato da pochi mesi. Tanto tempo dopo – sarebbero trascorsi sedici anni, prima che si fossero incontrati – lei gli avrebbe raccontato che, al pianto ininterrotto del neonato, per l’impressione lei aveva nascosto la testa sotto la giacca del padre.

Adulti – insieme – lui avrebbe adorato questo e altri racconti di lei. Nel corso dei decenni. Nelle loro lunghe estati. Con nuovi giochi di prestigio, ulteriori fantasticherie, altri cambiamenti. Nel segno dei racconti di giovani variopinti. Care indelebili immagini, custodite anche dopo. Dopo averla perduta per sempre. Dopo i canti d’amore e i tanti giorni felici, i concerti d’un mare senza lei, i pugni di sabbia. La rabbia.

Perché anche cinquant’anni fa, di oggi, era pure un giovedì.

FINE

[Fabio Sommella, maggio 2018 – marzo 2019]

Racconto inserito nell’ Antologia- Catalogo: Orvieto Città del Dialogo, anno 2019. Qui il link all’INDICE dell’antologia.

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