Quel Carillon della coscienza che s’apre e suona nella mente (tra minisaggio e analisi di canzone)

Introduzione

Accade, a volte, di cogliere in testi di canzoni – grazie alla duttilità delle rime, alla linea melodica e ai passaggi armonici che mediano verso immagini icastiche, favorendone la visualizzazione, quasi a toccarle – echi, significati, evocazioni altre. È il caso di questo brano “minore” di Claudio Baglioni e Antonio Coggio – Carillon, 1975 – piccolo gioiello di sensibilità ed empatia, pregnante bozzetto socio-culturale d’epoca – un po’ come certi ritratti poetici, d’inizio secolo, di Guido Gozzano – incentrato su una figura socialmente e culturalmente marginale, tardiva, solitaria, retrò, fuori moda, la quale tuttavia, come avviene per tutte le autentiche opere d’arte grandi o piccole, travalica le epoche e assurge a significati universali e sovratemporali.

Leggiamone prima il testo, poi lo analizziamo, sia letterariamente che effettuando un’analisi anche della musica, in termini soprattutto armonico-melodici. Le due sezioni, analisi del testo e analisi della musica, son tenute separate in modo che, coloro che non siano interessati a una delle due, non si annoino oltre misura . Infine – perché no? – lo interpretiamo anche musicalmente alla chitarra; il che non guasta, vero?

Testo

I strofa

Un cofanetto tutto impolverato

e dentro una fotografia

con il tuo primo fidanzato

tenente di cavalleria

sulla tovaglia ricamata a mano

i salatini con il thè

nel tuo salotto veneziano

il 5-4-23

le gite in barca

la tua balia ed un notturno di Chopin

un baciamano

una camelia

un manicotto di lapin

e in fondo agli occhi stanchi ti rimane

la malinconia

che sfiora i tuoi capelli bianchi

e poi ti porta via

Refrain

Gesù Gesù dirai

com’ero buffa io

sorriderai ma un groppo in gola sentirai

com’eri bella tu

e adesso cosa sei

un vecchio Carillon

che non va più.

II strofa

In sala di lettura dopo pranzo

distesa sopra il canapè

leggevi trepida un romanzo

con delle frasi un poco “osé” …

e il giovedì mattina ad un concerto

con i genitori all'”Odeon”

e tu che ti annoiavi molto e già pensavi al

charleston

i bagni al mare

il tuo cavallo

e un ombrellino di bambù

le trecce

il tuo carnet da ballo

e l’orologio col cucù

adesso ti han lasciato sola

adesso son fuggiti via

e forse un poco ti consola

la tua fotografia.

Refrain

Gesù Gesù dirai

che sciocca sono io

e dal golfino un fazzoletto prenderai

e ti domanderai

se serve star quaggiù

a un vecchio Carillon

che non va più.

[Compositori: CLAUDIO BAGLIONI / ANTONIO COGGIO, che ringrazio]

[Testo rielaborato da questo link]

Analisi del testo

Gli autori desiderano abbozzare il ritratto di una figura – personaggio femminile di trascorsa appartenenza alto borghese se non addirittura aristocratica, pertanto sufficientemente o marcatamente antipatica, specie nel clima socio-politico di uscita del brano, a metà dei ’70, in pieni anni di piombo – che, come già detto nell’introduzione, ormai risulta socialmente e culturalmente marginale, tardiva, solitaria, retrò, fuori moda. Ma la pietas umano-poetica travalica necessariamente anche le categorie e i ranghi sociali. Inoltre son queste figure minori che, talvolta, permettono di recuperare dei significati altrimenti non rintracciabili nel main stream o più semplicemente nella maggioranza.

Storia di solitudine e abbandono – una delle tante – di emarginazione e malinconia, non è una semplice operazione di nostalgia, si badi bene, come poteva essere il Vecchio scarpone del 1953 (https://it.wikipedia.org/wiki/Vecchio_scarpone); non è solo un tentativo di recupero nella memoria del bel tempo andato (ammesso che sia stato davvero tale): no! È semmai, come pure già detto nell’introduzione, un’operazione di sensibilità ed empatia umane, operazione che potrebbe fare il paio – pur nelle evidenti diversità – con gli allora più o meno contemporanei versi di Antonello Venditti «Lo so è un po’ difficile parlare con voialtri / lontani dai rumori denunciare i tuoi tormenti…» [Le cose della vita, 1973]; oppure, ancora diversamente, con quelli di Francesco Guccini «E lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa / è scattata tutta in piedi, grida: “Bravo, bene, ancora!” / Son tornati i riflettori sul suo viso e sulle mani, / si alza e accenna ad un inchino per quei pubblici lontani. / E più forte tra quei muri quella voce ora si è alzata / e fa tintinnare i vetri e rimbalza sulla strada» [L’ubriaco, 1970]

Tutto ciò – nei due estratti sopra – in termini di parlare, di difficoltà, di rumore, di denuncia, di tormenti, di lontananza, di tempo, di folla misteriosa, di pubblici lontani, di tintinnar di vetri, perché tutti questi elementi semantici – mutatis mutandis – in altra forma si ritrovano anche nel brano che qui prendiamo in esame. Ciò, nella misura in cui l’arte e la poesia lo permettono (ovvero: quasi sempre 😊) diviene operazione di riscatto socio-cultural-affettivo di un personaggio minore ed emarginato. Ma vediamo gli elementi testuali che a tal fine vengono impiegati.

Il brano si articola in due strofe: non troppo dissimili in termini di significato, se non nella chiosa del secondo refrain in cui si conclude con la piena coscienza della propria anacronistica presenza, sono in effetti una caleidoscopica galleria d’immagini mediate da rime duttili, termini pregnanti, allitterazioni varie. In un vivace carosello di rime o assonanze alternate, possiamo riconoscere:

  1. impolverato – fidanzato
  2. fotografia – cavalleria
  3. tovaglia ricamata a mano – salotto veneziano
  4. salatini con il thè – 5-4-23
  5. notturno di Chopin – manicotto di lapin
  6. occhi stanchi – capelli bianchi
  7. malinconia – ti porta via
  8. pranzo – romanzo
  9. canapè – “osé”
  10. “Odeon” – charleston
  11. cavallo – carnet di ballo
  12. ombrellino di bambù – orologio col cucù
  13. ti han lasciato sola – un poco ti consola
  14. son fuggiti via – fotografia

Le rime, che unitamente alla musica, vanno a costituire l’indispensabile ritmo narrativo, vanno a formare anche le immagini ancora unitamente agli altri elementi lessicali interni ai versi. Tra questi risaltano certamente importanti:

  1. cofanetto
  2. tenente
  3. tovaglia
  4. salatini
  5. gite in barca
  6. baciamano
  7. camelia
  8. groppo in gola
  9. sala di lettura
  10. distesa
  11. trepida
  12. annoiavi molto
  13. bagni al mare
  14. ombrellino
  15. trecce
  16. sciocca
  17. golfino
  18. fazzoletto

Inoltre, a capo di ogni refrain, quell’invocazione ripetuta a Nostro Signore è la definitiva attestazione – semmai ci fosse stata necessità – di fede nonché richiesta di protezione e raccomandazione all’entità superiore e suprema, probabilmente nella coscienza della protagonista unico baluardo contro l’inclemente trascorrere del tempo e contro l’avvertita futilità del tutto.

Il carillon, ovviamente, diviene correlativo oggettivo della figura femminile protagonista, della sua identità, del suo essere desueta, obsoleta, anacronistica: come una nostra vecchia nonna, dal “golfino” prenderà il “fazzoletto”; affiorerà la piena coscienza del suo paradossale permanere in vita, della vanità delle cose, “e ti domanderai / se serve star quaggiù / a un vecchio Carillon / che non va più”.

Sic transit gloria mundi, per certi versi si potrebbe dire, anche se non è questo il punto, né tantomeno il luogo o la persona: perché gli autori ci fanno toccare con mano – dopo aver sapientemente dipinto il ritratto di un personaggio e di un contesto epocale con connotazioni liriche storico-sociali – tutta la caducità dell’esistenza, l’effimero delle mode, la capricciosità del tempo e del vivere. Come già per i personaggi e gli ambienti del citato Gozzano – l’amica di nonna Speranza, il Totò Merumeni che seduce la cameriera, la signorina Felicita e il suo avvocato, le buone cose di pessimo gusto – lo sguardo e la sensibilità umani degli autori – ma, ora certo, anche degli ascoltatori – non possono non poggiarsi pietosi su questa figura, avvertendone la tenue impalpabilità, l’evanescenza nei confronti del tempo e delle epoche e compartecipandovi affettuosamente a dispetto di qualsiasi moda.

Analisi della musica

La prima strofa è in tonalità di DO maggiore, la seconda si alza di un tono modulando in RE maggiore. Al di là dei passaggi e dei giri armonici adottati nelle parti cantate – per chi suona la chitarra risulteranno abbastanza ovvi e intuitivi (in ogni caso si rimanda qui) – risulta viceversa peculiare l’introduzione solo strumentale, che vorrebbe riecheggiare un effettivo carillon; a tal fine la linea melodica fa uso di numerose appoggiature. Si apre infatti con un accordo di sesta sul DO maggiore e quindi di DO settima, poi passa a un magnifico accordo di nona sul FA maggiore e quindi di FA minore, per andare in DO, LA settima, RE settima e quindi SOL SOL settima; ripetizione e quindi si cede il posto alla I strofa.

Si può trascrivere certamente la partitura, almeno di questa introduzione. Eccola:

Interpretazione chitarra e voce

Rieccola di seguito (un grazie, ancora, rivolto agli autori), in un video di giugno 2019, file compresso per motivi di spazio/size del file originale… pazienza, no? 🙂

Tonalità: DO maggiore modulante nella seconda strofa in RE maggiore.

Grazie a te che hai letto fin qui. 😊

[Fabio, 16 giugno 2019]

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