Il Gigante e la Bambina (La Tenerezza e la Neve)

Il Gigante e la Bambina

(La Tenerezza e la Neve)

 

Autore: Sommella Fabio

V.01.01

30 dicembre 2018

 

 

 

 

 

Sommario

Il Gigante e la Bambina – La Tenerezza e la Neve. 2

Capitolo 1 – La Neve. 2

Capitolo 2 – La Tenerezza. 3

Capitolo 3 – Il Gigante e la Bambina. 4

Capitolo 4 – La Tenerezza e la Neve. 5

 

Il Gigante e la Bambina – La Tenerezza e la Neve

Capitolo 1 – La Neve

Come avevi terminato quei tuoi versi di qualche giorno fa? «… i tuoi occhietti di luce, luminosi, / che mi volevano bene.» Erano dedicati a tua moglie. Alla memoria di tua moglie. Era stato un momento. Vostro figlio stava uscendo di casa e – magia? Stregoneria? Invero, più semplicemente, mera illusione – ti era parso che lei, dopo questi anni, fosse ancora lì. Nelle vostre stanze. Da qualche parte a preparar le cose. E tu l’invocassi a te. Tanto che lei ti rispondeva «Aspetta, attendi che il ragazzo vada». Proprio le sue espressioni. Quelle che aveva sempre avuto. Con te, dai suoi vent’anni. E con il ragazzo, da quando c’era e stava crescendo.

E cosa ti suonava, nella mente? Si, certo: una musica. Ma quale? Meglio dire quali, no? Perché erano due. Due brani. Del Califfo. Belli, intensi, vibranti. Bohemien ed esistenzialisti. romaneschi ma, al contempo, alla francese.

Il primo era quello del Capodanno. Del resto ti era venuto in mente perché proprio in tema. Siamo lì. A giorni. E di questo ti piaceva tutto. Tanto l’intro quanto il refrain. Tanto la musica che il testo. Ma in particolare i versi centrali: «Il nostro capodanno / sai l’artri che faranno / sicuro brinneranno e a casa torneranno / e se violenteranno / a colpi de buon’anno / buon’anno e poi buon’anno / buon’’anno io m’addormo.» Il realismo pessimista del Califfo. Crudo. Spoglio. Senza fronzoli. Solitario. Accompagnato da un’orchestrazione che nella intro è di tipo – oseresti dire – sinfonico. Struggente. Come i tuoi versi di qualche giorno fa.

Il secondo era quello della nevicata. La nevicata del ’56. No, certo, non per la nostalgia. No. Sarebbe banale. Quasi triviale. No. Ma perché – quella canzone, sia nella versione dell’autore che in quella della compianta Mia – è davvero uno spaccato dell’immaginario. A parte le poche o molte immagini iniziali. Si: quelle d’una Roma ritenuta più semplice. Più silenziosa. Comunque sognata. Trasfigurata dalle ali del ricordo. Perché rammentata quasi deserta. In cui dominava «il rumore del fiume». Ma era uno spaccato dell’immaginario. Poetico. Che anticipava di oltre un decennio il motto «L’immaginazione al Potere». Perché   «C’era tempo pure pe’ le favole». Perché «Un vetro che riluccica sembrava l’America». Perché camuffava l’oziosa e neghittosa realtà con la fantasia; con il respiro e il sogno. Quello che decenni dopo sarebbe stato del Ken Parker di Berardi e Milazzo. Perché «Roma era tutta candida / tutta pulita e lucida».

E a quel punto ti piange il cuore. Malgrado la poesia. Perché non puoi fare a meno di ricordare quando in quel viaggio conoscesti quella persona. Lui era bambino e suo padre, autotrasportatore, morì in un incidente stradale proprio a Roma durante la nevicata del ’56. Quel poveretto, giustamente, l’aveva in odio, quella nevicata. Era rimasto orfano, in quell’occasione. E allora ti chiedi… ti chiedi…

E comprendi che quella nevicata – scritta dal Califfo, cantata anche da Mia Mimì per sempre – per te era tua moglie. Quando abitavate in quel bilocale. All’ultimo piano di quel centro storico. Ai Castelli. Tra i tetti, le colline e il mare di lontano. E tu, nel sottoscala, alla chitarra le cantavi «Per te, per me, inventai / la nevicata del…», mentre i tuoi occhi si gonfiavano di emozione. Come ora. Solo che adesso lei non c’è, tuo figlio è uscito e le lacrime ti sgorgano a fiotti. E innalzi al cielo le tue urla dilaniate. Perché solo questo puoi fare. Sotto la neve. Che adesso è diventata l’algido Inverno di Faber. Singhiozzi. Piangi. Lacerato.

Capitolo 2 – La Tenerezza

Quando ti riprendi, fuori c’è ancora il sole. Non nevica. E tra le chat noti quella di Stefania. T’invita a una cena di Capodanno. Carina. Simpatica e affettuosa. Un’amica vera. Anche se di quello che scrivi – come poeta, come scrittore, come musicista – quasi niente le piace. Neanche di quello che suoni. Pazienza. L’amicizia è anche questo: franchezza. Schiettezza. Ha e deve manifestare le sue convinzioni. Che vanno rispettate. Lei le sue convinzioni. Tu le tue. Perché ben sai – ne sei consapevole – la cognizione che c’è. Dove? Dietro anche a un tuo semplice scritto. I piani. I livelli. Le contaminazioni. O la struttura – armonica, melodica, strumentale – e la profondità su cui poggia un pur semplice pezzo suonato alla chitarra. Vi potete reciprocamente consolare che nessuno di voi due capisce l’arte dell’altro. O il suo gusto estetico.

Insomma Stefania è cara. Fino alla solarità. E ti chiede se ti vuoi associare al gruppo per il Capodanno. Ci sarà anche Adriana.

Ahi!

No, certo, ti fa piacere. Ma Adriana… siete stati oltre un mese senza più sentirvi. Avevate – di comune accordo – troncato ogni contatto: sia Social, che Mobile o altro. Proprio perché… perché lei era troppo impegnata. E a te davano fastidio i suoi post. Si: li trovavi ingannevoli. Seducenti e ingannevoli. Rispetto alla realtà. Rispetto a quello che ti appariva la sua vita.

Solo qualche giorno fa lei ti aveva richiesto l’amicizia sui Social. Amicizia che lei stessa aveva troncato. Dopo che però anche tu l’avevi bloccata. Per non vedere i suoi post. A tuo avviso ingannevoli, come sopra. E quando avevi sbloccato il blocco, ti eri reso conto che non eri più suo amico.

Aveva ben fatto, Adriana.

Aveva le sue ragioni, anche lei.

Tu, le tue.

Tutto era avvenuto dopo il vostro secondo flirt con Adriana – eh, già, la vicenda non è semplicissima – di qualche mese fa. Bello, per carità, questo secondo flirt. Intenso. Trascinante e misterioso. Letterario, anche. Ma finito male. Con esasperazione.

Sicuramente per colpa di entrambi.

Non finì come quello dell’estate scorsa. Che fu il primo flirt. Sempre con Adriana (perché si, la vicenda è proprio complicata). Certo: ci fu l’iniziale scoramento dell’epilogo. Come ti scrisse? «Adesso sono incasinata». «Lei, è incasinata!», pensasti tu. Era incasinata al punto che ti inviò GIF e icone di Cappuccini che tu definisti Sconosciuti. Ma, dopo questo scoramento iniziale, subentrò dell’altro. Un altro sentire. Perché le cose mutano. E tu iniziasti a navigare a vista in un dolce mare. Si: un dolce mare di tenerezza. Tenerezza alla Victor Hugo. Tenerezza per Adriana. Perché ti eri reso conto di una cosa. Semplice ma fondamentale. Tu eri contento che lei, adesso, avesse un nuovo amore. Che fosse nuovamente felice. Perché le volevi bene. E l’importante era che lei fosse felice. Con te o con altri, non importava. E tu ti liberavi finalmente di un ostinato desiderio. Quello di possedere l’oggetto del tuo amore.

Quindi, con Adriana: primo flirt con tenerezza e altruismo; secondo flirt con esasperazione e, in effetti, rabbia reciproca.

Ora son solo due giorni che siete di nuovo amici sui Social. E vi scambiate piccoli, brevi, timidi apprezzamenti nei post.

Che candore!

Malgrado la neve.

Malgrado l’assenza di tua moglie.

O, forse, anche per questo?

Capitolo 3 – Il Gigante e la Bambina

Stefania e i suoi amici hanno ben organizzato. Dopo un’iniziale reticenza, anche tu aderisci con piacere. Quindi Stefania ti fornisce tutti i dettagli del caso. Aggiungendo poi un invito: si, ti sollecita a sentire, tu, Adriana.

Se in un primo momento glissi – sorridendo benevolmente all’indirizzo di Stefania, dandole della simpaticissima ruffiana – adesso quasi cedi.

Anzi, si: cedi del tutto.

In fondo… cosa cambia?

Adriana non è ben informata su come raggiungere il locale. Vabbeh… lo sai… le donne non sono molto pratiche con i mezzi pubblici, gli orari, internet, poi… Insomma: ti fai vivo tu con lei. Sei in strada, a sbrigare commissioni di fine anno. Quindi le invii un messaggio audio. In chat.

Cosa le dici?

«Ciao, Adry. Niente… stavo in contatto con Stefania per Capodanno. Mi ha detto che anche tu sei interessata. Io vado lì verso le venti…eventualmente, se ti va, possiamo vederci prima e andare insieme. Se hai piacere. Raggiungiamo il locale insieme. Comunque, poi ci risentiamo… ciao ciao.»

Finito. Fatto. Messaggio inviato. Tratto il dado. Partorito il topo.

Cammini in strada. Sui marciapiedi. È sera. Buio. I lampioni – scarsi – illuminano i tuoi passi. Osservi le auto. Transitano senza fretta. Senza affanni. E tu sei sereno. Non nevica, Fa freddo ma… no, non nevica. Anzi: avverti una lieve euforia. Un tepore. L’avverti serpeggiare. Silente. Ma presente. L’avverti farsi strada nelle tue recondite interiorità. Ancora innevate, certo. Ma forse quella neve si disgela. Di nuovo. Come già avvenuto altre volte, in questi ultimi anni. Anche con i flirt per Adriana.

Sei entrato nel supermercato. Hai preso il cestello con le rotelline. Estrai la tua noticina, prendi le buste, gli aranci… e mentre ti muovi tra le corsie, chiara e netta emerge lei: quella canzone. Non dagli altoparlanti del supermarket. No. Emerge in te: nella tua testa.

Quella vecchia canzone erano anni che non la cantavi.

Ma è un capolavoro.

E perché la canti?

Che vuoi dire?

Che vuoi dirti?

Come fa?

«Camminavano tra i sassi / sotto il sole contro il vento / in un giorno senza tempo / il gigante e la bambina. // Il gigante è un giardiniere / la bambina come un fiore / che gli stringe forte il cuore / con le tenere radici. // E la mano del gigante / su quel viso di creatura / scioglie tutta la paura / è un rifugio di speranza // Del gigante e la bambina / si è saputo nel villaggio / e la rabbia dà il coraggio / di salire fino al bosco. // Il gigante e la bambina / li han trovati addormentati / falco e passero abbracciati / come figli del Signore. // Ma nessuno può svegliarli / da quel sonno tanto lieve / il gigante è una montagna / la bambina adesso è neve.»[1]

Ancora la neve. Ma questa è lieve. Soffice. Figura archetipica. Avvolgente la montagna. Anch’ella archetipo. Come il bosco. Come il villaggio. Come il gigante. Come la bambina.

E ti accorgi che ti sei messo a cantarla, questa canzone. Ti sei messo a cantarla lì, nel supermarket. Ad alta voce. Certamente chi ti passava vicino ti ha sentito. Ed era musicale, quella canzone. Ne sentivi l‘orchestrazione. Gli arpeggi. Con la tua chitarra. Che eseguivi ad Adriana. Per Adriana. E stavi al caldo. Perché tu eri la montagna, ricoperta dalla coltre di neve. Che era lei. Adriana.

Stai bene.

Le vuoi bene.

Lo sai.

Capitolo 4 – La Tenerezza e la Neve

No, non verrà. Ti ha scritto. E ha detto che ha dei problemi da risolvere. «Nuovamente incasinata, lei», pensi. Avviserà Stefania dell’impossibilità di essere presente.

Va bene. «Fa nulla. Pazienza», pensi. Tutto rientra. Si ricompone. Ricade la neve – non quella della bambina, chissà quale? Lo sai – termina il disgelo. Davanti agli occhi tuoi: questi anni, questi flirt. Li avvolgono – anni, flirt – lo sguardo di tua moglie. Benevolo. Con i suoi occhi che ti volevano bene. Li avvolgono compiaciuti. Sono occhi assenti ma presenti. E che sarebbero lieti – sei certo – del tuo bene. E del bene che adesso hai avvertito – ancora – tu per questa donna. Laddove né lei – grazie al cielo – è proprio una bambina; né tu sei proprio un gigante.

Ringrazi col cuore la solare amica Stefania: il tuo capodanno sarà vicino a quello del Califfo. No, non ugualmente crudo e spoglio nei toni, ma lontano dalle ubriacature di ogni sorta. Anche da quelle utopiche.

Te ne vai. Sereno. Perché hai – sempre – quel tuo bene nel cuore. La tenerezza vicino alla neve. Adriana vicino a tua moglie. Stanno insieme. Dentro di te. Perché sono te.

FINE

 

[1] Il gigante e la bambina, Ron, 1971; versione ricordata dall’autore del presente racconto.

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)