Claude Monet – Il levar del sole – e J. M. W. Turner – Annibale valica le Alpi

 

 

Claude Monet: Il levar del sole (1872)

La sagoma di quelle barche, coi pescatori, quel rosso di sfera solare che s’accresce – pur se mi piace pensare che si stemperi, estinguendosi – il suo tremulo riflesso purpureo baluginante in incommensurabili acque di mare… l’esistenza in questo lembo d’universo.

Lo scapigliato Giovanni Camerana (1845-1905), coevo dell’impressionista Claude Monet (1840-1926), aveva scritto versi di analoga bellezza visiva ed espressiva: “Il pioppo è un tremolio di grigio e argento“. Probabilmente – chissà? – conosceva l’opera dell’artista francese.

Un grande pittore romantico, ovviamente predecessore di Claude Monet, l’inglese Joseph Mallord William Turner (1775-1851), nella sua prolifica e profonda produzione – che probabilmente avrà in qualche modo e misura influenzato anche parte della pittura impressionista – anni prima aveva dipinto Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi (1812), dove si respira e si avverte il medesimo motivo di infinitezza dell’uomo verso lo spazio circostante, l’uomo come insignificante macchia-pulviscolo dispersa nella vastità della natura, del cosmo.

Snow Storm: Hannibal and his Army Crossing the Alps exhibited 1812 Joseph Mallord William Turner 1775-1851

Diversi autori, diverse origini nazionali, diverse epoche, diversi soggetti, medesimi temi ispiratori: la vastità della natura – con la sua maestà o potenza degli elementi – verso la finitezza dell’uomo.

Il grande recanatese, nel 1826, aveva scritto: “… e il naufragar m’è dolce in questo mare.”

[Fabio Sommella, 07 maggio 2023]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Dialogo fra amici

  • Non ero io a suonare. La canzone cantava me. E mi perdevo tra le note. Diventavo quei suoni. Il mio cuore era un pentagramma non scritto. Era una partitura di suoni dell’anima. Non avevo orecchie per sentirla né occhi per leggerla. Solo dita per dipingerla. E voce per tesserla. Salendo verso le stelle. Planando verso il mare. Seguendo il flusso delle onde. Lasciandomi trasportare dal vento. Non esisteva più la realtà. Esisteva una sola fantasia. Quella unica lingua che intendono duri e puri di cuore: la Musica. Con i suoi versi, sentieri in cui si snodano le tortuose strade dei sentimenti verso marine selvagge o valli amene, fiorite di girasoli che volgono lo sguardo assente verso il nulla della notte. Non importa il significato: la Musica, con le sue note. Possono essere lunghe come l’attesa che ora sto vivendo. Brevi come quell’istante, che finalmente un giorno arriverà. Questa e solo questa era la Musica. La metafora della vita che fugge, attimo dopo attimo, come un accordo che si sussegue ad una modulazione che sposta d’un pianeta il volo nell’infinito. La distanza tra il primo vagito e l’afflato estremo, misurata dal dolore, corda che sentivo vibrare insieme ad altre tra cuore ed anima, quando ancora avevo un’anima. Lei, fortunata, è già partita. Si gode la solitudine di quella marina selvaggia. Il resto è qua. Muto. Solo. Lo sguardo oltre quel muro – alto – dove c’è solo il suono senza lunghezza del destino. Che attende. Lui sì, lo sa, che cosa.
  • Sai, amico, lo struggimento interiore della persona – per quanto meraviglioso, come nel tuo caso – dovrebbe sempre fare i conti con gli affetti esteriori che è riuscito a provocare, causare, generare, mettere in moto in questo mondo: non è solo l’afflato artistico manifesto che si estrinseca in una performance, per quanto vitale e coinvolgente nella propria totalità; ma è la vita più ampia, nella sua più estesa accezione e quotidianità, che ci dà valore, significato, riscatto, motivo di esserci, senso. Daniela, Simone, Ludovica, Paolo sono le principali emblematiche attestazioni dell’importanza della tua presenza – qui ed ora – come nel passato e, come di cuore mi auguro, anche per un lungo e fecondo futuro. Ma anche i tuoi tanti amici – anche queste righe e parole, “secche e storte come un ramo” – lo sono. Non rammaricarti, amico mio, per una performance in meno: i tuoi concerti e sinfonie sono in te e li rendi a noi noti in altra guisa, altrettanto se non ancor più splendida. Siine orgoglioso. Hanno il garbo e la levità della prima neve, silente ma immensa, avvolgente il paesaggio di mistero e luce, di bagliori e quiete, candido come un coacervo di esistenze, come l’origine dell’universo, come i suoi primi tre secondi. Che l’attesa sia ancora lunga e grata, caro amico. Ad majora.

[Massimo Moraldi, Fabio Sommella – 25 marzo 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Ed è lo scroscio

Ed è lo scroscio dell’acqua piovana
– certo, quando si è al riparo
in luogo sicuro
e non “ti piove sulla testa”,
magari attraverso le travi d’un vecchio tetto
in un bilocale, seppure romantico –
che lava la coscienza
dai pesi,
da zavorre,
da scorie inutili,
orpelli.
Quella sonorità naturale,
essenziale,
ti restituisce
lo stato di vita virginale,
quello d’un uomo
che s’affaccia dall’antro tetro
alla radura.
Riluce la stessa:
stato limpido,
schietto
che ti parea perduto
e forse l’è.

[20 agosto 2018]

Filosofia – Tra sommario e appunti

Da studente mi entusiasmai per le prime ricerche filosofiche dell’umanità: il mito, le divinità, la natura, l’uomo.

Ecco, quindi, i pre-socratici. Fondamentale il panta-rei eracliteo, cioé tutto scorre, il divenire, concetto che permarrà nei secoli pur con variazioni tematiche, il suo “Non ci si bagna due volte nelle acque dello stesso fiume”. Ciò è contrapposto alla riflessione sull’essere e sul non essere parmenideo.

Poi, il metodo socratico: ironia, maieuticaconfutazione; il  concetto, universale
e necessario, contrapposto all’opinione. Ma, subito dopo, iniziai a perdermi nei meandri platonici e aristotelici, intuendo solamente, come poi
stigmatizzato successivamente nel famoso affresco La Scuola di Atene di Raffaello, che Platone, in virtù della sua dottrina delle idee, indicando al cielo, si contrapponeva ad Aristotele; e così sempre più, per opera dei
loro esegeti, nei secoli successivi.

Da questi due grandi, due conseguenti enormi filiazioni: il Platonismo e l’Aristotelismo, appunto, attraverso i secoli del Medioevo, fino all’Umanesimo e al Rinascimento. Solo alcuni nomi, su un versante o su un altro: Sant’Agostino, Averroè, Tommaso D’Aquino, Spinoza, Cartesio,
Leibniz. Quindi gli empiristi-sensisti Locke, Hume, e finalmente l’Illuminismo.

Ma il caos, o pressochè tale, non ha sosta!

Ecco quindi, a mio personale avviso, il più grande di tutti: Immanuel Kant. Quello che era un erroneo, o limitato, modus di porre i problemi filosofici e di pretendere fornire loro risposta, spaziando indiscriminatamente, vanamente, disordinatamente e senza metodo, dall’empirico attraverso il razionale fino al metafisico; questo, oserei dire, quasi sproloquio, con Kant cessò, per dare luogo ad un ordine e ad una strutturazione mirabile di tutte le problematiche filosofiche.

Kant è il pensatore nel quale tutte le tendenze filosofiche precedenti e contemporanee vengono naturalmente e magistralmente ricongiunte e riappacificate in un quadro organico; colui che osserva e tratta, in modo
coerente, le possibilità e i limiti della conoscenza umana, relegando le giustificate; comprensibili ma insoddisfatte ulteriori aspettative, della nostra natura umana, in un contesto metafisico, non passibile di indagine scientifica,
riassunto dal concetto di cosa in sè. E’ a questo concetto che molti dei
suoi successori si attaccheranno per muovergli misere critiche.

Dopo Kant, ciò che si era armonizzato in un sistema di pensiero senza precedenti, fu di nuovo disgregato con argomentazioni idealistiche, positivistiche, ecc. ecc.. Da lì, attraverso Hegel da una parte e dall’altra Schopenauer e gli esistenzialisti, nonchè con il consolidamento della
pregressa Scienza galileiana-newtoniana-illuminista; nel Positivismo del
‘800-‘900, si giunge ai giorni nostri.

Questo a mio avviso, scusandomi per le necessarie approssimazioni, il sommario essenziale della filosofia occidentale.   Recentemente [NdR: 2005], ho letto la trilogia filosofica degli autori Adorno-Gregory-Verra: 3 tomi che scorrono veloci e inebrianti nella lettura. Mi sono ritrovato platonico;, quindi in linea con il Maestro dell’Accademia nonchè con alcuni autori successivi, principalmente Cartesio, Leibniz, naturalmente Kant, Schopenauer. Tuttavia, chiusi o terminati i volumi, tornava la stessa antica sensazione liceale: come di acqua, liquido amniotico, in cui per definizione ci sono molte cose vitali, microscopiche e infinitesimali, ma sostanza troppo fluida e cangiante nella forma in base al contenitore, spesso neanche provvisto di ottime guarnizioni; sostanza che pertanto scorre in mille rivoli e si disperde, attraverso inevitabili feritoie, in vicini o reconditi anfratti e scarichi.

Il peso della propria ignoranza!

Premesso tutto ciò, è innegabile comunque il fascino delle dottrine filosofiche e, con tutti i limiti che ho indicato, cercherò di trattare gli argomenti che suscitano il mio interesse anche rispetto ad altre tematiche presenti su questo sito; pertanto, scusandomi anticipatamente per tutti i limiti, i voli pindarici  del mio metodo e qualche irriverente NdR (Nota Del Redattore) di troppo (che proprio non son riuscito a trattenere).

A Presto!

[Prima edizione, primavera 2006; revisione di luglio 2018]

 

Appunti sul criticismo di Immanuel Kant

Appunti sui filosofi idealisti: Fichte, Schelling, Hegel

Appunti su Schopenhauer e Kierkegaard,

Appunti su Friedrich Nietzsche

Quali sono le caratteristiche della cultura?

 

La cultura è una caratteristica della specie umana, avente valore adattativo dal punto di vista biologico, analogamente al collo lungo delle giraffe o alla proboscide degli elefanti o, più in generale, ai comportamenti stereotipati, perfetti e sicuri ma limitati, delle comunità di formiche e termiti o, ancora, alla fondamentale capacità delle specie vegetali di compiere la fotosintesi catturando l’energia solare e racchiudendola all’interno dei legami del glucosio a partire da acqua e anidride carbonica. Da un punto di vista biologico, anatomico e fisiologico, la caratteristica di specie “cultura” si instaura ed esplica nell’uomo grazie all’enorme sviluppo, rispetto agli altri mammiferi e anche agli altri primati, della neocorteccia cerebrale, in particolare del neopallio. Questa esigenza, anche anatomica, della specie umana ha varie conseguenze tra cui: il massimo accrescimento percentuale del cranio potrà avvenire solo successivamente al parto; la prole umana, al momento della nascita, risulta di fatto “inetta”, dato che il massimo potenziale cerebrale si potrà avere solo nel corso del successivo sviluppo attraverso l’apprendimento (in tal senso Rita Levi Montalcini ha scritto il suo “Elogio dell’imperfezione” per la plasticità umana); viceversa molte altre specie animali partoriscono “prole atta”, ovvero già sostanzialmente prossima al proprio massimo potenziale cerebrale.

Abbandonando le innumerevoli esemplificazioni inerenti al mondo biologico e alla natura, quest’ultima avente valenze da intendersi universali, si deve sottolineare come la cultura abbia valore viceversa specifico e particolare (Levi Strass).

Inquadrando l’evoluzione culturale all’interno dei più ampi scenari delle evoluzioni biologiche e chimico/fisiche dell’universo (che di fatto “la contengono” e ne sono le premesse), si deve specificare che non è propriamente corretto, parlare singolarmente di “cultura” quanto viceversa di “culture” umane. Queste ultime vanno intese come quei complessi, più o meno ordinati e strutturati, di modelli mentali e di usanze tra loro interagenti e svolgenti funzione di guida per il comportamento pratico ma anche per la morale o per la legge o per la fede, definibili anche insiemi variegati ed eterogenei di concezioni, credenze, costumi, modi di pensare e agire, vedere, avvertire, rappresentare il mondo e rapportarsi alla natura, al proprio ambiente e più in generale alla vita e alla morte, che, nelle diverse epoche, storiche e non, e alle diverse latitudini hanno caratterizzato gli esseri appartenenti alla specie umana, il loro relazionarsi tra essi e con gli altri, al consanguineo o allo straniero.

In tal senso le suddette argomentazioni sono ovviamente connesse al processo di “inculturazione”, inteso come apprendimento e trasmissione di una determinata cultura verticalmente (tra generazioni) ma anche trasversalmente (tra “pari”), alla “acculturazione” da intendersi come trasmissione a livello collettivo e alla “culturologia”, studio delle culture.

Da ciò derivano, analogamente alle varietà biologiche, le proliferazioni e variabilità culturali nelle quali tuttavia, in tempi e luoghi diversi, si possono intravedere regolarità e leggi comuni, tali da poter essere colte e analizzate dall’antropologia che fa dell’approccio comparatistico uno dei suoi strumenti d’indagine principali, se non il maggiore, insieme a quello olistico (analogamente al ruolo principe che nella filosofia hegeliana svolge la dialettica, intesa come unità degli opposti nella loro sintesi; così sta la comparatistica in antropologia negli approcci verso l’alterità).

Volendo identificare, o circoscrivere, quelle che sono definibili le principali caratteristiche del più generale fenomeno culturale, oltre al già citato legame intrinseco con la specie umana (seppure non aprioristicamente esclusivo, in quanto altre specie dotate di un sistema nervoso sufficientemente evoluto potrebbero, potenzialmente, adempiere ad analoghi task),  certamente devono essere sottolineate la molteplicità, la diffusione, la capillarità delle culture (a riguardo si consideri il concetto di “Noosfera”, globo pensante, di Teilhard de Chardin) nonché le loro eterogeneità, il loro carattere di divergenza ma anche parallelismo e spesso convergenza, con effetti che, all’osservatore, possono apparire medesimi o diversi.

Circa l’ultimo punto si pensi al parallelismo che Claude Levi Strauss riscontra tra il sistema delle caste induiste, esemplificazione di un sistema di pensiero (e conseguentemente sociale) chiuso ma sotteso da un principio ritenuto naturale, e il sistema totemico australiano, esemplificazione di un sistema di pensiero (e poi sociale) aperto e sotteso da un principio viceversa avvertito come culturale. Un medesimo coerente modus operandi, o legge, agisce dietro ai pur diametralmente opposti, in termini di effetto finale, sistemi delle caste e dei totem: laddove la cultura è, secondo Levi Strauss, comunicazione e nasce con l’uscita dal proprio gruppo (esogamia), le caste sono auto-avvertite come un fenomeno non culturale ma naturale che pertanto rifugge dall’apertura e vieta la comunicazione con “gli altri da sé”; il totemismo, che viceversa si auto-percepisce come fenomeno culturale, dà luogo a gruppi profondamente interagenti i quali si scambiano risorse, persone e cose fino all’estrema contaminazione.

Inoltre, analogamente alle proprietà della disciplina antropologica che si prefigge di studiare le culture, deve essere sottolineata la molteplicità dei paradigmi culturali, nei diversi tempi e nei diversi luoghi, testimonianza dei vari modi di comportarsi e rapportarsi al reale e all’immaginario dei differenti gruppi umani.

Fondamentale è anche lo sforzo intrinseco a ciascuna cultura, cosmologia o visione del mondo o Welftanschaung, verso una forma di sistematicità, di ricerca di raggiungimento di una coerenza interna. Questa, oltre che l’aspirazione a risolvere una serie pratica di problematiche, dovrebbe essere vista come l’aspirazione ad attuare, anche attraverso strumenti quali la creatività o l’espressione estetica (o, in occidente, la ricerca scientifica), ciò che in psicologia viene definita “riduzione della dissonanza cognitiva”.

Le culture, come già affermato tra le righe, mutano col tempo, per cause endogene e molto spesso esogene; destinate a incontrarsi, purtroppo quasi sempre ciò si riduce a uno scontro. Se in passato l’incontro avveniva nel corso di processi a carattere localistico, cioè in spazi geografici identificabili in termini di stati nazionali dove risiedevano popoli con caratteristiche di omogeneità, sufficientemente connotabili; oggi, all’interno di quei processi di globalizzazione (seguenti al “post-moderno”) che hanno preso piede sempre più rapidamente e intensamente nei due ultimi decenni del secolo XX (sostanzialmente e paradossalmente con la “Caduta del Muro”), l’incontro delle culture “altre da sé “è sempre più frequente, diffuso e capillare, nei “luoghi tutti o nessuno”, intendendo con ciò spazi ormai quasi privi delle vecchie identità certe e univoche, sostanzialmente non più definibili come un determinato territorio. Il continuo e inesaurito moto planetario di masse di uomini, tragicamente alla ricerca di una dimensione negata all’interno del loro luogo geografico d’origine, ha ridisegnato e parzialmente reso meno chiari i tradizionali punti cardinali, nord e sud, est e ovest, centro e periferia, globale e locale, lasciando spazio a un prevalente continuo rimescolamento di quelle che in passato venivano etichettate, a torto o a ragione, razze ed etnie, di lingue, di usanze, speranze, incertezze.

Tornando più specificamente alla capacità culturale umana, le leggi della genetica attraverso i cromosomi della specie umana pongono le premesse per “fare cultura” mettendo a disposizione i kantiani schemi mentali; da questi, si attueranno e diversificheranno i prototipi culturali, dando origine alle multiformi peculiarità delle culture la cui creatività, come afferma il Prof. Fabietti, pur essendo raramente spettacolare è tuttavia sempre all’opera.