Le origini del nazismo: interpretazioni tra psicologia e storia.

In merito alla analisi psicologica delle origini del nazismo, come caso emblematico e fenomeno su larga scala di influenza sociale, la professoressa e ricercatrice Chiara Volpato fa riferimento a tre teorie psicosociali: la teoria del Conflitto Oggettivo di Sherif; quella dell’Identità Sociale di Tajfel; la teoria delle Rappresentazioni Sociali di Moscovici.

Secondo Sherif, 1961, discriminazione e atteggiamenti negativi deriverebbero dalla percezione di conflitti di interesse, quindi dipenderebbero da ragioni oggettive e realistiche. In tal senso Sherif sostiene che la proposta hitleriana avrebbe enfatizzato la presenza di conflitti di interessi tra Ebrei e Tedeschi, rafforzando così la percezione di incompatibilità degli obiettivi materiali.

Tajfel, 1981, afferma che la discriminazione e il favoritismo per l’ingroup derivano unicamente dal bisogno di valorizzare la propria identità sociale attraverso il confronto tra il proprio e altri gruppi. In base a ciò, quindi, la necessità di una propria identità sociale positiva, sottenderebbe i rapporti fra gruppi. Questa teoria non è in conflitto con quella di Sherif ma, semmai, le due sarebbero complementari.

La teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici, 1961, 1976 e 1989, afferma che le rappresentazioni sociali sarebbero grandi sistemi di valori, idee, pratiche le quali fornirebbero un ordine per l’orientamento sociale e faciliterebbero la comunicazione fra persone.  Per Moscovici sarebbe estremamente importante il concetto di ancoraggio, processo per il quale le nuove idee, che tentano di prendere piede nella società, si avvantaggerebbero proprio del loro ancoraggio, in tal modo superando eventuali resistenze, a vecchi schemi e vecchie idee. È in tal modo che si spiegherebbe il cosiddetto anti-tempismo hitleriano e il successo che tale anti-tempismo riscosse negli anni ’30, epoca in cui pressoché ogni famiglia tedesca possedeva una copia del testo di Hitler, testo che profondamente era entrato nel tessuto sociale tedesco svolgendo opera di profonda persuasione.

La teoria delle Rappresentazioni Sociali di Moscovici sostiene quindi che Hitler avrebbe ancorato i propri costrutti a schemi preesistenti, basati sull’antisemitismo e lo storico nazionalismo pangermanista. A riguardo di quest’ultimo è, pur brevemente,  indicativo quanto alla voce pangermanismo è riportato nella enciclopedia Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/pangermanismo/]: “Movimento il cui scopo era l’unificazione di tutte le genti di lingua tedesca. Sin dal 1848 era sorto nel Parlamento di Francoforte un contrasto sulla soluzione da dare al problema unitario fra i Piccoli Tedeschi (Kleinedeutsche), che auspicavano l’unificazione sotto la direzione della Prussia con l’esclusione dei Tedeschi soggetti all’Impero asburgico, e i Grandi Tedeschi (Grossdeutsche), che volevano l’unificazione sotto la guida degli Asburgo. Uscito sconfitto, il programma grande-tedesco rinacque verso la fine del 19° sec. con la costituzione dell’Alldeutscher Verband e dell’Alldeutsche Vereinigung contro le minoranze alloglotte nell’Impero tedesco e austriaco. Si ebbe anche un p. dottrinale e razzista che dalla proclamazione dell’ineguaglianza delle razze giungeva alla esaltazione di un’unica razza, pura e perfetta, nella quale si volle identificare quella germanica. Antesignani di tale dottrina furono il conte J.-A. de Gobineau e H.S. Chamberlain. Delle loro idee si nutrirono il nazionalsocialismo e il suo teorico A. Rosenberg.

Un connubio, solo in parte contrastante e contraddittorio e per molti versi unificante e anticipante le tre teorie, si può leggere anche nella interpretazione che, della psicologia nazista e delle sue origini, nel 1941 aveva dato Erich Fromm (1900-1980) all’interno del suo testo, cardine anche per tutta la sua successiva produzione, Fuga dalla libertà. Questo testo, incentrato sulla conformistica rinuncia dell’uomo moderno alle proprie responsabilità morali e sociali,  si pone come linea di demarcazione tra  la produzione del Fromm giovanile e quello della maturità. Formatosi intellettualmente sulla triade Talmud – Marx – Freud, integrata dai contributi della Scuola di Francoforte,  Fromm in Sul metodo e il compito di una psicologia socio-analitica del 1932 “approfondisce il nesso fra struttura istintuale e struttura economica” [Erich Fromm, Il linguaggio dimenticato, Bompiani, 1983, pp. 250-251].

Senza pretendere, in questa sede, di ripercorrere tutta l’articolata e profonda argomentazione che Fromm in Fuga dalla libertà formula relativamente alla psicologia del nazismo (si fa qui riferimento alle pp. 181-206 dell’edizione del 1981 pubblicata da Edizioni di Comunità), si riportano alcuni estratti ritenuti salienti e a cui seguirà un tentativo di sintesi e connessione anche con le tre teorie di Sherif, Tajfel e Moscovici.

Il nazismo è un problema psicologico, ma anche i fattori psicologici vengono influenzati dai fattori socio-economici; il nazismo è un problema economico-politico ma la sua presa su un popolo intero dev’essere spiegata dal punto di vista psicologico” [p. 182]

“… ad aggravare la situazione intervennero, oltre a questi fattori economici, dei fattori psicologici. La sconfitta bellica e il crollo della monarchia furono una prima ragione didisorientamento psicologico. La monarchia e lo stato erano stati la solida roccia su cui, psicologicamente parlando, il piccolo borghese aveva costruito la sua esistenza; …  ” [p. 187]

La sconfitta nazionale e il trattato di Versailles divennero i simboli su cui si trasferì la frustrazione reale, che era quella sociale. Si è detto spesso che il trattamento fatto alla Germania nel 1918 dai vincitori è stato una delle ragioni principali dell’affermazione del nazismo. Questo giudizio richiede dei chiarimenti. (…) Il risentimento contro il trattato aveva le sue radici nella classe media inferiore; il risentimento nazionalistico era una razionalizzazione, che proiettava l’inferiorità sociale sul piano nazionale.

Questa proiezione è del tutto evidente nella vicenda personale di Hitler. Egli era il tipico rappresentante della classe media inferiore. Una nullità senza prospettive o possibilità.” [p. 189]

Queste condizioni psicologiche non sono state la «causa» del nazismo. Hanno assicurato quella base umana senza la quale esso non avrebbe potuto svilupparsi,ma l’analisi dell’intero fenomeno dell’ascesa e della vittoria del nazismo deve occuparsi delle condizioni strettamente economiche  e politiche oltre che  di quelle psicologiche.” [p. 190]

Il nazismo ha risuscitato la classe media inferiore psicologicamente, mentre procedeva alla distruzione della sua  precedente situazione socio-economica” [. 192]

… la personalità di Hitler, i suoi insegnamenti e il sistema nazista esprimono in forma esasperata la struttura di carattere che abbiamo definito «autoritaria»” e “proprio per questo fatto egli ha esercitato una potente attrattiva su quei settori della popolazione che più o meno avevano la stessa struttura di carattere” (…) “L’essenza del carattere autoritario è stata descritta come la simultanea presenza diimpulsi sadici e masochistici. Per sadismo abbiamo inteso l’aspirazione ad un potere illimitato su un’altra persona, più o meno commisto alla distruttività; per  masochismo, l’impulso a dissolversi in un potere irresistibile e a partecipare della sua forza e della sua gloria. Entrambe le tendenze si ricollegano all’incapacità dell’individuo isolato di reggersi da solo, e al suo bisogno di un rapporto simbiotico che vinca questa solitudine.” [p. 193]

“… non è stata solo l’ideologia nazista a soddisfare la classe media inferiore; la politica ha realizzato in pratica ciò che l’ideologia prometteva. È stata creata una gerarchia in cui ognuno ha sopra di sé qualcuno a cui sottomettersi, e ha sotto di sé qualcuno verso cui sentirsi potente; colui che sta in cima, il capo, ha il Destino, la Storia, la Natura sopra di sé come potere in cui sommergersi. Perciò l’ideologia e la prassi nazista soddisfano i desideri che scaturiscono dalla struttura di carattere di una parte della popolazione, e danno un indirizzo e orientamento a quelli che, pur non provando piacere a dominare e a sottomettersi, si erano rassegnati  e avevano rinunciato alla fede nella vita, nelle proprie decisioni, in tutto. ” [pp. 204-205]

La fuga nella simbiosi può alleviare per un po’ la sofferenza, ma non la elimina. La storia dell’umanità è la storia dello sviluppo dell’individuazione ma è anche la storia dello sviluppo della libertà. L’aspirazione alla libertà non è una forza metafisica, e non si può spiegarla con la legge naturale; è il risultato necessario del processo di individuazione e dello sviluppo della civiltà. ” [p. 206]

Cercando di sintetizzare quanto estratto dal pensiero di Fromm in merito alla psicologia nazista, tenendo comunque ben salde le radici e motivazioni storico-economiche, si deve dire che simbiosi si pone come antitesi a libertà e che quest’ultima si affianca parallelamente all’individuazione già junghiana; e che, come nello psicologo svizzero vigeva la dialettica estroversione-introversione, nello psicologo di Francoforte vigeva la dialettica, cruciale per l’origine del nazismo e dell’influenza sociale di Hitler, contingente alle fasi storiche di celebrazione dello spirito identitario pangermanista, sadismo-masochismo, nelle chiarissime accezioni che Fromm formula.

A questo punto l’aderenza del pensiero di Sherif, di Tajfel e Moscovici, pertinentemente alle origini psicologiche del nazismo, non appare lontana da quella, pur certamente qui espressa in modo più strutturato, di Fromm. La “percezione di conflitti di interesse”, indicata da Sherif, è ovviamente presente già in Fromm; così come il “bisogno di valorizzare la propria identità sociale attraverso il confronto tra il proprio e altri gruppi”, trova ampio spazio nelle argomentazioni, pure ripetute da Fromm e che qui sono state omesse per ovvi motivi di spazio, che Hitler compie relativamente a tedeschi, ebrei, ecc. .

Probabilmente è rispetto alle rappresentazioni sociali di Moscovici che il pensiero frommiano può apparire, e probabilmente sostanzialmente è, antitetico: laddove infatti Moscovici pone l’accento sul processo di ancoraggio (processo, in sé, in molti casi sicuramente fondato e fondante) allo “storico nazionalismo pangermanista”, di cui pur rapidamente si è cercato di sottolineare l’ampia portata sovra-secolare (essendo ascrivibile almeno alla seconda metà del XVIII secolo con la costituzione della Prussia in stato nazionale e proseguito poi con sempre più ampie trasformazioni e capovolgimenti fino alla Grande Guerra), Fromm viceversa stigmatizza come e quanto il “risentimento contro il trattato aveva le sue radici nella classe media inferiore”, quanto “il risentimento nazionalistico” in realtà fosse “una razionalizzazione, che proiettava l’inferiorità sociale sul piano nazionale”, laddove Hitler, secondo Fromm, “era il tipico rappresentante della classe media inferiore”; pertanto, in realtà nell’ottica di Fromm, se un qualche ancoraggio a vecchie idee di “nazionalismo pangermanista” Hitler avrebbe attuato, ciò sarebbe avvenuto non sulla scia delle medesime ma in maniera storicamente contingente e di comodo, il nazismo avendo sfruttato il proprio nulla identitario nonché la dialettica sado-maso dell’autoritarismo e della fuga nella simbiosi, tutti elementi antitetici alla libertà, alla individuazione e alla civiltà.

[Fabio Sommella, 26 luglio 2015]

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