La fratellanza – transnazionale e transculturale – verso l’estraneo (in tempi non sospetti)

Giuseppe Giusti, l’empatico antropologo culturale ante-litteram

Di tanto in tanto mi tornava in mente, la famosa poesia di Giuseppe Giusti – Sant’Ambrogio, 1846 – uno degli emblemi della nostra letteratura risorgimentale.

Stamane qualcosa – giocavo, nella mia testa, con il termine gabellare – me l’ha riproposta in piena coscienza; tanto che sono andato a cercare quei versi.

Ed eccoli qui, a questo link. Poesia magica e bella, direi (come l’isola non trovata di gucciniana memoria… ma questo è un altro discorso! 😊)

Bella è bella, questa intensa e godibilissima lirica. Leggibilissima e comprensibile, davvero, già in prima lettura.

E – son persuaso – attualissima più che mai, in quanto – in tempi non sospetti, 1846, cioè in epoca di poco precedente alla I Guerra d’Indipendenza – al di là dei contingenti conflitti politici nazionali – patrioti italiani vs impero austriaco – rivela qualcosa di grandioso e potente.

Che cosa?

Ma la forza, sotterranea eppur incontrovertibile, della fratellanza transnazionale e transculturale.

Nel caso specifico, vale a dire nell’episodio così gustosamente narrato dal Giusti, ci sono alcuni elementi che si fanno mediatori di questo processo.

In primis, la sede o luogo dell’azione: la magnifica basilica milanese-romanica di Sant’Ambrogio.

Ma, solamente questo, certo non basterebbe; in quanto effettivo catalizzatore di questa subliminale reazione – elemento di cambiamento, vettore di trasformazione – sarà soprattutto la musica: dapprima un coro di Giuseppe Verdi, poi un lento e solenne cantico tedesco.

Perché effettivamente sono, questi elementi, quanto serve e quanto basta per attivare, nel protagonista della lirica, i necessari processi biologico-psicologici – appartenenti alla nostra specie – di empatia, di comunicazione e identificazione umani; ciò financo verso il presunto o reale nemico, verso lo straniero, l’estraneo: verso colui che – scriverà nel secolo successivo Erich Fromm – non ha alcun punto di contatto con noi. Eppure con il quale, il protagonista della poesia di Giuseppe Giusti (l’uomo Giuseppe Giusti medesimo?), riesce a stabilire alla fine un nesso, un legame, un ponte. Ciò a dispetto di qualsiasi dominante e contingente conflitto e forma d’odio: nazionale, politico, culturale, razziale.

Si rilegga tutta la poesia, in particolare ponendo attenzione a versi come “Un desiderio di pace e d’amore, / Uno sgomento di lontano esilio, (…) A dura vita, a dura disciplina, / Muti, derisi, solitari stanno, (…) E quest’odio che mai non avvicina / Il popolo lombardo all’alemanno”.

Stupore?

Probabilmente no. Ma quella effettuata da Giuseppe Giusti, quasi due secoli fa,  di fatto è un’operazione di antropologia culturale ante-litteram.  Pur se svolta all’interno di un contesto storico-politico – il Risorgimento italiano – che, ovviamente, non lasciava dubbi circa le scelte ideologiche e di fazione in cui schierarsi.

Operazione di antropologia culturale di cui – oggi, più che mai – dovremmo tenere conto tutti, specialmente i cultori degli stolidi nazionalismi contemporanei, delle xenofobie, degli ottusi e ciechi orgogli patriottici, degli odii razziali, del noi contro di loro.

[ 7 agosto 2018]