Donne su quel balcone, oggi forse liberatorio

Un’ottima commedia della contemporaneità, che cede il passo al thriller giungendo fino al grottesco, transitando per brevi tratti nell’horror,/fanntasy è Le donne al balcone (The BalconettesLes femmes au balcon), 2024 ma in distribuzione in Italia in questi giorni, di Noémie Merlant, trentaseienne regista ma già attrice, qui in veste anche di sceneggiatrice nonché di uno dei tre personaggi principali.

Poster Le donne al balcone - The Balconettes

Protagoniste di questa interessante commedia, solo apparentemente dark, in quanto in realtà fiction di cocente attualità sociale transnazionale, sono tre giovani donne  attorno ai trent’anni – Nicole, Ruby e Elise – tanto unite, in definitiva, nel loro improvvisato gineceo quanto differenti caratterialmente, che si trovano, temporaneamente, a convivere in un appartamento di un enorme caseggiato di Marsiglia. Loro sono “al balcone” in qualche modo e misura come il protagonista hitchcockiano de La finestra sul cortile, 1954, ma le finalità di questo lavoro sono diverse, come si cercherà di indicare più avanti citando altri illustri predecessori filmici.

L’atmosfera della città di Marsiglia, tra la sua parzialmente opprimente area urbana – a cui l’autrice rende comunque amorevoli omaggi con perfette sequenze in panoramica notturna (sintomatiche di un affetto probabilmente controverso) – e i viceversa ariosi scorci marini, permea tutto il film che, attraverso questo continuo rimbalzare tra agglomerato urbano e mare, ci racconta una manciata di giorni vissuti dalle tre protagoniste, nell’afa di una torrida estate francese, che passano dalla normalità e dalla apparente noia del quotidiano a un progressivo crescendo di ansie e orrore, fino al liberatorio acme finale.

Le donne al balcone - The Balconettes - Film (2024) - MYmovies.it

Nicole (Sanda Codreanu) – la vera protagonista – è fantasiosa e frustrata scrittrice in erba, sempre propensa a immaginare storie impossibili che fanno da contraltare alla sua scialba vita giornaliera.

Ruby (Soubella Yacoub), la più disinibita ed estroversa delle tre, è una call-girl che si guadagna da vivere esibendosi in telematico dinanzi alle videochiamate di sconosciuti.

Elise, (Noémie Merlant), la svenevole emula di Marylin, è una moglie insoddisfatta che sogna di diventare un’affermata attrice e che fugge dall’oppressivo marito parigino rifugiandosi proprio a casa delle amiche marsigliesi.

Attorno a loro tre, si agita una piccola anonima comunità di altrettanto oppresse donne – una cruda sequenza, incipit significativo, fa da emblema a questa affermazione – e pochi uomini, vessatori e prevaricatori, fino alla violenza, manifesta o celata.

Nobili echi possono sovvenire alla memoria dello spettatore: personalmente, per i conflitti di genere ben espressi dalla sceneggiatura tutta, non ho potuto non pensare a Donne sull’orlo di una crisi di nervi, 1988, di Pedro Almodovar ma anche a Thelma e Louise, 1991, di Ridley Scott, e ancora a varie opere di Marco Ferreri, da L’ultima donna, 1976, a Ciao Maschio, 1978, fino a Il futuro è donna, 1984; in ultimo, ma certo ce ne sono altri, allo Speriamo che sia femmina, 1986, di Mario Monicelli.

Aprendo adesso una parentesi socio-culturale, va rimarcato il dispiacere di vedere che, malgrado i vari decenni trascorsi, queste tematiche filmiche siano oggi da una parte sempre più attuali e, dall’altra, siano presenti in quanto, storicamente, sono state disilluse alcune antiche fiducie. Se, nella cinematografia occidentale, infatti volessimo rintracciare gli inizi di una filmografia al femminile, dove il maschile diveniva in qualche modo minoritario o scompariva, in nome della fiducia in un progresso al femminile, come ho argomentato ampiamente nel mio Quel ventennio al femminile, ciò andrebbe rintracciato in Gangster Story, 1967, di Arthur Penn e in C’era una volta il West, 1968, di Sergio Leone. Ovviamente, non essendo questa la sede per approfondire questi aspetti, si torna al film in questione.

Se la svolta narrativa di Le donne al balcone si ha con un evento a metà tra il tragico e il grottesco, quelle successive si hanno con un infittirsi dei nodi della trama, sempre densa e avvincente, fino alla risoluzione finale, in cui si respira un’aria di liberazione corale lungo gli ameni scorci serali delle marine marsigliesi.

Il film, magnificamente girato, caratterizzato da una buona sceneggiatura (forse l’unica pecca è la relativa scarsità di figure maschili) e un altrettanto serrato montaggio, da una splendida fotografia, una suadente e idonea sound-track e da dialoghi sempre in bilico fra l’umoristico e il tragico fino a toni volutamente paradossali, è anche splendidamente interpretato.

Se le donne, per l’ennesima volta, brillano per iniziativa, necessità e solidarietà , gli uomini risultano effettivamente una schiera di infimi fantasmi da condannare (emblematica pure in tal senso “l’arringa” che l’estroversa ed esperta Ruby infligge al maschio cassiere di supermercato, già suo brutale conoscente). Se il riferimento ai precedenti titoli elencati può dare l’idea di ciò che qui si intende, un lontano eco con il Fanny e Alexander, 1982, di Ingmar Bergman, per chi lo conosce, si può cogliere nelle raffigurazioni fantasmatiche, dove la fragile ed esile figura di Nicole può apparire, oltre che simbolo della femminilità a rischio di violenza, una rediviva trasfigurazione dell’Alexander bergmaniano, quando quest’ultimo re-incontra il fantasma del malvagio padrino (ma questa è un’altra storia).

Le donne al balcone | dal 20 marzo al cinema

Ci si alza dalla proiezione soddisfatti di aver goduto di una intensa e coerente narrazione cinematografica nell’ora e tre quarti trascorsi, davvero senza mai guardare l’orologio, anzi avvincendosi e anche, infine, commuovendosi alle peripezie e agli esiti di Nicole e delle sue due simpatiche amiche.

[Fabio Sommella, 09 marzo 2025]

disponibile quadro - Donna al balcone - Annalisa Airaghi | PitturiAmo® APS

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Lassù, nel grossetano

Capitato è d’incontrare – recentemente – due amiche, entrambe scrittrici, entrambe decisamente fascinose, entrambe in qualche modo legate al e originarie del grossetano.
Una terra che mi aveva sempre attirato, fu proprio lì la nostra “ultima vacanza”, pur breve, in quel magnifico e ameno agriturismo; oltre a Grosseto – città a me cara, lo sapevi, perché di Bianciardi – furono Orbetello, Follonica…
Eccoti proprio lì, sul suo lungomare: in quella vesticciola fiorita, dimagrita come non mai, i capelli ricresciuti riccioluti – per me sempre affascinante, anche dopo due dei tre interventi che ti avevano e ti avrebbero devastata – guardi lontano. Il mare lontano dietro di te – lo sai, te lo dico nel nostro romanzo – ha il sapore dei mari della mia infanzia, quando ancora non ti conoscevo; ma tu avresti rivestito anche quel tempo!
Mai uscita dalla mente, ti rivedo poi mesi dopo, quando sul letto della TAC all’INT di Milano urlavi come “un animale che sta urlando”, quasi tu fossi la protagonista della Piccola storia ignobile di Francesco.
Ma – quel mare – per noi, è per sempre.

[Fabio, 11 marzo 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Le donne di cui si è innamorato

Prese a raccontarmi delle sue donne. Io da principio gli dissi: «Dai, su, lo sai: conosco molto bene la storia della tua vita. Anche le donne. Ci conosciamo da tanti… troppi anni.»

«No. Queste cose tu non le sai. Non le hai mai messe a fuoco.»

«Si? Davvero?»

«Ne sono sicuro», rispose.

Così iniziò. «Perché vedi… le donne di cui mi sono innamorato…» Io l’ascoltavo. Camminavamo nell’aria della tarda mattinata sulla Piazza del Laterano. Il sole tiepido ci scaldava. Come pure le nostre idee. E il freddo di gennaio lentamente svaniva alla sua luce. Mentre il nostro parlare era fluente. «… hanno tutte un denominatore comune. Cioè: si somigliano.» Io annuivo. «Si somigliano non nell’aspetto, certo. Nei modi. Nei modi di pensare. E quello che mi ha affascinato in loro non è stato il loro carattere forte o vincente, non le cose in cui sono state brave. Sono stati… i loro fallimenti.» Lo guardavo. Mi interessava. «Mi sono innamorato dei loro punti deboli. Delle loro labilità. Dei loro lati oscuri. Dei silenzi. Dei loro Non detti. Si, già… perché in ognuno di noi poi c’è il Non detto

«Mica in tutti», dissi io. Volevo sdrammatizzare. Così aggiunsi: «Io per esempio parlo sempre tanto, che riempio la scena. Forse anche troppo.» Ma lui riprese, non curandosi delle mie facezie.

«Vuoi mettere la loro tenerezza quando – consapevolmente o meno – sorvolavano su un loro insuccesso. Sui tradimenti di cui erano state vittime. Quando mi dicevano delle loro delusioni. Più o meno mascherate. E manifestavano la loro insicurezza. Quasi scusandosi. Con l’interlocutore, ma principalmente con loro stesse. Mi parevano così ingenue. Vulnerabili. Come non proteggerle? Come non provare a proteggerle? Loro. Così fragili. Eppure così desiderose di sentirsi indistruttibili.»

«La coscienza della nostra vulnerabilità, di cui mi parlavi…», gli dissi tornando serio.

«Si, proprio così. E, in loro, ritrovo me. La coscienza. Quella che emerge fra un incontro: quello della verità con l’istanza tragica. Quella di ciascuno di noi. La verità è sempre rivoluzionaria. L’istanza tragica risiede nel più intimo di noi. Di noi stessi. Quella che è retaggio della nascita. Dell’educazione. Della crescita. Della famiglia. Della sua storia. Delle presenze passate. Ataviche. Di cromosomi corsari. Di influenze ancestrali. Spesso anche di traumi. Che succedono. Perché succedono i traumi, no?»

«Certo, purtroppo…». Ma poi tacqui. Perché vedevo anche lui tacere. Vidi il suo sguardo allontanarsi. Da quando non c’era più Aurora, aveva ripreso i modi e i ritmi dei nostri vent’anni. Con Eleonora. E poi con Adriana.

E infatti prese a dirmi: «Perché vedi… Adriana…» Rimase come in sospeso. Io ripensavo ai nostri vent’anni. A una sua certa Elisa, di allora. Con cui lui non era stato diverso da adesso. Da come è oggi. Nel segno del Non si cambia poi molto, nella vita. «Adriana non ha capito…»

«Cosa?», gli chiesi. Sapevo che, con Adriana, era finita da poco. Dopo le belle cose che lei gli diceva, che soprattutto gli scriveva. Sorta di liriche. Me le aveva fatte leggere.

«… lei non aveva capito che non volevo solo portarmi a letto una bella fica…» E mi guardò. Mi guardò con una specie di pudore sul volto. Come fosse un adolescente; un ragazzo che aveva detto qualcosa di sconveniente al suo Maestro dell’Anima. Però poi riprese. E stavolta era convinto. «Semmai con lei volevo provare a rimettere ordine. Ordine tra le macerie. E costruire. Costruire qualcosa di nuovo. Sulle ceneri. Macerie e ceneri di una vita. Macerie e ceneri della mia vita. Che aveva fiducia nella sua. In lei e nella sua vita. Nella sua persona. Tanto da farle tante confidenze… sprecate?» Ci guardavamo. «E per costruire qualcosa con lei, non servivano cliché. Non potevo usare luoghi comuni. La conquista. Serviva la verità. La verità rivoluzionaria. Che ho usato. Sempre.»

«Sempre?, chiesi.

«Sempre e solo quella», mi rispose. Mi pareva davvero triste, adesso. «Anche con Aurora», aggiunse. «Soprattutto con Aurora. Magari lei…»

«La verità. Rivoluzionaria.» Dissi io. «Che però… ha cozzato, è?»

«Con lei. Con la sua storia. Con la sua istanza tragica. Con loro. Con le loro storie. Con le loro istanze tragiche. Che non conoscevo, malgrado il tempo dedicato. Malgrado la vita in comune con Aurora. I decenni. E con Adriana, in quei dialoghi. Quelle intese. Quei silenzi senza imbarazzo. Ma… non le conosco. Non ho fatto in tempo a conoscerle. Non sai… quanto vorrei aiutarle. Avrei voluto aiutarle. Tutte. Devono aver sofferto tanto. Poverette.»

Adesso era confuso. Sperduto. Davanti alla Basilica mi strinse il braccio. Il cielo era sereno. Lui no. Lo guardai e lui anche mi guardò ancora. Con infinito affetto amicale. Il sole riverberava nei suoi occhi, che erano profondi e belli, come mai ricordo di averli veduti in tutta la nostra vita. Mi sorrise. Quindi di scatto si voltò, incamminandosi di fretta, tornando verso il centro. Provai a chiamarlo, a fermarlo. Ma compresi che non voleva. Aveva già attraversato la piazza, svicolando disordinatamente tra le auto. Era inutile. E forse ingiusto.

Non l’ho più veduto, da allora, il mio amico. Né si sa che fine abbia fatto.

Talvolta mi pare di sentirlo ancora parlare. Dentro di me. Parlare delle sue donne.

Le donne di cui si è innamorato.

FINE

 

[Fabio Sommella, 09-10 gennaio 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Fra poesia e trattatistica (Come vi somigliate, donne)

Di seguito alcuni miei versi di questa mattina. Sono dedicate a delle donne, passate o presenti, che ho incontrato nella mia vita (ebbene, si!) e a cui ho voluto bene: non importa se per tanto o per poco tempo, non importa la situazione, non importa cosa sia avvenuto. Ciò che è importante è la loro psicologia, la loro personalità. Perché, io, sono innamorato della personalità umana, ancor più se femminile (ebbene, ancora si). Ne sono innamorato in quanto è un meraviglioso espediente – evolutivo – di arginare le asperità dell’esistenza (!), è un tentativo sistemico/psichico di originare uno stato stazionario di equilibrio dinamico (!!), è una modalità di adattamento all’ambiente (!!!), analogamente a tanti altri espedienti (dinamici) della Natura; ad esempio: i sistemi tampone della chimica, i processi infiammatori dei tessuti viventi, le reazioni immunitarie degli organismi viventi, le emozioni della psiche, i processi stellari dell’astrofisica all’interno delle galassie, mattoni dell’universo: per la serie Su diverse scale, la Natura opera in modo analogo: impara a comparare e l’Universo si disvelerà ai tuoi occhi.

Forse un giorno, in merito, vi scriverò un trattatello.

In coda, il link a una pagina del mio sito con poesie non solo mie.

 

Ecco i miei versi di stamane, anticipati dal titolo:

 

COME VI SOMIGLIATE, DONNE

Come vi somigliate, donne,
più o meno giovani
nelle memorie e nelle presenze
attuali o del passato,
nel gioco eterno
del fuggir – spesso, così – dal vostro nodo
con cui fare i conti dover,
del lamentoso avvertir in vostra – fragile – coscienza
vulnerabilità celata
di tragica istanza
in dialettico incontro
e scontro con verità, solo mutante
il Mondo
nell’urlo di rivoluzione
del cambiamento,
il nostro spirito in grado di elevare in volo.

E io son qui
qui ero
vi amo
e amavo
uguale
nel tenero bene e afflato
che dell’amor totale
è seme base radice fusto arbusto ramo foglia stoma respiro.

Per innalzare insieme – noi – il volto.

[Fabio, 05 gennaio 2019]

 

Il LINK alla pagina delle poesie è
https://www.fabiosommella.it/wp/poesia/

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

Come vi somigliate, donne

Come vi somigliate, donne,
più o meno giovani
nelle memorie e nelle presenze
attuali o del passato,
nel gioco eterno
del fuggir – spesso, così – dal vostro nodo
con cui fare i conti dover,
del lamentoso avvertir in vostra – fragile – coscienza
vulnerabilità celata
di tragica istanza
in dialettico incontro
e scontro con verità, solo mutante
il Mondo
nell’urlo di rivoluzione
del cambiamento,
il nostro spirito in grado di elevare in volo.

E io son qui
qui ero
vi amo
e amavo
uguale
nel tenero bene e afflato
che dell’amor totale
è seme base radice fusto arbusto ramo foglia stoma respiro.

Per innalzare insieme – noi –  il volto.

[Fabio, 05 gennaio 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Donne

E volgendo lo sguardo a queste poche donne
– tutte –
per la prima volta
percepire,
sotto la scorza epidermica,
il senso del tragico
che ne dirige l’esistenza
di cui ti chiedi:
“Come avrei potuto non innamorarmene?”

[13 novembre 2018]