Tra Attualità ed Eredità (Culturali): parallelismi nelle Memorie e Coscienze Collettive

In qualità di abbonato, io, a Repubblica Online, leggo la Prima Pagina, in NewsLetter, di Maurizio Molinari e – come da sempre mi accade fin da quando, allora poco più d’un ragazzino, leggevo il Messaggero che mio padre, alla sera, portava a casa – avverto un inevitabile capogiro di fronte alla varietà e all’imponenza, spesso funesta, delle notizie dell’attualità provenienti dal Mondo: “la svolta sull’invio dei carri armati per l’Ucraina”, con “il via libera definitivo della Camera italiana al decreto Ucraina” che “proroga al 31 dicembre 2023 la cessione da parte di Roma di materiali militari a Kiev”; “Il Bollettino degli scienziati atomici” secondo cui la “fine del mondo” è ora “ad appena 90 secondi dalla simbolica mezzanotte che indica il traguardo dei tempi”; la conferma dello “sciopero dei benzinai” per cui gli “impianti di rifornimento carburanti rimarranno per lo più chiusi – compresi i self service – per 48 ore consecutive”; la notizia che nei “giorni caldi della giustizia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella difende la magistratura finita nel mirino del ministro Carlo Nordio”; le “Acque agitate a Roma in Fratelli d’Italia“, per cui la “premier e leader commissaria la federazione cittadina scontrandosi con il suo vecchio mentore”; “la fenomenologia di Salvatore Baiardo”; il racconto de “l’Agnelli americano”, laddove – sottolinea il giornalista – “a vent’anni dalla sua morte, il ricordo di ‘Gianni’ – qui a New York nessuno lo chiama l’Avvocato – sia sempre vivo, affettuoso, nostalgico”; “le candidature per gli Oscar 2023” che “premiano il cinema delle grandi storie.”

Insomma: di fronte all’ampiezza e alla numerosità delle informazioni che ci sovrastano, la mente – il cervello? – non può che vacillare.

Sarà forse per questo che la mia mente, nella congerie di tali e tante notizie, imbocca una strada a latere, quasi in disparte, rifugiandosi – sorta di novello o perenne Elogio della Fuga di Henri Laborit – in una dimensione sovratemporale, di difesa.

Infatti il ventennale della morte di Giovanni Agnelli – il ricordo di ‘Gianni’, citato nella suddetta Prima Pagina – lascia affiorare nella mia memoria la dichiarazione in TV di un intervistato, presso il Lingotto di Torino, all’indomani del decesso dell’Avvocato; proprio in quell’occasione, qualcuno aveva sentenziato: “È morto l’ultimo Principe del Rinascimento!” Oggi non ritrovo la dichiarazione precisa ma solo qualcosa di similare, tra cui quanto riportato qui.

Altrove, viceversa e precisamente qui, trovo una decisa critica, indicata come erronea e fallace, a questa immagine “rinascimentale”, sorta di simbolico e contemporaneo AntiRinascimento.

Ma non è questo il punto, perché – stavolta senz’altro a ragione – mi viene subito in mente la dichiarazione di Nino Manfredi all’indomani della morte di Totò: “È morta l’ultima delle grandi maschere della commedia dell’arte”.

E allora penso a come e a quanto, il nostro comune sentire di persone della Modernità, o Post-Modernità, sia legato e agganciato strettamente – in modo diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole, cullandone amorevolmente i criteri e i dettami comparativi – alle memorie storico-culturali: nei casi di Agnelli e Totò rispettivamente il Rinascimento, vero o presunto tale, e la Commedia dell’Arte, probabilmente più aderente alla comparazione proposta; ciò laddove le eredità, culturali, di queste fasi storiche, sebbene lontane e ultrasecolari, pur subliminalmente si dipanano nel tempo, continuandosi, perpetuandosi e giungendo fino alle nostre coscienze.

E infatti penso a quando personalmente, alcuni anni fa, ho ipotizzato un intimo – pur sotterraneo – nesso fra la rappresentazione della donna nella lirica due-trecentesca da una parte e, dall’altra, la rappresentazione della medesima in certa raffinata canzone d’autore.

Se gli esempi del parallelismo, vigente tra forme dell’attualità e forme artistico-culturali storiche, potrebbero essere ulteriori (ma ci fermiamo qui e le tralasciamo, almeno per ora 😊), va altresì rimarcato un semplice fatto: le nostre Coscienze Collettive, di moderni e/o post-moderni uomini del XX e del XXI, sono incontrovertibilmente e  intimamente connesse alle nostre Memorie Collettive Culturali, le prime facendo uso continuo, consapevole o meno, delle seconde.

E questo – a dispetto di ogni capogiro e vacillar della mente di fronte alla varietà e all’imponenza delle notizie dal Mondo, spesso funeste e ignobili – mi fa star inspiegabilmente bene, in qualche modo e misura lenendo il cruccio, il dolore, la paura; relativizzandoli, forse!

[Fabio Sommella, 25 gennaio 2023]

 

L’eludibile e inafferrabile Coscienza – L’IIT di Giulio Tononi

Quanto segue – a meno di alcune evidenti considerazioni personali che, per maggior chiarezza, sono evidenziate con [NdR:…] – è sostanzialmente un sommario/sintesi di quanto, in merito alla ricerca sulla coscienza come processo cognitivo e più in particolare sull’IIT (Information Integration Theory) di Giulio Tononi, riporta il testo di Massimo Turatto, PSICOLOGIA GENERALE – Edizione digitale (Italian Edition), MONDADORI EDUCATION, Kindle Edition, Capitolo 11. I concetti riportati fedelmente, altrimenti si sarebbe corso il rischio di falsare il significato, sono posti fra le caporali «».

Varie sono le accezioni della coscienza – morale, fenomenica, riflessiva, autocoscienza – e spesso se ne dà una definizione al negativo definendola ciò che scompare quando cadiamo in un sonno senza sogni oppure definendola come tutto ciò di cui si ha esperienza.

Si deve sfatare l’autorevole ma errata asserzione che la coscienza emerga solo con il linguaggio: infatti nell’afasia di Wernicke, funzionalmente analoga a un ictus ma – fortunatamente – reversibile in quanto della durata di pochi minuti, il paziente rimane cosciente malgrado i test linguistici a lui somministrati mostrino la perdita delle funzioni linguistiche.

Inoltre la coscienza non coincide con l’attenzione, né con la memoria di lavoro (laddove attenzione e memoria di lavoro sono concettualizzabili come due diversi aspetti dello stesso processo); tantomeno la coscienza coincide con la memoria episodica (la coscienza è presente anche quando la memoria episodica può esser compromessa, come in alcune sindromi neurologiche in cui l’ippocampo mostra temporanea incapacità funzionale), tantomeno con le funzioni esecutive, non richiedendo sempre una corteccia prefrontale intatta.

La coscienza non è riconducibile né a una singola funzione cognitiva, né alla somma di esse.

Tantomeno è facile valutare lo stato di coscienza altrui, laddove se viene valutata in base al “semplice” paradigma stimolo-risposta, si verifica che esso è tutt’altro che infallibile, essendo circa il 40% dei pazienti, dichiarati non-coscienti in base a tale paradigma, viceversa coscienti.

Altresì la misurazione di risposte metaboliche dei neuroni corticali (tramite fRMI, Risonanza Magnetica Funzionale) a varie richieste di paradigma di immaginazione motoria (“immagina di fare…”), in pazienti sani e in pazienti in stato vegetativo, sorprendentemente mostra che si riscontrano in entrambe le tipologie di pazienti, sani e vegetativi, le medesime attivazioni cerebrali.

Né, al fine di distinguere la presenza o meno di uno stato cosciente, è attendibile la misurazione del potenziale evocativo tardivo (P300), risposta elettroencefalografica fra 300 e 600 ms dalla presentazione di stimoli sensoriali ritenuti di rilievo; ciò per due limitazioni: la specificità allo stimolo ma, soprattutto, perché il P300 può mancare, a dispetto della coscienza pur presente, per interruzione o disfunzione delle vie sensoriali.

Anche le tecniche d’interazione diretta con il cervello, finalizzate a individuare i correlati neurali della coscienza e le differenze con l’incoscienza, quelle misuranti il metabolismo (fRMI, PET) o quelle misuranti l’attività elettrica (EEG o Magnetoencefalografia), hanno cozzato con due evidenze: durante le crisi epilettiche, la coscienza è assente ma il cervello è iperattivo; inoltre, se è vero che il metabolismo della corteccia cerebrale è ridotto in pazienti vegetativi, il medesimo non aumenta significativamente quando quei pazienti recuperano la coscienza.

Al termine di questa lunga lista di elusioni, si è scelta una prospettiva diversa: la coscienza dipenderebbe non da quanto i neuroni sono attivi ma dal modo in cui i neuroni sono attivi.

Si è individuato un nesso fra il grado di oscillazione dell’EEG e il livello di coscienza: sperimentalmente si riscontra che la percezione di un oggetto complesso, come ad esempio un volto, genera onde rapide e sincrone di attività elettrica in molte aree corticali [NdR: analogia con i pixel e i bit d’informazione presenti e necessari in un’immagine JPG complessa, articolata e diversificata?] Ovvero: molti neuroni corticali, fra loro anche distanti, devono necessariamente coordinarsi in maniera reciproca al fine di elaborare le diverse caratteristiche, vale a dire le linee orizzontali e verticali, i colori, i movimenti, chiari e scuri… [NdR: l’analogia con le sezioni e i timbri di un’orchestra è immediata!]

Tuttavia la sincronizzazione non diminuisce quando la coscienza diminuisce [NdR: era il principio d’indeterminazione di Heisenberg che decretava l’impossibilità di identificare, al contempo, la posizione e la quantità di moto di una particella elementare.]

Già il pioniere dell’EEG, Hans Berger, circa cento anni fa aveva osservato che, nella veglia, si registrano onde rapide a basso voltaggio, più di 8 al secondo e, progredendo verso il sonno, le onde divengono più ampie e lente. Tuttavia il tutto non era generalizzabile in pazienti vegetativi.

Apparenti paradossi, molto suggestivi, sono quelli derivanti da alcuni dati empirici della nostra neuroanatomia. Stime abbastanza accurate attestano che l’encefalo è costituito da circa 86 miliardi di neuroni. Distinguendo nell’encefalo il sistema talamo-corticale e il cervelletto, è sorprendente scoprire che sia proprio il cervelletto, piccolo e compatto, a ospitare la maggior parte dei neuroni, ovvero circa 69 miliardi, mentre l’intero sistema talamo-corticale contiene “solo” 16 miliardi di neuroni.

Quindi il cervelletto, così ricco di risorse e meraviglia di complicazione biologica, è stato da principio ipotizzato come possibile sede della coscienza. Tuttavia, in pazienti cerebelloctomizzati a causa di tumori, si sono osservate difficoltà deambulatorie ma non alterazioni della coscienza; viceversa lesioni anche limitate in ambito talamo-corticale hanno mostrato l’originarsi di perdita di coscienza, ovvero stato vegetativo.

Analogamente i nuclei della base (denominati anche nuclei striati), pur voluminosi e profondi – circuiti in parallelo si originano da uno specifico modulo corticale, transitano per i nuclei della base, attraversano il talamo e ritornano alla corteccia terminando in area limitrofa a quella di origine, coinvolti in una molteplicità di funzioni cognitive quali linguaggio, motivazione, emozioni… – sembrano estranei all’esperienza soggettiva cosciente.

I sistemi attivanti del tronco encefalico, rilascianti sei tipologie di neurotrasmettitori (acetilcolina, istamina, noradrenalina, serotonina, dopamina e glutammato), sono in grado di indurre una diffusa attivazione talamo-corticale modulandone l’intera eccitabilità (Giuseppe Moruzzi, 1949), funzionando come una sorta d’interruttore in grado di influenzare lo stato generale della corteccia cerebrale. Tuttavia anche i sistemi attivanti risultano intatti in molti pazienti vegetativi e quindi non rapportabili ad alcuna specifica esperienza cosciente.

È una scoperta degli ultimi venti anni che, durante il sonno, il cervello non si spegne (grazie al fisiologo romeno Mircea Steriade, 1924-2006) e che i neuroni corticali scaricano più o meno nello stesso modo, nella veglia e nel sonno.

Ci si è quindi chiesto perché la coscienza si riduca nel sonno; e perché, durante i sogni, pur se il cervello è disconnesso dal mondo esterno, la coscienza ricompaia.

La IIT (Teoria dell’Informazione Integrata), formulata da Giulio Tononi dell’Università di Trento nel 2004, è stato un tentativo di travalicare la mera catalogazione dei fatti, osservabili, spiegandoli.

La IIT non parte dal substrato fisico – il cervello – cercando di spiegare l’origine dell’esperienza cosciente; la IIT capovolge il processo esplicativo e parte dall’osservazione diretta dell’esperienza soggettiva – la fenomenologia – individuando le sue proprietà essenziali o assiomi dai quali deriva i postulati relativi alle caratteristiche richieste al suo substrato fisico [NdR: procedimento induttivo.]

La IIT afferma che la capacità del cervello di generare coscienza è funzione del bilancio ottimale tra informazione e integrazione, ovvero dipende dal delicato equilibrio fra diversità e unità dei circuiti che lo costituiscono; ovvero: la coscienza corrisponde alla capacità d’integrare informazione [NdR aspetto logico-concettuale di tale approccio.]

Tralasciando qui, per brevità, i resoconti sulla differenza fra un umano e un fotodiodo, i resoconti su pazienti callosotomizzati chirurgicamente a causa di gravissime forme di epilessia, viene affermato infine che sussiste coscienza quando il sistema ha enorme repertorio di stati diversi (ricchezza informativa) ma al contempo stato unitario (integrato).

Le due proprietà fondamentali dell’esperienza cosciente, l’informazione e l’integrazione, poggiano sulla coesistenza di differenziazione e irriducibilità, ovvero un equilibrio unico fra diversità e unità nel cervello fisico. [NdR: quindi la coscienza è sommatoria o integrazione, in senso proprio dell’analisi matematica, dell’enorme repertorio di stati diversi dei miliardi di neuroni.] Integrazione e differenziazione sono due forze che remano l’una contro l’altra in direzione opposta, difficili da conciliare nei più svariati domini: dalla persona alla politica, dalla biologia alle società umane, ecc. [NdR: pertanto, all’origine della coscienza, c’è una dialettica: tesi è l’integrazione, antitesi è la differenziazione, sintesi è la coscienza.]

«Più gli elementi di un sistema sono specializzati, più sarà difficile farli interagire tra loro e di conseguenza più ardua la loro integrazione. D’altra parte, più forte sarà l’integrazione tra gli elementi, più il loro comportamento sarà omogeneo e il livello generale di differenziazione all’interno del sistema sarà ridotto. In qualche modo, queste due forze opposte hanno raggiunto un improbabile equilibrio ottimale da qualche parte nella materia di cui è composto il cervello.»

Per misurare la capacità del sistema di integrare l’informazione si è proposto PHI o, meglio, ɸ, dove la barra verticale indica l’informazione e il cerchio l’integrazione.

Il sistema talamo-corticale è organizzato in modo tale da enfatizzare, al contempo, tanto la specializzazione [NdR: o differenziazione] funzionale quanto l’integrazione funzionale; pertanto il sistema talamo-corticale è ritenuto un sistema speciale per quanto riguarda la coscienza.

Viceversa il cervelletto, con circa 69 miliardi di neuroni, composto da moduli specializzati e velocissimi ma segregati, ovvero privi di connessioni a lunga distanza e privo di un corpo calloso, in termini di integrazione è assimilabile a una telecamera.

Analogamente i nuclei della base, per quanto connessi al sistema talamocorticale, sono essenzialmente [NdR: si badi] indipendenti, ovvero isolati dal punto di vista informativo.

Nondimeno anche l’interruttore (i sistemi attivanti del tronco encefalico), malgrado sia connesso agli elementi del sistema talamo-corticale, ne rimane escluso.

In sostanza la teoria IIT predice in maniera esplicita che il dissolversi della coscienza, nel sonno o nell’anestesia si accompagna a una riduzione dell’integrazione all’interno del sistema talamocorticale, il quale si disgrega in moduli indipendenti dal punto di vista causale, e a una riduzione dell’informazione, in termini di restringimento del repertorio di stati neurali possibili, oppure a entrambe [NdR: noi – con le nostre coscienze – siamo un’orchestra di moduli informativi integrati]

Il principio sperimentale generale, per la  valutazione della capacità di un cervello di integrare informazione, consiste nella perturbazione diretta di un sottoinsieme di neuroni corticali e nella registrazione tanto dell’estensione, ovvero della misura dell’integrazione, quanto della complessità, ovvero della misura dell’informazione nella risposta generata.

In linea di principio in un cervello privo di integrazione la risposta sarà debole e semplice in quanto risponderanno soltanto gli elementi stimolati in modo diretto mentre in un cervello privo d’informazione la risposta sarà forte, tuttavia ancora semplice in quanto, in questo caso, tutti gli elementi risponderanno in ugual modo (o tutto acceso o tutto spento). In un cervello con un bilancio ottimale tra differenziazione e integrazione, dove elementi con proprietà molto diverse sono in grado di interagire come un’unità, la perturbazione iniziale risuonerà con eco duraturo, esteso, complesso.

Gli strumenti per verificare ciò sono due: il TMS, Transcranial Magnetic Stimulation (Stimolazione Magnetica Transcranica) e l’EEG, Elettroencefalogramma. In modo del tutto indolore, mediante TMS, si possono perturbare (bussare su) gruppi selezionati di neuroni corticali; la perturbazione – dei selezionati neuroni corticali – genera un eco sul sistema talamocorticale che viene registrato/ascoltato con l’EEG.

TMS/EEG nelle varie fasi veglia, sogno, sonno.

Gli autori hanno infine fatto notare che questi esperimenti, oltre a consentire la verifica di come la complessità cerebrale si riduca quando la coscienza svanisce mentre sia elevata quando la coscienza è presente, non hanno richiesto al soggetto alcuna attenzione ad alcuno stimolo, né di rispondere con movimenti o verbalmente [NdR: in tal modo soddisfacendo il criterio empirico fondamentale di oggettività.]

[Fabio Sommella, marzo 2022]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

I crunch crunch nelle sale cinematografiche, tra abissi di civiltà e vendite di pop corn.

La sala é piombata nel buio da pochi minuti, vi state immergendo nel nuovo film di Francesca Archibugi – da leggere con attenzione, senza ovvietà, è? – e venite disturbati da un’onda d’urto: qualcuno ha fatto vibrare un sedile nella vostra fila alla vostra destra. Va bene, ritardatari, ora smetteranno.

Ma non é così.

Prima un confabulare, quindi la luce d’un telefonino. Sempre da lì. Sempre loro. E proseguono. Ora ci sono due fonti di suono, due fonti d’attenzione: film e quella sgradevole coppia.

Passa un attimo e inizia: é un rumore di carta, cartoni e poi il malefico crunch crunch dei pop corn, scandito da bocca e denti voraci quanto inopportuni e noncuranti di altri, se non di sè stessi.

É il mondo, pensi.

Alla vostra sinistra ci sono posti liberi e vi decentrate un po’, sperando di allontanare quei molesti suoni. Tu ti attappi anche l’orecchio destro, sperando in meglio. Il crunch crunch prosegue. Implacabile e regolare per mezz’ora almeno. Infine cede alla penuria sopraggiunta dei pop corn.

Vittoria? No, vibrazioni e commentini continuano pur sporadici, ma va meglio.

Si accende la luce in sala, per un ormai inconsueto intervallo. Guardate a destra: sono due ragazzette, biondine, quasi carine. Una tiene i piedi sulla poltrona vuota davanti a lei. Tanto che fa? Non c’è nessuno lì. A casa sua farebbe così, o no? Poi si alzano ed escono (torneranno a secondo tempo iniziato, solo con qualche bottiglia ma senza pop corn).

Pensi a tuo padre, che d’istinto le avrebbe prese a schiaffoni, o almeno a male parole. Invece tutti noi presenti non diciamo nulla. “Segno dei tempi?”, pensi pigramente rassegnato. Di una generazione che dovrebbe fare il servizio militare? – Ma chi? – Il servizio civile? – Forse! – Vedere il ripristino dell’educazione civica nelle scuole? L’ingresso dell’antropologia culturale fin dalla scuola primaria? Capire i principi della Costituzione?

Lacrime nella pioggia.

Rammenti che, un’altra volta, autrice di questi misfatti era stata una signora, distinta e attempata. Altre volte persone più giovani, trentenni, quarantenni. E allora pensi che non c’entra l’età, la categoria sociale, gli schiaffoni, la rabbia, le epoche, il luogo… solo la civiltà, la coscienza. E quest’ultima non s’insegna, cantava Stefano Rosso, perché è come un prato incolto dove in mezzo a erbacce crescono fiori luminosi.

“Ogni silenzio, un goal”, faceva recitare Nanni nella sua splendida palombella. E il cinema dovrebbe esser inteso con una sacralità… Fellini realizzò Ginger e Fred contro le febbri da telecomando televisive, in favore del mistero – magico_iniziatico, lo definì lui stesso nell’intervista (mi pare di Walter Veltroni, può essere?) su Il Messagero – d’una sala che piomba nel buio, della solennità d’un libro aperto a pagina uno… invece per molti – giovani ma anche anziani – c’è solo il proprio ego e il proprio rumoroso modo é sempre lecito, anche perché non lo ritengono tale.

“La maleducazione non é un reato”, io e mia moglie ci sentimmo dire da una coppia di legali una volta, giustificando così chiassi condominiali quando c’erano partite di calcio; certo: si tratta di sensibilitá, misura, rispetto e consapevolezza dell’altro, delle alterità…

Ma qui si aprono abissi, distanze a volte incolmabili. Specie dove vendono pop corn.

[Fabio Sommella, 29 settembre 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

Coscienza

Questa labile coscienza
– che non so se
qualche forma d’anima rifletta –
mi porta a dire ognor
– nel mio pensier –
ti amo!

[Fabio, 21 maggio 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

L’umana e non cattiva coscienza del dare la vita

Volendo da subito smorzare l’inclemente e provocatoria forza del titolo – Cattiva, romanzo di Rossella Milone, edito da Einaudi nel 2018 – va detto che il personaggio di Emilia, istanza narrante nonché protagonista, non risulta propriamente cattiva quanto, più verosimilmente, solo profondamente umana.

Emilia è una comune trentenne, sufficientemente acculturata che – emerge, col procedere della narrazione – per professione conduce i turisti a scoprire le bellezze dei siti archeologici dell’hinterland napoletano. Quest’ultimo, come tutta la vicenda a cui la protagonista dà voce in prima persona, è descritto con toni sempre asciutti ed essenziali, con un linguaggio quotidiano che conferisce allo stile della narratrice proprio i suoi peculiari colori, struggenti, financo lirici.

Ma Emilia, come quasi tutte le giovani donne, è da subito pure una sorta di trasecolata novizia rispetto all’esperienza della gravidanza, del parto e della maternità, del prima, del durante e del dopo; esperienza questa sì vissuta e raccontata in modo forte, estremo, efferato… ma in fondo così naturale, come l’arte primitiva della sopravvivenza. Ed è forse proprio grazie a questa indicata sorta di noviziato che il breve romanzo – in termini di asciuttezza ed essenzialità di stile, pur nella grande diversità di vicenda e ambientazione – riecheggia e richiama le esperienze umane di Ida, 2013, film di Paweł Pawlikowski.

Tutta la storia di Emilia viene narrata secondo tre assi direzionali: il prima lontano, pertinente al pregresso di Emilia e della sua famiglia; il prima immediato, pertinente al parto; il dopo, pertinente ai primi tempi della maternità. Ciò avviene in un continuo caleidoscopico ribaltamento dei piani temporali, continui salti, inserti e spaccati di vita che, a tratti, possono far ricordare quelli ultradecennali dell’Underworld di Don DeLillo. Senza però la pretesa dei vertiginosi scambi narrativi epocali operati dallo scrittore americano, in Cattiva le vicende della coscienza della protagonista, percorrendo questi tre assi, si approssimano progressivamente al punto di convergenza: il parto propriamente detto. Questo si scinde poi in due attimi: il durante – notevolmente dilatato, in un tempo di coscienza bergsoniano che apre alle infinite sollecitazioni dell’esistenza, del dolore, della Storia – e l’immediato dopo, con finalmente serene e rasserenanti immaginette familiari. È qui che si ha un climax, un acme, la coscienza del momento di nascita altrui – prole – e rinascita di sé stessi – Emilia, il marito Vincenzo… – e del conoscere ciò che, in precedenza, per molti versi era ancora indistinto da sé.

In questo narrare, la costante è sempre la splendida voce autoriale di Rossella Milone, voce di cui solo i grandi scrittori possono disporre. L’autrice disegna immagini evocative di estremo impatto e rara intensità, pur nella loro apparente consuetudine; situazioni universali eppur nuove che lasciano scoprire altro al lettore, quasi anch’egli fosse un turista dei siti archeologici dell’hinterland napoletano. Perché, analogamente a quanto avviene in molti film di Tarantino, la Milone è in grado di raccogliere un ordinario e apparentemente ininfluente dettaglio quotidiano e allargarlo, ampliarlo e sviscerarlo, ricreando o ricuperando, da quel grumo iniziale, un mondo di significati sottaciuti, inespressi, perduti nell’alveo del comune vivere. Non ultima, il lettore avverte affiorare la propria, e quella dei propri affetti, più intima esperienza, la coscienza, biologica e cerebrale, della trasformazione che la gravidanza e la maternità imprimono alle nostre vite.

Attraverso la vividezza di tutti i personaggi – Emilia stessa, il marito Vincenzo, il fratello Daniele, la madre e il padre, la vicina signora Gargiulo, la vaiassa ostetrica Ilaria, il restante personale ospedaliero, la salumiera, i barboni… la nascitura Lucia – noi lettori, si sia madri o padri o figli (ciò non importa), usciamo dall’esperienza di lettura di Cattiva con la consapevolezza – mediata dalla soggettiva prosa narrativa e non dalla oggettiva semplice embriologia – del mutamento che, l’infinità di quegli attimi di parto, provocano irreversibilmente sulle nostre coscienze e identità: ciò che prima era unità e dipendenza, pur sempre più duplice nel suo itinere, diviene infine duplicità piena e autonomia in fieri: “In quel tocco c’era la compiutezza né di me né di lei, ma di un noi, ché io e lei già eravamo due cose diverse, due persone diverse che stavano per conoscersi.” [pp. 87-88]

A latere, il romanzo è anche un’esortazione – quanto sommessa? – a una fiducia decisamente non cattiva bensì umana: “Mia figlia deve sapere che noi siamo quello, che noi siamo uno dentro l’altra, e lei è già sola, come lo sono io con lei, come lo è Vincenzo con me, ma ci sono modi, a volte, ci sono i mezzi per entrare nelle persone e non restare soli.” [p. 67]

Il progetto di arrivo e ripartenza, di cui tutto il romanzo Cattiva è intimamente intriso, coagula nelle parole che quasi concludono il romanzo: “L’espressione che ha Lucia ora non è né mia né di Vincenzo, e questa cosa solo sua è una profezia. È da qui che posso ripartire, da questa immensità. Dalle cose solo sue che devo scoprire per poi farle rimanere solo sue.” [p. 92] È proprio in questo auspicato e ricercato senso d’immensità che anche il lettore, che ha accompagnato Emilia nel suo travaglio e nelle sue peregrinazioni, può e deve avere fiducia: nei “mezzi per entrare nelle persone e non restare soli.”

[Fabio Sommella, 12-14 aprile 2019]

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)

 

 

Persone a cui voglio bene – V02

Ho conosciuto e conosco

persone a cui voglio bene

che non accettano la propria vulnerabilità

e, se la incontrano in qualcuno

che ne ha coscienza piena,

la rifuggono

e rifuggono il contatto autentico

e l’abbraccio col qualcuno,

trincerandosi dietro a borghesucce reazioni,

quelle che nella storia

han fatto gli errori e orrori

del nazifascismo.

 

Vorrei – avrei voluto – aiutarle,

crescendo insieme.

 

[Fabio, 02 gennaio 2019]

 

Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia (CC BY-NC-ND 2.5 IT)