Han finito di pranzare. Il ragazzo va di lá a studiare e lui pensa: “Quanto t’amo, figlio mio.” Poi istintivamente va comparando questo stato d’animo d’amore alla propria infanzia più lontana, ai suoi, a sua madre. E si rende conto che, in quel tempo a lui remoto, anche Lei – la madre di suo figlio – ancor non c’era. E quindi, ognor e sempre spontaneo, pensa: “Ma perché, se allora ancor non c’eri, anche adesso non ci sei più? Perché é già terminato il tuo tempo?”
Non resta che scrivere, non rimane che scrivere, comporre, piangere, in silenzio ossequioso e muto, attonito, come il trascorrer del tempo nella memoria.
Un attimo.
[Fabio Sommella, 1° giugmo 2019]
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